Se n’è andato anche lui, nel suo letto, novantenne, a dispetto degli innumerevoli tentativi di assassinio organizzati dalla CIA. Fidel resterà nella storia come colui che per primo, alla testa dei suoi “Barbudos”, ha sfidato lo strapotere degli USA in quello che fino ad allora veniva considerato dalle amministrazioni di Washington, il “giardino di casa”.
Dal 1° gennaio 1959 – vittoria della Rivoluzione a Cuba – non fu più così. Quella rivoluzione veniva da lontano, dal 2 dicembre del 1956. Aveva attraversato la sierra e combattuto contro un esercito regolare, dalla forza incredibilmente superiore, grazie alla costituzione e alla crescita, numerica, politica e strategica, nel corso del tempo, di uno straordinario gruppo di guerrieri della causa, a cui si univano contadini nelle campagne, ceti medi e operai nelle città, invano contrastati dalla repressione ferocissima del dittatore Fulgencio Batista. Costui, aveva trasformato l’isola in un bordello personale, aperto ad avventurieri e miliardari della Florida, e delle loro amanti, e in generale dagli States. Di là partirono, dopo la vittoria di Castro, del Che, e dei loro compañeros, azioni volte a rovesciare il “regime” di Castro, che, per sopravvivere fu costretto ad affidarsi al sostegno, non disinteressato, peraltro, dell’URSS. E ciò significò una serie di conseguenze, e il progressivo spostarsi verso il marxismo che non era stato certo la prima molla teorica di Castro, e che comunque fu sempre condizionato, o arricchito, in una miscela originale, dal nazionalismo latinoamericano, che si richiamava innanzi tutto alla grande figura di José Martí il grande eroe ottocentesco dell’indipendenza cubana.
Insomma, parlare di Fidel e della “involuzione” della sua rivoluzione, costringe a prestare la massima attenzione al contesto storico e geopolitico. Fidel doveva salvare Cuba dalle mani adunche dell’imperialismo, questo il primo obiettivo che perseguì. E fu un compito sovrumano, che egli seppe e volle realizzare, ad ogni costo: gli yankees, inesorabili, provarono di tutto per spegnere quella Rivoluzione, ma non ci riuscirono allora, né in seguito. Specialmente con il più lungo e terribile embargo della storia umana, con il quale le Amministrazioni statunitensi, nel loro succedersi, tra repubblicani e democratici, non sono arretrate, fino a pochi mesi fa, davanti alla prospettiva di affamare un popolo, nella convinzione che l’embargo, specie dopo il fallito sbarco alla Baia dei porci, sarebbe stato l’arma totale per mettere in ginocchio l’economia cubana e far sollevare la popolazione contro il líder maximo. Ma, nel contempo, preparavano e addestravano generazioni di “contras” per portare la sovversione armata nell’Isola contro Castro, con sabotaggi, attentati, e un’azione costante di spionaggio,
Non ci sono riusciti. Ma hanno contribuito così all’indurimento del regime, spingendolo verso forme dittatoriali, non esenti da culto della personalità, e dall’instaurazione di un’atmosfera di controllo e sospetto, che poco si conciliava con lo spirito della Rivoluzione. E lo stesso Fidel ha compiuto errori anche assai gravi, e veri e propri crimini, anche se la parola può dispiacere: ne cito uno per tutti, la fucilazione di un “eroe della Rivoluzione” (come era stato dichiarato con solenne cerimonia pubblica, dallo stesso Fidel), Ferdinando Ochoa, sulla base di accuse grottesche, degne dei processi staliniani degli anni Trenta. Un triste capitolo che è rimasto largamente in ombra, finora.
Ma nel grande libro mastro della storia il conto finale sarà a favore di Fidel, e della sua Rivoluzione che aprì la strada al grande moto di emancipazione del Subcontinente latinoamericano dal controllo e dallo sfruttamento coloniale degli Stati Uniti. I quali oggi stanno usando ogni mezzo per “riprendersi” l’intera America centromeridionale. La scomparsa di Fidel v’è da sperare che non segni in modo irreparabile la fine di un ciclo storico e l’avvio della definitiva “normalizzazione” dell’America Latina. Ma oggi, tanto più davanti ai commenti volgari, ingenerosi, antistorici, dei troppi nemici ideologici e politici della realtà e della simbologia castrista, e rivoluzionaria in genere, sia reso onore al comandante Fidel, un uomo che come pochi altri nella sua epoca “ha fatto la storia”, facendo del proprio nome un simbolo di tutti i movimenti anti-imperialisti nel mondo.
Addio, Fidel. Hasta la victoria, siempre!