Riceviamo e volentieri pubblichiamo:
Cina e Stati Uniti. I profondi differenti sistemi, usati nell’affrontare la questione Covid 19: cooperazione e condivisione, contro competizione e profitto. cura di Enrico Vigna, 20 gennaio 2021 – I° parte
Sulla questione Covid 19 e i profondi e differenti sistemi usati dai governi cinese e statunitense nell’affrontarla, è stata pubblicata negli USA un’antologia di scritti e documentazioni “Il capitalismo su un ventilatore. L’impatto del Covid 19 in Cina e Stati Uniti”, in cui si evidenziano le metodologie con cui Cina e Stati Uniti hanno finora gestito la pandemia, la guerra ibrida degli Stati Uniti contro la Cina e di come le guerre sui vaccini danneggiano le fasce socialmente più deboli, oltre alle profonde differenze di fondo, tra i rispettivi sistemi sociali sanitari nei due paesi.
In questo testo si dimostra che molti costi economici e umani della pandemia nel mondo, potevano essere più contenuti o evitati.
Un’intera sezione del libro è dedicata alla solidarietà della Cina con il resto del mondo nella lotta contro COVID-19. Infatti dopo quattro mesi di lotta difficile e anche drammatica nel 2020, la Cina è poi riuscita a contenere e affrontare con successo la pandemia al suo interno, dedicandosi poi immediatamente a fornire maschere, kit di test, personale medico, ventilatori e altre forme di assistenza ai paesi dell’America Latina, del Medio Oriente e dell’Africa, ma anche in Europa come ad esempio in Serbia. Anche gli Stati Uniti hanno ricevuto generose donazioni di attrezzature mediche e operatori sanitari dalla Cina, durante la prima ondata della pandemia.
Va anche ricordato che la Cina, seguita poi dalla Russia,è stata il primo paese a dichiarare che il suo vaccino anti COVID-19 sarebbe stato un bene pubblico.
Nel testo vi sono contributi di numerosi studiosi, tra cui Vijay Prishad, Lee Siu Hin, Max Blumenthal, KJ Noh, Kevin Zeese, Julie M. Tang, Margaret Flowers, Ajamu Baraka, Mumia Abu Jamal, Margaret Kimberley, Sara Flounders, Carlos Martinez e altri.
L’antologia è stata coordinata da Sara Flounders, instancabile attivista per la pace, contro le guerre imperialiste e esponente storica dell’International Action Center USA e di Lee Siu Hin, un medico cinese-americano immigrato da bambino, attivista di lunga data, coordinatore nazionale del National Immigrant Solidarity Network e del China-US Bi-National Activist Solidarity Network.
Nel libro si ricostruisce il percorso dello sviluppo della pandemia, a partire dal gennaio 2020, quando la Cina aveva allertato i principali organismi scientifici internazionali, circa l’ apparizione di un nuovo pericoloso virus e aveva massicciamente messo in atto previdenze di base adeguate. I politici e i media statunitensi ridicolizzarono e ignorarono gli avvertimenti. Al contrario Washington intensificò una politica di propaganda oltraggiante, di accerchiamento militare, di guerra commerciale e sanzioni.
La conseguenza è sotto gli occhi di tutti: ad oggi sono circa 350.000 i morti legati al COVID-19 negli Stati Uniti, tra le più alte al mondo. Piuttosto che la cooperazione globale, la politica degli Stati Uniti aveva scelto la antagonismo, i profitti sulle persone e il rafforzamento militare.
Questo è un testo che rompe il blocco mediatico statunitense, in relazione ai risultati positivi ottenuti dalla Cina e propone argomenti di confronto documentati e attendibili.
Alcune delle tematiche che affronta e comprova sono: gli avvertimenti dalla Cina, il disastro a spirale negli Stati Uniti, un razzismo sistemico negli Stati Uniti, rimarcato con il COVID-19, gli aiuti globali dalla Cina, la corsa per un vaccino e l’escalation della campagna anti-Cina.
Lee Siu Hin che è stato oltre mesi in Cina per raccogliere documentazioni, interviste ai dirigenti cinesi e informazioni sul campo, ha descritto anche la situazione proprio a Wuhan, dove, dopo essere stato chiuso a causa del rigido blocco della città di 76 giorni, nel famoso parco acquatico di Maya Beach, si svolse una festa con migliaia di cittadini che avevano così salutato la prima vittoria sul Covid 19. Il parco acquatico fu riaperto nel giugno e anche attualmente la capacità ricettiva dell’area è limitata al 50%, per sicurezza. Ovviamente, quando i media diffusero quelle immagini in occidente, furono bollate come propaganda governativa, ma era invece realtà.
Invece avrebbero dovuto porsi e porre la domanda com’era riuscita la Cina a contrastare il COVID-19 in così poco tempo? E oggi si può affermare senza dubbi di smentita: per sette ragioni chiave: efficienza, scienza, coordinamento, impegno, unità popolare, cooperazione e leadership adeguata.
Quando il coronavirus ha colpito la Cina, l’intero paese è entrato in modalità di stato di guerra e si è unificato con un solo obiettivo assoluto: sconfiggere il COVID-19.
Dopo il suo successo, la Cina non ha esitato ad aiutare gli altri paesi.
L’attivista cinese ha spiegato quali sono state le scelte specifiche del successo della Cina:
- Quarantena rigorosa
- Test di massa
- Costruzione di ospedali da campo per isolare tutti coloro che avevano sintomi o che avevano avuto contatti con pazienti positivi
- Supporto logistico costante ed efficiente, dall’alto verso il basso, coordinato e centralizzato a livello nazionale da parte del governo
- Responsabilità e responsabilizzazioni personali dei dirigenti e governative
- Coordinamento internazionale e scambio aperto, in particolare collaborando con l’Organizzazione Mondiale della Sanità, su datti e ricerche
- Completa fiducia nella scienza e degli esperti medici e scientifici
- App per la salute per rintracciare e monitorare tutti velocemente
- Sviluppando e adottando rapidamente nuove tecnologie IT per combattere il virus e ricostruire l’economia
- Sforzi nazionali di emergenza per sviluppare prontamente tecnologia medica per combattere il virus, comprese le analisi della sequenza genica, lo sviluppo di farmaci e vaccini, trattamenti clinici innovativi e l’adozione della medicina tradizionale cinese (MTC)
- Indossare mascherine da subito
“La realtà e i fatti, ha dimostrato che i metodi e i sistemi cinesi hanno funzionato“, ha affermato Chen Jianguo, presidente del Tongji Medical College di Wuhan.
Questi sono i fatti e ciò che è avvenuto, al di là delle chiacchiere e opinioni personali
Quando il virus è apparso per la prima volta a Wuhan alla fine di dicembre 2019, nessuno sapeva esattamente cosa stesse succedendo. Nel giro di due o tre settimane si diffuse rapidamente in tutta la città a macchia d’olio, cogliendo tutti alla sprovvista, ma il governo intraprese immediatamente azioni forti, annunciando l’emergenza nazionale, ordinando la chiusura totale della città e inviando decine di migliaia di medici a combattere una “guerra popolare” contro il virus. Questa ferma scelta dette i suoi frutti. In meno di tre mesi, la Cina riuscì a contenere e contrastare il virus.
Infatti già il 23 gennaio 2020, la Cina ordinò prontamente e con risolutezza la chiusura di Wuhan, una città di 11 milioni di persone. È stato il più grande blocco della storia della RPC. Due giorni dopo, l’intera provincia di Hubei, che interessò un totale di 45 milioni di persone, chiusa per tre mesi per fermare completamente la diffusione del virus. Il “blocco” significava che ogni residente doveva rimanere completamente al chiuso 24 ore su 24, 7 giorni su 7 per tre mesi.
Il governo cinese ha riversato in questa battaglia enormi quantità di risorse economiche, attrezzature mediche, decine di migliaia di personale medico, volontari, militari e operai edili a Wuhan e Hubei, per sostenere la “lotta popolare contro il virus“.
Entro poche ore dal blocco, un totale di 42.000 medici volontari da tutto il paese arrivarono a sostenere Wuhan e Hubei, di cui 35.000 furono stanziati nella capitale Wuhan, che era l’epicentro dell’epidemia iniziale.
In 10 giorni, 12.000 lavoratori arrivarono per contribuire alla costruzione di due ospedali specializzati da campo per infezioni improvvisati, Huoshenshan e Leishenshan, che poi sarebbero stati in grado di curare decine migliaia di pazienti COVID-19.
L’Esercito di Liberazione del Popolo (ELP ), inviò 340 squadre mediche militari con migliaia di medici militari e squadre logistiche in tutta la provincia di Wuhan e Hubei. Molti erano giovani studenti di medicina militare poco più che ventenni.
Inoltre, durante il blocco a Wuhan, oltre 580.000 volontari della comunità locale furono mobilitati per aiutare i residenti, dato che nessuno poteva uscire a fare la spesa, i consigli di quartiere organizzarono volontari che sono diventati i “risolutori” della comunità, per i compiti quotidiani, aiutare gli anziani, organizzare le consegne di generi alimentari, consegnare medicine alle famiglie o sopperire a richieste particolari dei cittadini.
La maggior parte dei volontari e dei medici aveva meno di 30 anni, la cosiddetta generazione degli anni ’90. Nelle interviste molti hanno affermato di voler dimostrare di essere persone coscienti e responsabili. La gente li chiamava “retrogressori“, eroi che scelgono di impegnarsi in una zona disastrata e salvare la vita delle persone.
Durante il blocco a Wuhan e nella provincia di Hubei, anche i giovani membri del PCC, su direttiva del partito stesso, furono attivamente coinvolti in prima linea. La metà del personale ospedaliero, i lavoratori in prima linea, i lavoratori portuali, i funzionari doganali e i volontari di tutto il paese erano membri del partito di età inferiore ai 30 anni.
In quei tre mesi, 29,77 milioni di membri e funzionari di partito lavorarono in prima linea in tutto il paese. Di essi, 2.337 restarono infettati dal virus e 396 di loro hanno sacrificato le loro vite. Anche i dipendenti pubblici si comportarono in modo responsabile guadagnandosi la fiducia delle persone.
Il supporto logistico della regione ha passato momenti estremamente critici nella lotta contro il virus. Già a gennaio, all’inizio dell’epidemia, la Cina aveva esaurito rapidamente i dispositivi di protezione individuale (DPI). Le esigenze quotidiane di DPI a Wuhan in quel momento richiedeva 60.000 tute protettive, 125.000 maschere mediche e 25.000 occhiali medici. Un balzo spropositato se si pensa che la Cina, fino a quel momento produceva solo 30.000 tute protettive al giorno.
Con la principio che “solo uniti possiamo vincere“, la Cina mobilitò rapidamente una partecipazione nazionale, comprese le imprese statali in tutto il paese, per aumentare la produzione di DPI esistente e costruire nuove linee di produzione di DPI. In poche settimane, la crisi del DPI in Cina era finita. Ogni operatore del personale medico era completamente protetto con la cosiddetta “tuta lunare“, senza la necessità di riutilizzarla.
Infine, al fine di aumentare la capacità dei test, il governo cinese rapidamente mise all’opera, coordinò e fornì strutture di test pubbliche e private con kit di test.
In ottobre la Cina ha aderito al programma vaccinale COVAX sostenuto dall‘OMS. L’obbiettivo non è una “corsa al vaccino” o della cosiddetta “diplomazia del vaccino“, ma è incentrata su una politica di interessi comuni di tutta l’umanità.
In quanto paese che è stato in prima linea nel campo di battaglia per la lotta antiepidemica nella fase iniziale, la “visione della Cina sui vaccini“, come è definita dal governo, è una concezione sana e il suo impegno, al fianco della Russia, per rendere i vaccini un bene pubblico internazionale si sta formando nel mondo.
Nella distribuzione dei vaccini, gli Stati Uniti e i paesi occidentali danno la priorità a sè stessi e ai loro principali alleati, quindi ad alcuni paesi in via di sviluppo. Poiché gli Stati Uniti non si sono iscritti a COVAX , non sarà a breve che i paesi in via di sviluppo riceveranno una dose dai paesi occidentali. Al contrario, il vaccino cinese consentirà a molti paesi in via di sviluppo di essere tra i primi o i primi gruppi ad avere accesso ai vaccini anti COVID-19.
Il vaccino cinese aggiunge una nuova possibilità per molti paesi. Ciò è fondamentale per sostenere il principio della giustizia e dell’eguaglianza nella lotta contro il coronavirus.
Questo principio può impedire che il prezzo internazionale dei vaccini diventi troppo alto e spingere i paesi cosiddetti “sviluppati”, ad abbandonare logiche di profitti ed egoismi di interessi finanziari anche in questo caso, come sta avvenendo.
Come dichiarato dai governi cinese e russo, il COVID-19 è una crisi sanitaria globale. Per vincere veramente la lotta contro la pandemia, il mondo dovrebbe unirsi e lavorare insieme, non rincorrere o cercare profitti o ricatti sui paesi più deboli..
Avendo sufficienti forniture di DPI a livello nazionale, la Cina, non appena superata l’emergenza di Wuhan ha iniziato a donare ed esportare attrezzature mediche e DPI per salvare vite umane in tutto il mondo.
Solo nei primi mesi del 2020, la Cina ha consegnato sotto forma di aiuto, 71,2 miliardi di yuan ($ 10,2 miliardi di dollari USA) di forniture per la prevenzione delle epidemie, per l’esportazione in tutto il mondo…compresa l’Italia.
Che includeva 27,8 milioni di maschere facciali, 130 milioni di tute protettive, 73,1 milioni di kit di test COVID-19, nonché 12,57 milioni di termometri a infrarossi, 49.100 ventilatori, 124.000 monitor pazienti, 43,63 milioni di occhiali e 854 milioni di paia di guanti chirurgici. Inoltre, ha contribuito a costruire laboratori Huo-Yan in tutto il mondo.
Il governo cinese ha finora, offerto aiuto a 82 paesi, all’Organizzazione Mondiale della Sanità e all’Unione africana per la lotta contro il COVID-19.
Ma in Cina continua la battaglia e la protezione della popolazione
Per prevenire e respingere nuovi focolai, che periodicamente compaiono in diverse aree del paese, dalla sconfitta del virus a Wuhan, il governo ha continuato ad utilizzare il sistema che è descritto sopra. Già a maggio dovette affrontare un secondo focolaio proprio a Wuhan, così la decisione fu di testare l’intera popolazione. In meno di due settimane, la Cina aveva testato quasi tutti gli 11 milioni di residenti, per verificare se rimanessero dei focolai persistenti di COVID-19. Poi in estate, a Pechino ci fu una piccola nuova epidemia di COVID-19. La città fu immediatamente monitorata e in poche ore furono bloccate dozzine di comunità intorno al focolaio zero del virus. In due settimane, la città aveva completato 11 milioni di test, trovando 74.000 residenti positivi al virus, di cui 3000 furono immediatamente ospedalizzati. Agli altri esposti fu ordinata la quarantena per 21 giorni.
Anche in questa situazione il governo cinese dovette utilizzare ogni possibile risorsa, reclutando migliaia di operatori sanitari e personale di supporto nella campagna, sia dipendenti che volontari. Oltre all’esercito. Ogni residente è stato testato e tracciato da app mobili.
Inoltre, le autorità cinesi hanno costantemente rilasciato dati tempestivi in modo aperto, trasparente e responsabile, in modo che le persone avessero informazioni continue, chiare e vitali per comprendere appieno le politiche, le strategie e le misure del governo.
Questa metodologia è fondata sulla concezione che il popolo debba essere pienamente informato, come chiave per disporre di un forte consenso sociale.
E ora che periodicamente nuovi focolai aggrediscono nuove aree del paese, anche in questi giorni il governo cinese continua ogni volta a utilizzare il metodo vincente dello scorso anno,
Il 14 gennaio in Cina è stato registrato il primo morto da COVID-19 da maggio del 2020 e nella settimana precedente la media dei nuovi casi positivi al coronavirus era stata di 146 persone al giorno. Sono i numeri più alti da diverso tempo, e anche se non farebbero allarmare molti dei paesi che stanno affrontando la pandemia, in Italia, per esempio, il 14 gennaio sono stati rilevati più di 17mila contagi. I nuovi casi positivi sono dovuti a focolai scoperti in due province: lo Heilongjiang, nel nord-est del paese, e lo Hebei, intorno a Pechino. In risposta alla risalita dei contagi, in queste due zone 22 milioni di persone sono state sottoposte a un lockdown (che è stato esteso anche ad alcuni quartieri di Pechino). Un anno fa, quando i primi casi di coronavirus furono scoperti a Wuhan, c’erano 11 milioni di individui in lockdown.
Mentre sto chiudendo questo lavoro è arrivata la notizia di nuove misure urgenti. Pechino ha imposto il lockdown a 1,7 milioni di persone nel distretto di Daxing, a sud della capitale dove si trova il nuovo aeroporto, dopo che sono stati trovati sei casi di Covid-19 per un totale nella città salito a quota 15. “I casi rilevati a Daxing hanno lanciato l’allarme ed evidenziato che la situazione epidemica è ancora dura e complessa. Non possiamo diminuire l’attenzione sulla prevenzione dei casi emersi e sul loro rimbalzo domestico”, ha affermato Xu Hejian, portavoce della municipalità, in conferenza stampa. Per questo Pechino ha anche esteso a 28 giorni il periodo di restrizioni a chiunque arrivi dall’estero, di cui 14 di quarantena in strutture centralizzate. E’ stato anche deciso dalla Commissione dell’ istruzione municipale, riunitasi per adottare misure urgenti, ha deciso di anticipare di due settimane, a lunedì 25 gennaio, la chiusura delle scuole e degli asili ancora aperti, in vista della festività del Capodanno lunare cinese che parte il 12 febbraio. nell’ambito delle misure per contrastare e prevenire una nuova ondata di Covid-19. In base alla nuova situazione , la riapertura è prevista al primo marzo, ma la decisione finale sarà adottata dalle autorità in base all’andamento dell’epidemia. L’insegnamento sarà effettuato mediante la didattica a distanza.
Il successo della Cina non è stato dovuto a fortuna
Nel testo, Lee Siu Hin, spiega che: “…il successo della Cina nel contrastare il virus, non è stato fortuna. I cinesi hanno un forte senso di responsabilità sociale per l’azione collettiva e la gente ha fiducia nel governo e segue le sue istruzioni. Credono profondamente nella concezione “Uniti vinceremo”. Le persone si sentivano orgogliose di partecipare attivamente alla guerra popolare nazionale contro il COVID-19. Anche altri paesi che hanno intrapreso azioni simili, per lo più paesi socialisti come Cuba, Vietnam e Laos, si sono rapidamente ripresi dalla crisi. Secondo “CoronaShock and Socialism”, Tricontinental: Institute for Social Research, i governi come Cuba, Venezuela, Vietnam e Kerala, India, sono stati in grado di affrontare meglio il virus, perché hanno impiegato strategie come quella cinese, e hanno avuto “un approccio basato sulla scienza”. Hanno inoltre un settore pubblico e statale, su cui possono fare affidamento socialmente, per la produzione dei materiali necessari per combattere il virus, e utilizzano l’azione popolare “per spezzare energicamente la catena dell’infezione…”.