In questi giorni si è fatto un gran
parlare della cerimonia di apertura dei giochi olimpici. Naturalmente con la
solita divisione in tifoserie pro e contro.
Io, senza volermi necessariamente schierare,
cerco di porre una semplice domanda. Perché sembra inarrestabile questa corsa alla
spettacolarizzazione e al conferimento di potere alla comunità LGBTXY? Corsa
che non trova effettivamente riscontro nella vita di ogni giorno della
stragrande maggioranza delle persone.
Quando ciò accade, quando si mobilitano
i mass media e tutta la macchina comunicativa nella quale il nostro Occidente è
maestro assoluto, ci sono sempre interessi economici enormi. Non c’è bisogno di
essere raffinati analisti o perspicaci sociologi per comprenderlo. È sotto
gli occhi di tutti come nell’ultimo decennio la potenza di fuoco comunicativa
dell’intero Occidente si sia concentrata su un paio di temi “fondamentali” relegando
nell’oblio tutti gli altri.
Nella fattispecie LGBTQZ, gli interessi
principali (fra gli altri, naturalmente) sono quelli delle multinazionali del
farmaco denominate Big Pharma. Pensiamo solo alla immensa fetta di mercato che
si sta rapidamente aprendo (negli Stati Uniti è già grandissima) relativa alla
medicalizzazione della disforia di genere. Pensate a un futuro, che è già
presente, nel quale il disagio giovanile (e non solo giovanile) verrà attribuito
alla disforia di genere. Praticamente verrà medicalizzata (compresi interventi
chirurgici) la totalità dei nati in Occidente. Un affare le cui cifre non sono
neppure lontanamente immaginabili dalle nostre semplici menti di consumatori.
Ecco perché il Macron di turno, più che
rispettare il mandato conferitogli dai suoi elettori, deve inginocchiarsi
davanti ai veri e concreti potenti della terra, e organizzare il gay pride più
luccicante che si sia mai visto. E a culo la giustizia sociale, compresa
libertà di pensiero, che sarebbe necessaria in ogni società civile degna di
tale nome.
Forse, se ci poniamo queste domande, capiamo anche meglio gli interessi che sono dietro le guerre contro la Russia o la Palestina, e quelle (per ora mediatiche) contro l’Iran e altri stati canaglia, come noi consumatori occidentali amiamo definirli.