Quest’epoca storica è caratterizzata ormai in modo palese dalla frattura che il femminismo ha causato tra uomini e donne al fine della lotta per una società più giusta. La frattura si è rivelata nel modo seguente: la donna è stata esaltata come modello umano al di sopra di ogni limite, alle donne deve essere consentito tutto, deve essere permesso tutto, devono avere sempre ragione, le donne non sarebbero mai violente, mai manipolatrici, mai avrebbero dichiarato una guerra, chi, tra le donne lo fa viene considerata contaminata dal modello maschile. Una sorta di estensione del dominio della lotta tra generi che dalla sfera privata, dove certamente il conflitto era latente, si è trasmessa alla sfera pubblica sull’onda del celebre detto “il personale è politico”, e con l’interessato sostegno del neoliberalismo, al quale non par vero di avere trovato un così facile sistema per dividere la società in due pseudo-classi contrapposte il cui conflitto orizzontale paralizza qualsiasi tentativo di conflitto verticale.
In questa visione la donna è ogni giorno portata sugli allori e l’uomo, quando va bene, ridotto a maschio “egemonico”, dove egemonico ovviamente dovrebbe valere per i maschi dei cda delle aziende e non certo per le migliaia di uomini morti sul lavoro, ma nemmeno questo va bene al femminismo: quei morti sono trasparenti; o maschio “tossico” quando viene esplicitamente accusato, con la specifica accusa a “tutti gli uomini”, dell’esercizio della violenza contro le donne. La motivazione che viene data ogni volta è che le donne sono state per secoli oppresse, anzi che l’oppressione delle donne è la prima delle oppressioni, il fondamento di tutto il male del mondo fin dalle origini della civiltà. Una meta-narrazione che storicamente è fallace e debole, ma a inventarsi una tradizione basta poco. Un esempio recentissimo è la scoperta di poetesse contemporanee a Shakespeare molto apprezzate, per cui il romanzo di Virginia Woolf, “Una stanza tutta per sé”, è risultato quello che è, una pura invenzione letteraria di un mondo fantastico [1], non dissimile da Hobbit e Orchetti di tolkieniana memoria. Un altro esempio è la falsificazione storica del dopoguerra attuata in un film come “C’è ancora domani”, dove sembra che le donne siano uscite da chissà quale mondo medioevale avendo la possibilità di esprimere un voto, possibilità che a tutti gli uomini (eccetto naturalmente quelli dei cda già detti sopra) era stata data solo una trentina di anni prima.
Si deve fare anche attenzione ad un altro fattore: l’illusione della società opulenta. Oggi la donna che viene esaltata come modello non è la vecchietta che vive di pensione minima o l’immigrata che è costretta ad una misera paga come colf, ma la donna se non giovane ancora piacente, che lavora, che magari ha anche un figlio, o più, da un ex dal quale si è separato e che gli paga il mantenimento della prole. In breve, la donna consumatrice, il soggetto ideale per l’attuazione del dominio della merce. Spesso nei casi di separazione conflittuale si tratta di donne che ben corrispondono a questo profilo. Naturalmente è corretto che un genitore paghi il mantenimento di un figlio se questo vive con l’altro genitore, ma a questo non sempre corrisponde una decente rapporto tra padre e figli. Ci sono molti casi di dinamiche ostative alla frequentazione dei figli a volte con false accuse, talvolta i servizi sociali non intervengono a favore dell’uomo, mentre lasciano fare alle donne disinteressandosi delle proteste dei padri che non vedono i figli.
Questo clima sociale influenza anche le scelte dei magistrati italiani. Un esperto di queste dinamiche diceva che la grande tragedia di questo conflitto tra separati con figli, in assoluto il più grave in ambito civile e quello che da luogo alle maggiori tensioni e produzione di centinaia di esposti che sfociano anche in casi penali (sul quale di fatto vivono centinaia di avvocati, psicologi e, sebbene in minor misura, tanti altri professionisti del settore come assistenti sociali, educatori, case famiglia, psichiatri e neuropsichiatri infantili, mediatori familiari e mediatori in genere), era la sostanziale alleanza tra una visione della famiglia antiquata (padre che lavora e madre con i figli [2]) e la visione femminista (super donna-madre e padre debosciato, magari e spesso violento), per cui la paternità è diventata per molti, siano essi i figli o le donne stesse, o persino gli operatori, un opzione, anzi un optional.
In questo clima va letto il caso di Guidonia Montecelio [3] dove utilizzando un pretesto, da un punto di vista giuridico inesistente, in quanto basato su di un’illazione verbale non verificata, un magistrato ha disposto che una donna con un figlio, ormai separata dal compagno, avesse assegnata la casa occupata dagli anziani genitori di lui. L’istituto dell’assegnazione della casa familiare (Art. 337-sexies cc) è una delle dolenti note del diritto di famiglia. Nessuno qui vuole difendere la proprietà a tutti i costi se le cose fossero fatte dalla magistratura con cognizione di causa e applicando quella che si chiama, bontà sua, giustizia. Se la donna madre è disoccupata e non sa dove andare con i figli, con il padre proprietario al 100% dell’immobile e ha sufficiente disponibilità economica per permettersi una seconda abitazione, la cosa potrebbe anche essere temporaneamente consentita. Se i due coniugi detengono il 50% per ciascuno dell’immobile la cosa migliore e venderlo e far si che entrambi possano acquistare una seconda abitazione. Inoltre, andrebbe sempre tenuto conto, nel calcolo del mantenimento dei figli, dell’occupazione dell’immobile [4]. Ma in tutti questi casi si parla di divisione della casa familiare tra ex coniugi o ex conviventi, non della casa di proprietà di altri da questi occupata. I coniugi sfrattati di Guidonia Montecelio non sono che due anziani, pensionati al minimo, con disabilità certificate, che hanno un’unica casa di proprietà. Qualche tempo fa hanno ospitato il loro figlio e la sua compagna dalla quale lui si è poi separato, la coppia in questo periodo aveva avuto un bambino. Entrambi gli ex conviventi hanno un lavoro ben retribuito, inoltre nelle more della separazione è stato offerto anche da parte di lui un contributo economico adeguato, indipendente dal mantenimento del bambino, per poter permettere a lei di affittare un’abitazione. D’altra parte, la donna aveva già lasciato l’abitazione dei genitori e viveva con sua madre. In udienza ci si aspettava quindi che il figlio degli anziani coniugi avesse assegnata come abitazione quella dei genitori. A quel punto è sorto un equivoco che il magistrato avrebbe avuto il dovere di appurare: è emerso infatti che ci sarebbe stato un comodato d’uso gratuito verbale da parte dei genitori dell’uomo, e non solo, il magistrato non sapeva che la casa era occupata (per suo difetto non avendo letto i documenti). Ma il proprietario, ovvero il padre dell’uomo, non aveva mai concesso alcun comodato d’uso verbale, è stata un’invenzione della (ex) coppia (prescindendo dal fatto che un comodato verbale dovrebbe cessare non appena il comodante lo voglia). Teniamo anche conto che il proprietario della casa non era presente all’udienza [5]. L’uomo, forse in buona fede, ha commesso un grave errore, e qui torniamo al discorso iniziale sul clima sociale: pensava che la casa familiare fosse assegnata a lui in modo naturale, essendo in fondo la casa di famiglia. Invece secondo il classico schema del falso affido condiviso il magistrato ha assegnato alla madre la casa familiare e a lui le frequentazioni secondo le solite due visite con pernottamento e fine settimana alterni [6] (probabilmente uno schema ricorrente nel tribunale di Tivoli, un automatismo che consente di risparmiare tempo e … non leggere le carte processuali). Frequentazioni che avrebbero dovuto, nonostante l’assenza del proprietario che potesse o meno confermare l’esistenza di un presunto comodato verbale, secondo i due ex della coppia addirittura paritetiche, ma il magistrato ha deciso come detto, imponendo all’ex anche un mantenimento che nel caso di pari frequentazioni non sarebbe stato necessario, anche questo secondo il più classico degli schemi utilizzati nei nostri tribunali. Infine, ci sarebbe molto da dire sul fatto che la donna non si è fatta alcuno scrupolo di cacciare di casa i suoi ex-suoceri, non accettando nemmeno un aumento del contributo per l’affitto, dimostrando che, in ossequio alla metanarrazione dominante, i diritti delle donne vengono prima di tutti gli altri, bambini, anziani, disabili, persone in difficoltà economica. La conseguenza diretta di questa superficiale sentenza è lo sfratto dei due anziani coniugi disabili, pensionati al minimo, quindi non certo benestanti, dalla loro casa.
[1] Le sorelle di Shakespeare: alla riscoperta di quattro scrittrici bravissime ma dimenticate, contemporanee del Bardo Vogue, 11 aprile 2024.
[2] Questa visione potrebbe sembrare antifemminista, ma è importante ricordare che Warren Farrell uscì dal movimento femminista proprio perché questo si schierò a favore del mantenimento della custodia dei figli alle madri. Questo la dice lunga sul carattere reazionario del femminismo.
[3] GUIDONIA – “Noi, sfrattati da casa per lasciarla alla ex di nostro figlio” Tiburno.tv, 27 dicembre 2023
[4] potremmo star qui a disquisire per ore sui casi di assegnazione della casa familiare, sull’eccessiva lunghezza dell’assegnazione, su assegnazioni che sono finite in rendita per chi l’ha avuta, su mancato riconoscimento dell’assegnazione nel calcolo del mantenimento. Sono norme che chi scrive, insieme ad altri ha sempre chiesto di modificare o abolire, per evitare ulteriori complicazioni nelle separazioni con figli.
[5] la decisione si basa anche su diverse sentenze di cassazione secondo le quali il comodante, anche terzo, nel caso abbia dato in comodato un appartamento divenuto casa familiare non può di fatto rescindere il comodato. Ma questa sovraestensione dell’assegnazione alla fine favorisce solo il collocatario che, come si sa, è nella stragrande maggioranza dei casi la madre. Si tratta quindi di sentenze con bias di genere, con la scusa dell’interesse del minore, e quindi entra di fatto nello sbilanciamento a favore delle donne voluto dal modello sociale attuale. Nel caso specifico poi la presunta comodataria era uscita di casa già da parecchi mesi, le sentenze di cassazione non danno alcuna indicazione in questo caso, per cui l’interpretazione del magistrato non appare ben fondata.
[6] Nel caso in esame è facile calcolare che il padre avrebbe teoricamente 8 notti su 30 di frequentazioni, ma è noto che per il genitore collocatario è molto facile ridurre queste notti, se non dimezzarle, adottando tattiche ostative, che anche quando macroscopiche difficilmente vengono punite (non è questo il caso della coppia di Guidonia per quanto detto sopra essi desideravano frequentazioni paritarie, poi non concesse, ma vale per moltissimi altri casi). Questo meccanismo è definito dagli esperti falso condiviso poiché introducendo la figura fittizia del collocatario di fatto riproduce gli stessi esiti dell’affido esclusivo precedente la riforma del 2006.