Trent’anni possono bastare


La verità ci viene incontro in modo banale. In una trasmissione RAI in presenza di una serie di nomi noti e meno noti della politica si discuteva della nuova finanziaria. La giornalista ha mostrato una breve sequenza di interviste sul tema delle pensioni. Gli intervistati romani con forte accento, il popolo, dinanzi al nodo pensioni sentenziava verità del quotidiano che i cittadini ordinari vivono nella carne in ogni ora della loro esistenza lavorativa. Sono le verità che quotidianamente sono rimosse dalla politica “stile Versailles”, esse sono oggetto di disprezzo perché “populiste”. Uno degli intervistati affermava:

“ Trent’anni di sfruttamento possono bastare”.

Le altre dichiarazioni erano dello stesso tono, egualmente vere, un’altra affermava:

Non bisogna andare troppo tardi in pensione, altrimenti non si vive”.

I politici presenti in sala non hanno commentato le affermazioni, le hanno cassate immediatamente. Nessuna riforma delle pensioni, perché i numeri non lo permettono. Dunque da una parte il popolo rappresentato come sognante e fuori della realtà, ma destinato a viverla duramente e lungamente se fortunato, dall’altra parte la “politica Versailles” dei privilegi e degli scandali  “rosa-porno” che utilizza i conti per tacitare il populismo e l’ignoranza dei sudditi. Ora, anche un bambino che ha terminato la terza elementare, sa bene che lo stesso risultato si può ottenere in modi diversi. I politici che tanto difendevano nella trasmissione i sacri numeri della oggettività indiscutibile, tacevano sull’evasione fiscale, sulla tassazione sempre più a favore dei ricchi e delle multinazionali e sulla ridistribuzione dei redditi sempre più ineguale. Anche questi sono numeri, non è necessario riportarli, chiunque può appurare tali matematiche finanziarie dell’ingiustizia in rete, nei media e nei saggi di economia. Il sistema procede presentandosi come oggettivo e senza alternative. Si deve riprodurre in modo meccanico e violento. Il popolo non va ascoltato, non comprende e non capisce, è al pari di una creatura bestiale. Il popolo mostrato nel video e da cui la discussione ha avuto inizio, ha invece dichiarato verità inaggirabili. Il lavoro è sfruttamento legalizzato in Italia, dopo trent’anni si è consumati a livello psicologico e in non pochi casi in modo fisico. I rappresentanti del popolo, pagati dal medesimo, servono la finanza e deliberatamente ignorano le parole di coloro che pazientemente subiscono condizioni lavorative di sofferenza. A costoro si chiede di soffrire in modo indeterminato e sempre di più, fino alla morte sul lavoro, perché lo vogliono i conti. La favola della vita che si allunga non regge, poiché si allunga la vita di coloro che vivono in condizioni materiali privilegiate e non certo di coloro che sono precari. La matematica finanziaria delle classi privilegiate  è la sacra bibbia (volutamente in minuscolo) a cui le vite di un dio minore (il popolo) deve adeguarsi, mentre la politica dà spettacolo di sé tra scandali e miliardi bruciati, non solo metaforicamente, per le armi. La cesura è ormai palese. La disperazione del popolo che vive disancorato da ogni progetto politico necessita di una nuova prospettiva e di rappresentanza popolare.

Bisogna mostrare lo iato tra il popolo e i suoi rappresentanti e smentire l’oggettività dei calcoli per nuove algebriche misure, con le quali smentire la supponenza di una classe politica cieca e sorda. Per la “Versailles della politica” non siamo esseri umani, ma numeri che devono adeguarsi ai calcoli del più forte. A loro non importa se il regime di sfruttamento e di competizione cannibalica annichilisce le persone fino a farle giungere alla pensione distrutte nello spirito e nel corpo, l’importante è salvaguardare i numeri, ovvero gli interessi di classe. L’unica categoria utilizzata è la quantità a favore delle classi al potere.

In detta trasmissione l’eventualità facoltativa di andare in pensione a settant’anni era presentata come una opportunità preziosa che il governo offre ai volenterosi (persone con basso reddito e con una carriera lavorativa precaria). Si usa la disperazione di coloro che non hanno opportunità per trattenerli sul lavoro e sfruttarli in modo indefinito e indeterminato.

Il sistema si riproduce sulla passività disperata del popolo che deve disimparare a credere nei numeri del potere-dominio e deve reimparare a proporre i propri numeri. Imparare ad uscire dalla trappola fatale e letale dei loro numeri è la sfida che ci attende; l’alternativa è una lenta agonia, per cui come Gramsci scrisse il 1 gennaio 1916 bisogna gettare “le loro date-numeri” nel gettatoio dell’ideologia per ricostruire le nostre date e i nostri calcoli della storia e nella storia:

“Perciò odio il capodanno. Voglio che ogni mattino sia per me un capodanno. Ogni giorno voglio fare i conti con me stesso, e rinnovarmi ogni giorno. Nessun giorno preventivato per il riposo. Le soste me le scelgo da me, quando mi sento ubriaco di vita intensa e voglio fare un tuffo nell’animalità per ritrarne nuovo vigore. Nessun travettismo spirituale. Ogni ora della mia vita vorrei fosse nuova, pur riallacciandosi a quelle trascorse. Nessun giorno di tripudio a rime obbligate collettive, da spartire con tutti gli estranei che non mi interessano. Perché hanno tripudiato i nonni dei nostri nonni ecc., dovremmo anche noi sentire il bisogno del tripudio. Tutto ciò stomaca. Aspetto il socialismo anche per questa ragione. Perché scaraventerà nell’immondezzaio tutte queste date che ormai non hanno piú nessuna risonanza nel nostro spirito e, se ne creerà delle altre, saranno almeno le nostre, e non quelle che dobbiamo accettare senza beneficio d’inventario dai nostri sciocchissimi antenati”.

La prima rivoluzione da effettuare è la rivoluzione dello spirito, poiché se si continuerà a credere nei “loro numeri” la creatività-emancipazione  sarà esperienza impossibile. La prima guerra da combattere è contro la pigrizia ideologica instillata nel popolo con il sonnifero del sesso (mercificato), dei consumi e dei media che pongono in trappola la prassi. La lunga strada può iniziare in ogni momento, il futuro comincia nell’atteggiamento che abbiamo verso il presente e verso le “menzogne dei numeri”.

2 commenti per “Trent’anni possono bastare

  1. Andrea vannini
    1 Ottobre 2024 at 17:39

    Viviamo al di SOTTO delle nostre possibilità. É la verità che ci vogliono nascondere. Prima o poi, sarebbe meglio prima, si passerà dalle armi della critica alla critica delle armi. É stata, é e sarà una scelta obbligata.

  2. Andrea
    2 Ottobre 2024 at 20:42

    Leggo:
    @@
    Il lavoro è sfruttamento legalizzato in Italia,
    @@

    Spesso è così, ma è un problema che riguarda tanti altri paesi, da Ovest a Est, e non “solo l’Italia”.
    Non è una consolazione, bensì una constatazione.
    Per il resto condivido gran parte dell’articolo, in particolar modo l’opinione sui politici, che in quanto tali non hanno la più pallida idea di cosa sia la vita degli operai delle acciaierie, per non parlare di muratori, carpentieri, asfaltisti, etc.

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