Una riflessione sul “ regionalismo differenziato” e i suoi pericoli


Il saggio degli economisti Carmelo Petraglia, economista dell’Università degli Studi della Basilicata, e Vittorio Daniele, economista dell’Università Magna Grecia di Catanzaro, dal titolo” L’Italia differenziata. Autonomia regionale e divari territoriali” per le Edizioni Rubbettino,  tratta il tema relativo all’applicazione della Legge del 26/06/2024 “Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell’articolo 116 , terzo comma, della Costituzione”.

Il saggio si caratterizza per un taglio fortemente scientifico e non ideologico. Sono queste due caratteristiche che, unite ad un linguaggio accessibile anche ai non addetti ai “ lavori”, lo rendono particolarmente interessante. A differenza dei tanti  articoli e  saggi che animano il dibattito in corso, rispetto ai quali il rischio è di perdersi in dotte disquisizioni di dottrina giuridica, di rinvio a leggi, in grafici e algoritmi, i due autori, Petraglia e Daniele, hanno avuto la capacità, pur non rinunciando come è giusto che sia al loro essere accademici, di produrre uno scritto comprensibile ai più rendendo in questo modo un eccellente servizio alla Democrazia. Per fare ciò i due economisti hanno affrontato la questione partendo dal contesto storico e politico che ha prodotto la Costituzione repubblicana del ‘47 la quale, sin dalle origini, presenta una dose non indifferente di autonomia e di decentramento amministrativo.

All’indomani della fine del regime fascista e della nascita dello Stato Repubblicano, il tema dell’autonomia regionale tiene banco nell’Assemblea Costituente. Le posizioni sono diverse e vanno dalla riproposizione di uno Stato centralista ad una idea di Stato federalista. Ipotesi la seconda sostenuta soprattutto dal Partito d’Azione. Come ricordano i due autori la soluzione fu l’introduzione di un sistema regionale ispirato al pensiero di don Luigi Sturzo. Meuccio Ruini nella relazione tenuta da presidente della Commissione per la Costituzione evidenzia come << L’innovazione più profonda introdotta dalla costituzione è nell’ordinamento strutturale dello Stato su basi di autonomia; e può avere portata decisiva per la storia del Paese>> e ancora << La Commissione è stata unanime per l’istituzione della Regione. Questa non sorge federalisticamente>>. Il richiamo a Sturzo è comunque da intendersi, a parere di chi scrive, come una sorta di ponte con il dibattito politico istituzionale che aveva caratterizzato lo Stato Liberale tra fine ‘800 e inizio ‘900. Dibattito interrotto dal Fascismo il quale riaffermò con forza lo Stato accentratore. Altro riferimento per il dibattito e le successive scelte maturate durante i lavori della Commissione per la Costituzione è l’esperienza autonomista della Spagna repubblicana degli anni ‘30 del ‘900. Esperienza cessata con l’avvento della dittatura Franchista. L’attuazione delle Regioni avverrà solo nel 1970 a distanza di oltre vent’anni dall’entrata in vigore della Costituzione. L’avvio di politiche di decentramento amministrativo non ha riguardato solo l’Italia ma anche altri Stati europei. I due economisti individuano due “ondate“ che spingono nel senso dell’autonomia e del decentramento amministrativo. La prima “ondata” si colloca tra gli anni ‘70 e ‘90 del secolo scorso interessando: Italia, Francia, Spagna, Regno Unito e i Paesi dell’Europa dell’Est dopo la fine del “ blocco sovietico”; la seconda “ondata” dopo la crisi finanziaria del 2008 investe: Grecia, Francia, Norvegia e Belgio. Le modifiche all’assetto istituzionale in senso autonomista seguono condizioni specifiche legate al contesto nazionale di ciascuno Stato. La Spagna riprende quanto successo negli anni ‘30 durante il periodo repubblicano valorizzando le comunità locali; in Francia il decentramento è voluto fortemente dal centro che spinge verso la periferia favorendo il sorgere di istanze localistiche. In Francia l’assetto istituzionale è tale che il decentramento viene accompagnato dall’accorpamento dei tradizionali Dipartimenti in macro regioni. L’impatto più forte si ha in Belgio con l’introduzione di un assetto federalista. Il Belgio ha peculiarità che ne giustificano ampiamente l’assetto federalista riconoscendo l’esistenza di tre gruppi etnici distinti per lingua e tradizioni. In Italia la spinta autonomista si intreccia con il dualismo Nord Sud che sin dall’unità ha alimentato forme di contrapposizioni. Le cause che hanno determinato l’insorgere in modo forte delle istanze autonomiste, fino a tradursi in rivendicazioni indipendentiste, sono sia di tipo interno che internazionale. Alle cause interne sono da ascrivere la fine “della Repubblica dei partiti” con il seguente emergere di formazioni politiche civiche contraddistinte da un forte radicamento nelle comunità locali; le inchieste condotte dalla Procura milanese che portò alla fine dei partiti politici tradizionali e con essi delle classi politiche dotate di visione nazionale; la sottoscrizione del Trattato di Maastricht che imponendo politiche di riduzione del debito pubblico pose fine alla tradizionale redistribuzione delle risorse operata fino ad allora dai governi. Tra la cause internazionali sono da considerare la fine della guerra fredda con il crollo dell’URSS che apre alla globalizzazione dei mercati e all’irresistibile ascesa dell’ideologia neoliberale, frutto questa della teoria economica marginalista della Scuola di Vienna ben rappresentata da Von Hayek, in combinato disposto, con il monetarismo della Scuola economica di Chicago che in Milton Friedman ha uno dei suoi massimi esponenti.

La globalizzazione dei mercati ha come effetto il passaggio, da politiche di sostegno alla domanda per consumi ed investimenti attraverso la spesa pubblica anche in deficit, a politiche economiche di sostegno all’offerta che si traducono in responsabilizzazione dei territori e degli individui attraverso stimoli ed incentivi all’azione individuale. Per i governi la priorità dell’azione politica passa dalla piena occupazione alla stabilità monetaria e alla lotta all’inflazione. Progressivamente la politica fiscale viene modificata superando la riforma  degli anni ‘70 che aveva innovato il sistema fiscale italiano secondo i principi della capacità contributiva e della progressività accentrando in capo allo Stato il potere impositivo concedendo, nel contempo, ampio potere di spesa agli Enti Locali. Una tale impostazione, separando i centri di prelievo da quelli di spesa, ha deresponsabilizzato le classi dirigenti locali, le quali hanno finito con l’alimentare la spesa in deficit, consapevoli che a ripianare i debiti contratti sarebbe intervenuto lo Stato.

La sottoscrizione del Trattato di Maastricht nel 1992, imponendo politiche di aggiustamento del bilancio e di rientro del debito pubblico, ha imposto vistosi sacrifici tanto ai cittadini, quanto alle imprese e agli stessi Enti Locali ponendo fine ad una gestione della spesa pubblica priva di controlli adeguati. Gli anni ‘90 si caratterizzano per una serie di riforme che favoriscono il decentramento amministrativo con lo scopo di responsabilizzare le classi politiche locali rispetto sia alla spesa che al prelievo fiscale. I principali provvedimenti legislativi sono la Legge n. 142/90 che introduce il nuovo ordinamento dei comuni e delle province, i quali vengono trasformati in enti autonomi dotati di poteri di indirizzo politico, amministrativo ed organizzativo. Ad accelerare il processo è la spinta che viene dalla Lega Nord al punto tale che la tradizionale “questione meridionale” scompare dall’agenda politica a favore della “questione settentrionale” teorizzata dal sociologo Luca Ricolfi. Le istanze autonomiste sono tali che si spingono fino a rivendicazioni indipendentiste. E’ di quegli anni la pubblicazione, con tanto di prefazione dell’ideologo della Lega Gianfranco Miglio, del saggio di Allen Buchanan dal significativo titolo “ Secessione” nel quale, l’autore sostiene le giuste ragioni di una parte a separarsi dallo Stato nazionale di appartenenza.

Tra le ragioni principali a sostegno della secessione di una parte rispetto allo Stato  è la questione fiscale, ossia il prelievo e la redistribuzione delle risorse prelevate dallo Stato attraverso i tributi ai propri cittadini. Altro passaggio fondamentale dal punto di vista legislativo è la legge n. 59/1997 cosiddetta “ legge Bassanini”. Con decreti legislativi,   una serie di competenze amministrative, verranno trasferite dallo Stato centrale alle Regioni attraverso la sottoscrizione di specifici Accordi di Programma tra Stato e Regioni. I due dispostivi richiamati costituiscono il presupposto che porta nel 2001 alla Riforma del Titolo V della Costituzione della quale la Legge n. 86/2024 – Legge Calderoli, sul regionalismo differenziato, è la naturale conseguenza. Ulteriore passaggio è la Legge del 2009 sul Federalismo Fiscale.

Gli economisti Vittorio Daniele e Carmelo Petraglia non si limitano a raccontare la storia economica, politica e culturale degli ultimi cinquant’ anni, analizzano la questione comparando l’esperienza italiana con quella degli altri Stati che formano l’U.E. e nel contempo i possibili effetti sul sistema economico e sociale che  la “Legge Calderoli” comporterebbe. Non a caso il titolo del saggio dei due economisti ha come parole chiave  “differenza e divario”.

Ciò che emerge in modo forte è come il mutamento dei paradigmi economici divenuti via via dominanti ha finito con l’alimentare ancora di più “differenze e divari” tra Nord e Sud. L’idea di fondo che ha ispirato le politiche dello sviluppo degli anni richiamati è la teoria del “ trickle down” secondo la quale il favorire le aree più sviluppate avrebbe portato ad un “sgocciolamento” in termini di investimenti, creazione di posti di lavoro e più in generale redistributive a favore delle regioni meno sviluppate, nello specifico del Meridione. Come provano i dati riportati dagli stessi autori non è successo nulla del genere. Il fallimento di una tale impostazione è da ricercare proprio nella globalizzazione dei mercati che ha spinto gli interessi del nord a richiedere maggiori risorse, il cosiddetto residuo fiscale, da utilizzare per la ristrutturazione del sistema economico padano per renderlo competitivo sui mercati internazionali. In aggiunta la libera circolazione dei capitali favorita dalla globalizzazione ha fatto si che l’imprenditore del nord trovasse più conveniente investire magari in Romania o in Bulgaria invece che in Basilicata o in Calabria. Le istanze autonomiste si configurano come una sorta di “ rivolta fiscale” del nord contro lo Stato centrale il quale ha operato sottraendo risorse al “popolo padano” sobrio e lavoratore  per darle ai “meridionali fannulloni e assistiti”. Una tale narrazione è diventata, purtroppo, opinione consolidata difficile da smontare.

In conclusione l’analisi precisa e puntuale condotta dai due autori evidenzia come dall’applicazione della “Legge Calderoli” potrebbe uscire fuori un Paese ancora più “differenziato“ di quanto già non sia. Evitare questo richiede classi dirigenti in grado di comprendere le varie istanze facendo sintesi tra di loro attraverso politiche di riequilibrio territoriali ponendo in modo forte la vera e unica questione, quella “nazionale”.  

 

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