Cos’ha prodotto in Italia la pandemia, a parte (purtroppo) parecchie decine di migliaia di vittime dichiarate?
A parer mio, la piena maturazione di quella “società della prescrizione e della sanzione” che giá si era andata affermando in precedenza. Del fatto che l’ossessione per la sicurezza (meta irraggiungibile per i caduchi esseri umani) generi il suo contrario, cioé ansia, nervosismo e insicurezza, ho già scritto in articoli anteriori all’esplodere dell’emergenza, tuttavia la cogenza e la rigidità delle misure introdotte nell’ultimo biennio qui da noi si inquadrano nella sedimentata visione di uno Stato che, lasciati al loro destino i cittadini sul piano economico e sociale, si erge contemporaneamente a loro inflessibile tutore, vigilando con diffidenza su comportamenti e attività dei singoli.
Uno Stato-controllore, insomma, che si conferma tale anche nella gestione della pestilenza.
Prigioniero di una fittissima ragnatela di obblighi, divieti e multe l’uomo della strada appare spaesato e tende passivamente a uniformarsi a gride di cui manco si sforza di comprendere la ratio. Nella presente situazione di emergenza a tempo indeterminato essa non è chiaramente quella di “proteggerci”: della nostra salute come individui non importa nulla a nessuno, e lo dimostra la marcia che prosegue spedita verso la definitiva privatizzazione della sanità oltre che degli altri servizi generalisti (non é stato il sommo Draghi ad affermare, bontà sua, che “lo Stato sociale é morto?”). L’unica preoccupazione dell’élite è che l’epidemia in corso, per altri versi “benefica”, non azzeri la crescita economica, i cui proventi finiscono nelle tasse di una ristretta minoranza e, in misura minore, sui conti correnti dei professionisti che ne curano immagine e comunicazione. A sua volta per chi regge l’occidente una “decrescita infelicissima” non sarebbe un dramma di per sé, perchè se la torta si riduce basta ricalcolare le porzioni (infatti industrie farmaceutiche, Amazon ecc. hanno profittato della crisi in atto): il problema é che un eccessivo abbassamento del tenore di vita medio innescherebbe o potrebbe innescare pericolose rivolte sociali.
Lo schema prescrizione-sanzione si rivela allora prezioso, soprattutto grazie all’appoggio incondizionato offerto ai governanti dai media, cui è assegnato il duplice ruolo di propagandisti (delle scelte sistemiche) e fustigatori a tempo pieno del dissenso: non per caso il modello italiano viene oggi ripreso da Paesi occidentali che fino a ieri trattavano in genere i propri cittadini da persone adulte, non da minorati.
Chiunque oggi contesti l’imposizione del Green pass sui luoghi di lavoro viene dipinto come un sovversivo, un “bandito” (Dipiazza dixit), un “pagliaccio” (l’ex populista Fedriga é diventato oramai uomo di potere) – nel migliore dei casi è tacciato di essere un egoista privo di coscienza civica. Tutto ciò é evidentemente surreale: è inconcepibile che si pretenda “senso di responsabilitá” dai sudditi (tali noi siamo) se lo Stato per primo non ne mostra: l’art. 32 della Costituzione prevede che un trattamento sanitario possa essere prescritto per legge, e di vaccini obbligatori abbiamo memoria. Per introdurre l’obbligo sarebbe però occorsa una scrupolosa ponderazione degli interessi in gioco: una misura così impattante dev’essere proporzionata all’emergenza e garantire un alto livello di quella famosa “sicurezza” di cui le istituzioni debbono farsi garanti, mettendoci come suolsi dire la faccia. Le obiezioni a questo semplice ragionamento zoppicano assai: ci assicurano che un provvedimento siffatto non sarebbe mai stato votato da un Parlamento balcanizzato. Ne dubito: quella del vaccino é una questione assai più sentita rispetto – poniamo – ai contenuti del DDL Zan, e se il Migliorissimo si fosse impegnato da par suo, facendo precedere la proposta da un’accurata analisi costi-benefici, é probabile che la legge sarebbe passata… sempreché, si intende, ci siano evidenze sufficienti sull’efficacia e non dannosità della vaccinazione “americana” e sulla sua assoluta necessitá hic et nunc. In ogni caso una presa di posizione p.c.d. ufficiale avrebbe fugato parte dei sospetti e delle incertezze che serpeggiano nella cittadinanza e reso il certificato verde una conseguenza dell’adempimento – al contrario si è optato per una decisione pilatesca, che incide sul godimento di diritti costituzionali (anzitutto quello al lavoro, senza scordare la libera circolazione ecc.) in assenza di alcun obbligo sostanziale – e dunque anche del presunto dovere di solidarietá sociale cui si appellano frotte di benpensanti e di ipocriti.
La contestazione in corso é dunque in linea di principio giustificata, anche se i suoi limiti contenutistici sono evidenti: si focalizza infatti su una singola imposizione senza sottoporre a critica l’impostazione neoliberista nei confronti del lavoro dipendente, penalizzato e precarizzato da politiche che apertamente si fanno beffe del dettato costituzionale. D’altra parte, come insegna la Storia, spesso grandi moti popolari si originano dalla proverbiale goccia (di troppo).
Sfortunatamente anche la protesta dei c.d. no Green pass finisce per avvantaggiare il regime, che ha così la gradita chance – grazie alla fattiva complicità del giornalismo “libero” – di additare i manifestanti e i dubbiosi come nemici della collettività, aizzando l’odio dei pavidi contro di loro e riproponendo il gioco della caccia all’autore iniziato un anno e mezzo fa ai danni dei podisti. Divide et impera: strategia antichissima attuata con strumenti vecchi e nuovi. Che funzioni lo attestano il livore e l’aggressività che i “bravi cittadini” riversano sui reprobi, tutti accomunati nella categoria no vax.
Il passo successivo é una restrizione ulteriore delle libertá (che gli obbedienti imputano naturalmente ai riottosi). La direttiva ministeriale di ieri sui cortei é a suo modo un capolavoro: dopo un verboso cappello sul diritto incontestabile a manifestare affida a prefetti e questori l’individuazione di stringenti limitazioni – che il testo non manca di delineare in via, diciamo così, di “suggerimento”. Conoscendo la mentalità del funzionario medio (che desidera pure lui evitare rogne…) ipotizzo che i vincoli saranno stretti quasi al massimo, il controllo poliziesco occhiuto, col risultato di “disinnescare” le dimostrazioni, che raggiungono il loro scopo immediato se suscitano clamore e creano un minimo di disagio. Un sit-in in periferia non é più una manifestazione, semplicemente perché “non esiste in natura”, non producendo alcun effetto sulla vita comunitaria. É l’ultima frase della direttiva, tuttavia, a chiarire il fine dell’intervento ministeriale, che é quello di tacitare sine die qualsiasi opposizione concreta a scelte governative che, nell’immediato futuro, si annunciano epocali (in negativo): mentre i giornali si occupano di spiagge, il DDL Concorrenza riporta per i SPL le lancette dell’orologio a prima del Referendum 2011, cacciando il pubblico dal tempio aperto alle grandi imprese private. D’altronde promuovere la concorrenza, tagliare gli stipendi (in primis quelli pubblici, perchè i fannulloni si sono riposati con lo smart working…) e appesantire l’imposizione sugli immobili sono compiti che Draghi e i suoi compari hanno assegnato al governo italiano giá un decennio fa, e ora che il Nume impersona la Trojka non vorrà certo venir meno agli impegni presi nei confronti della superclasse di cui è parte integrante.
Seduti (o in ginocchio) a terra in un piazzale suburbano potremo forse educatamente dissentire, sotto gli occhi, si spera benevoli, di centinaia di celerini.