Vi sono vari modi da parte dell’aristocrazia finanziaria per contrastare la classe operaia e il conflitto di classe. Uno dei più perfidi, in quanto ammantato da universalismo solidaristico, è la messa in crisi del concetto di nazione giudicato vetero e populista poiché incapace di far fronte alla competizione internazionale della globalizzazione delle merci e delle persone.
La globalizzazione, che la si voglia o no, è operante – si dice – e quindi non si ci si può mettere di traverso, si rende necessario accettarla ed inventare perciò nuove modalità di comportamento, superando stili di vita e di pensiero residuali tipici delle vecchie forme di organizzazione sociale.
L’élite politico-finanziaria, oggi classe egemone, non poteva imporre il suo modello giustamente chiamato di pensiero unico se non facendosi forza di una nutrita schiera di intellettuali che sapesse esaltare le opportunità, i vantaggi, le fortune che da tale globalizzazione sarebbero precipitate sul genere umano, su tutti i continenti. Una schiera di intellettuali di destra, di centro, di sinistra che sapesse zittire gli oppositori evidenziando le qualità insuperabili del mercato unico e globale, del ritorno al dominio dell’impresa, della liberalizzazione delle borse, della riconquista da parte del capitale privato delle banche centrali, della privatizzazione dei beni statali e comunali, dei beni comuni, della liberalizzazione della forza lavoro, del ridimensionamento della scuola pubblica, della sanità pubblica…
Obiettivo prioritario prima diminuire e poi abbattere del tutto la sovranità delle nazioni sul piano economico, finanziario e monetario in modo che non potessero contrastare il libero mercato, l’egemonia della grande finanza.
Operazione che richiedeva gradualità di azione e tempistica certa. Perché un tale disegno potesse risultare vincente occorrevano intellettuali di chiara fama, soprattutto di sinistra che sapessero “educare” i militanti di sinistra al valore della globalizzazione, del mercato, della mercificazione delle persone.
Corollario di tanta celebrazione la svendita dello stato nazione in quanto possibile antagonista del libero gioco del mercato.
In Europa, tale processo si è attualizzato nella formazione di un organismo autoritario che non ha nessuna responsabilità davanti ai popoli: l’Unione Europa – appunto – che consente alle élite nazionali di prendere dei provvedimenti legislativi, attribuendoli di necessità all’osservanza di diktat sovranazionali cui non ci si può che attenere.
“Lo vuole l’Europa”. Sarebbe più corretto dire “Lo vogliamo noi”.
Lo schema autoritario era già presente nei primi anni della costruzione dell’impianto sovranazionale, ma fino alla metà degli anni ’70 è stata prevalente una gestione neo-Keynesiana che ha permesso una crescita della produzione e dell’occupazione e con essa degli importanti successi nel lavoro e nello stato sociale. L’inversione di tendenza si manifesta chiaramente negli anni ’80. Mentre le classi lavoratrici attenuavano lo scontro di classe gestite come erano irresponsabilmente da partiti di sinistra e da organizzazioni sindacali convertite al sacro verbo del libero mercato, il padronato e la grande finanza acceleravano lo scontro, distruggendo gradualmente nei decenni successivi gran parte delle conquiste del mondo del lavoro.
Naturalmente l’aristocrazia finanziaria non avrebbe potuto brindare ai suoi successi e alle umiliazioni della popolazione senza il concorso dello scudo europeo che favoriva l’avventurismo e la spregiudicatezza dei corvi del profitto – politici e finanza – che potevano lavarsi le mani adducendo il solito refrain “Lo vuole l’Europa”. Quindi niente aiuti dello stato per aziende in difficoltà, contratti aziendali, licenziamenti di massa, eliminazione art.18, cancellazione di scuole, di ospedali. di uffici postali…
Ciò che si voleva era innanzitutto la caduta del conflitto di classe da parte della classi lavoratrici, la perdita delle loro aggregazioni, l’ingresso in una sfera psicologica di atomizzazione che favorisse lo scontro tra gli ultimi, lo sbandamento morale che attizzasse forme di violenza, la perdita della propria autostima, l’oscuramento dei bisogni reali, a discapito di sogni di libertà e di emancipazione sociale.
Si voleva il ritorno alla plebe, ad una massa dispersa e senza identità che si nutre di “panem et circenses”, oggi la “pizzata”, il cellulare, lo sport, i social…
Non ci sono ancora arrivati i padroni del vapore…ma se non si riproduce il conflitto di classe…