La decadenza
antropologica di un popolo si svela nelle pratiche sociali ed educative. Sono
in corso gli esami di maturità. Si assiste in questi giorni alla società dello
spettacolo che divora ogni gesto, comportamento e finalità. La società dello
spettacolo è totalitaria per sua essenza, essa procede per svuotamento dei
contenuti e del senso, alla fine di tale operazione pianificata non resta che
la forma con il suo gracile guscio vuoto
al cui interno c’è solo l’avanzata dell’ignoranza. Durante la prova orale i
maturandi, non tutti, ma in un numero sempre maggiore di anno in anno, sono
accompagnati dai genitori. La maturità presuppone l’autonomia del sapere e del
fare, per cui i genitori consapevoli della rilevanza del “momento”, in passato,
non erano presenti durante la prova che sanciva l’indipendenza simbolica del
figlio. Essi effettuavano un passo indietro, affinchè il figlio potesse fare un
passo in avanti verso l’indipendenza e la libertà. L’orgoglio era nella
preparazione che si coniugava con l’autonomia. Crescere un figlio significava
renderlo adulto.
I genitori che
accompagnano i figli alla maturità, in qualche modo evidenziano la dipendenza
del figlio dai genitori. I figli sono liberi in tutto, ma in realtà dietro
l’eterno “sì” ai desideri dei giovani, c’è sempre la mano dei genitori a
sorreggerli.
La presenza dei
genitori durante il colloquio assume aspetti al limite dell’irrazionale tanto
più che l’esame è a zero rischio di bocciatura. Dalla maturità si esce sempre
diplomati con il voto che oscilla sempre intorno alla media dell’ultimo anno.
La commissione in generale incoraggia l’alunno, se avverte il minimo segno di
cedimento emotivo. I docenti sono ormai sempre meno professori e sempre più
“prof”, ovvero psicologi e amici. La relazione emotiva dev’esserci, ma gli
eccessi distorcono la funzione docente coprendola a volte di imbarazzante
ridicolo.
Insomma la prova non
incontra in media difficoltà di nessun genere. Fior di pedagogisti e di medici
entrano in scena in questo contesto per denunciare l’inutile stress a cui sono
sottoposte le nuove generazioni. Gli stessi tacciono sullo stress in campo
lavorativo, sull’aziendalizzazione della scuola, sulla cultura umanistica
ridotta a semplice presenza senza spessore e si potrebbe continuare, perché il
male ha le sue ramificazioni rizomatiche, poiché ogni elemento porta con sé
nell’abisso dell’analfabetismo dello Stato-Mercato tutto il resto.
Le sciocchezze dovute
all’impreparazione di taluni sono abilmente baipassate e giustificate. Per
essere bocciati bisogna impegnarsi
davvero tanto, ma questo fortunatamente avviene in casi eccezionali, ed anche
se non ci si presenta, c’è sempre la possibilità di recuperare tra certificati
medici e supplettive.
Superate le forche
caudine dell’orale che verte “sugli interessi” dell’alunno, fuori dall’aula si
festeggia lo scampato pericolo con coriandoli, selfie e applausi.
Il voto finale su cui
pende la spada di Damocle del TAR non ha valore alcuno, non è più titolo di
accesso ai concorsi dal 2015.
Per scoraggiare allo
studio e avvilire i docenti i test universitari si esplicano durante l’anno,
perché si sa, saranno tutti promossi. La società dello spettacolo festeggia una
farsa con la complicità di generazioni addestrate a trasformare ogni esperienza
in visibilità social. Ci sono alunni seri e preparati, anche, ma che forse
avranno un’esistenza più difficile degli adattati, perché ciò che fa la
differenza, per il dopo, è il reddito famigliare e non certo la preparazione
culturale oggetto di discredito continuo in questi anni. Si pensi ai test per
entrare nella Facoltà di Medicina, chi ha denaro studia nei paesi dell’est o
nelle Università private, se non riesce a superare lo sbarramento finale.
C’è da temere per il
futuro, chi a prescindere dai meriti
ricoprirà ruoli da cui dipende la salute e la vita dei più fragili, potrebbe
recare seri danni. In questo clima di
incoscienza generale si continua a festeggiare; la società dello spettacolo non
ha né razionalità né realtà, essa procede per automatismi. Il male non ha
profondità, è superficiale, pertanto ci viene incontro con innocenza.
Vallisneria
I nostri alunni hanno
bisogno di cura reale e razionale. La cultura non è un ballo, è conquista
quotidiana, è crescita qualitativa che umanizza e insegna a partecipare alla
vita politica e sociale e affinchè ciò possa essere, i contenuti sono
imprescindibili. Non c’è ragionamento critico senza contenuti. Il carattere si
forma anche nelle difficoltà e nella capacità acquisita con esperienza graduale
di resistere alle ordinarie difficoltà e
ansie che ogni vita deve affrontare. Il facilismo e lo spettacolo ad esso associato
destruttura le menti e rende i caratteri dipendenti. Non più cittadini, ma
consumatori compulsivi adattabili al sistema che deve formare-deformare la
scuola. La scuola è uno dei corpi medi, in cui si imparava a vivere la
democrazia; i corpi medi erano forze che contenevano il capitalismo. Il
capitalismo era relativo, in quanto formazione, partiti e sindacati ne
contenevano gli effetti. Ora invece nei corpi medi si annida il capitale. Se
desideriamo aver cura dei nostri
giovani, i quali sono i custodi del nostro martoriato patrimonio, dobbiamo
deviare dalla società dello spettacolo con i suoi laschi inganni per rientrare
nella realtà. Senza tale Rivoluzione copernicana il nichilismo porterà con sé
tragedie che dobbiamo comprendere per poterle evitare. La misura è la buona
regola di ogni formazione, ma questo principio in un’epoca di smarrimento
capitalistico sembra essere stato perso. La maturità ha un senso, ed è un bene
che ci sia, ma bisogna ridonarle senso e serietà. Gli alunni seri e motivati
saranno più gratificati dalla prova, in cui mostreranno le capacità acquisite. Gli
alunni meno impegnati saranno motivati ad impegnarsi maggiormente, se il clima
è didattico è nell’ottica della crescita comune. La scuola è ancora una
comunità, possiamo salvarla se docenti, genitori e alunni non sono lasciati
soli a difenderla dall’assedio del mercato. In ultimo poniamoci la domanda
principale: A chi giova allevare giovani immaturi e ignoranti? Ciascuno cerchi
la risposta.
In attesa di parole
nuove che possano riportare la scuola ad “organo costituzionale” come affermava
Calamandrei, è bene riflettere sulle sue parole per avere
la chiarezza del disastro in cui annaspa la scuola:
“La scuola, è organo centrale della democrazia, perché serve a risolvere
quello che
secondo noi è il problema centrale della democrazia: la formazione della
classe
dirigente. La formazione della classe dirigente, non solo nel senso di
classe politica,
di quella classe cioè che siede in Parlamento e discute e parla (e magari
urla) che è al
vertice degli organi più propriamente politici, ma anche classe dirigente
nel senso
culturale e tecnico: coloro che sono a capo delle officine e delle
aziende, che
insegnano, che scrivono, artisti, professionisti, poeti. Questo è il
problema della
democrazia, la creazione di questa classe, la quale non deve essere una
casta
ereditaria, chiusa, una oligarchia, una chiesa, un clero, un ordine. No.
Nel nostro
pensiero di democrazia, la classe dirigente deve essere aperta e sempre
rinnovata
dall’afflusso verso l’alto degli elementi migliori di tutte le classi, di
tutte le categorie.
Ogni classe, ogni categoria deve avere la possibilità di liberare verso
l’alto i suoi
elementi migliori, perché ciascuno di essi possa temporaneamente,
transitoriamente,
per quel breve istante di vita che la sorte concede a ciascuno di noi,
contribuire a
portare il suo lavoro, le sue migliori qualità personali al progresso
della società.
Vi ho detto che io sono un giurista; ma ho l’abitudine, che mi deriva
forse un po’ da
una certa affezione toscana al disegno ben fatto, di associare i concetti
giuridici e
politici a qualche immagine, che poi mi serve ad affezionarmi a questi
concetti. Ora,
quando io penso a questo concetto della classe dirigente aperta in
continuo
rinnovamento, che deriva dall’affluire dal basso di questi elementi
migliori, cui la
scuola deve dare la possibilità di affiorare, mi viene in mente (se c’è
qui qualche
collega botanico mi corregga se dico degli errori) una certa pianticella
che vive negli
stagni e che ha le sue radici immerse al fondo, che si chiama vallisneria
e che nella
stagione invernale non si vede perché è giù nella melma. Ma quando viene
la
primavera, quando attraverso le acque queste radici che sono in fondo si
accorgono
che è tornata la primavera, da ognuna di queste pianticelle comincia a
svolgersi uno
stelo a spirale, che pian piano si snoda, si allunga finché arriva alla
superficie dello
stagno: e insieme con essa altre cento pianticelle e anche esse in cerca
del sole. E
quando arriva su, ognuna, appena sente l’aria, fiorisce, ed in pochi
giorni la superficie dello stagno, che era cupa e buia, appare coperta da tutta
una fioritura, come un prato. Anche nella società avviene, dovrà avvenire qualche
cosa di simile. Da tutta la bassura della sorte umana originaria,
dall’incultura originaria dovrà ciascuno poter lanciare su, snodare il suo
piccolo stelo per arrivare a prendere la sua parte di sole. A questo deve
servire la democrazia, permettere ad ogni uomo degno di avere la sua parte di sole
e di dignità. Ma questo può farlo soltanto la scuola, la quale è il complemento
necessario del suffragio universale. La scuola, che ha proprio questo carattere
in alto senso politico, perché solo essa può aiutare a scegliere, essa sola può
aiutare a creare le persone degne di essere scelte, che affiorino da tutti i
ceti sociali[1]”.
La vallisneria è l’immagine della
scuola che non lascia indietro nessuno, ma insegna a crescere anche a coloro
che vivono le condizioni più difficili, ma senza impegno, contenuti, continuità
e disciplina del pensiero ciò non è possibile. Una scuola che non insegna a
disporsi verso l’universale è istituzione che agonizza con la società tutta e
di questo bisogna prendere atto per mutare radicalmente comportamenti adattivi,
i quali sono complicità mascherate e lardellate di “belle parole con cui si
commettono cose terribili”.
[1] Piero Calamandrei al III Congresso dell’Associazione a difesa della scuola nazionale (ADSN), tenutosi a Roma l’11 febbraio 1950 e pubblicato in Scuola democratica, periodico di battaglia per una nuova scuola, Roma, iv, suppl. al n. 2 del 20 marzo 1950
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