L’olocausto della memoria è il mezzo più efficace con cui il capitalismo deforma la natura umana e ne cancella le potenzialità creative e politiche. Un popolo che alleva generazioni senza memoria è reso condizionabile fino ad essere determinabile dalla logica malvagia del consumo. Senza confronto dialettico con la propria storia il popolo perde i suoi anticorpi sociali. La dimenticanza consente la riproduzione esasperata di errori del passato e, specialmente, nuovi crimini sociali e politici. Senza comparazioni analogiche e contrastive il presente appare come il regno della necessità nel quale tutto ciò che c’è non è sottoposto a valutazioni critiche e assiologiche. Una nuova innocenza del male regna nella forma dell’egoismo sociale e del narcisismo. La memoria storica, filosofica e religiosa filtrata attraverso la razionalità dialogica consente di decodificare i casi di cronaca come i grandi eventi mediante il paradigma veritativo. In questo “movimento” della mente e dell’anima l’etica e la politica si ricongiungono e disegnano deviazioni e prospettive che fungono da “veicolo critico” della storia. Il ricordo degli olocausti e delle guerre e la consapevolezza delle dinamiche economiche che li generarono non possono che comportare un giudizio politico su quanto accade a Gaza e in altre nazioni tormentate dal “capitalismo totale”. Il passato è il paradigma con cui ricostruire il presente, esso è “ausilio politico straordinario”; la sua cancellazione è strumento di asservimento dei popoli al giogo dell’ignoranza di sé. La storia insegna a individuare, senza inutili proiezioni, il male nel tempo presente. Per imparare a riconoscere il “nuovo” si devono individuare genetiche della storia che si ripetono in modo simile.
Nulla invece sembra
accadere, l’estate prosegue la sua corsa e assistiamo ad un edonismo di massa
acefalo ripiegato tragicamente su se stesso. Il mondo con le sue etiche
tragedie non sembra toccare la furia del consumo che attraversa giovani e meno
giovani. Non è moralismo, non è condanna, è un dato di fatto di cui bisogna
prendere atto per capire la tragica indifferenza in cui versiamo. Il pessimismo
antropologico con il suo corollario “l’indifferenza” è l’effetto dell’arma più aggressiva
e potente che il capitalismo usa. Il pessimismo antropologico rende il tempo
della storia senza senso, mentre la sua cancellazione ipostatizza il presente.
Il tempo storico è così reso tempo naturale e, quindi, è disumanizzato. La vita si dissipa in attimi da consumare. La
responsabilità politica è così dissolta. La disperazione sostituisce la
speranza e il senso sociale trova il suo surrogato nel consumo di gruppo.
Gli oligarchi padroni dei media, dell’informazione e della formazione con i loro decreti e con le loro giurisprudenze insegnano che l’essere umano è solo un “animale” alla ricerca di riconoscimento sociale. La logica del riconoscimento è nel dominio sull’altro. Essere riconosciuti significa nel nostro tempo essere idolatrati per la potenza finanziaria e per la seduzione. L’altro è un mezzo che serve a confermare la presunta superiorità del dominatore. Tali dinamiche rispondono al modello del frattale. I “grandi del mondo” sono il modello a cui ispirarsi. Le loro esistenze danarose e curvate sul lusso con i loro eccessi sono il paradigma con cui deformare non solo le nuove generazioni ma anche i nostri anziani. La memoria degli anziani è vilipesa e offesa, essi sono indotti ad imitare i giovani fino al ridicolo, in tal modo la loro parola è eguale al balbettio delle nuove generazioni che, in genere, comunicano con frasi standard e ripetitive tratte da pubblicità e media. Il godimento, parola molto gettonata, diviene l’unico scopo del giorno e delle ore che si susseguono. Godere è vivere alla grande, anche un solo giorno o un minuto, si fugge dall’anonimato che offende e ferisce nel profondo.
Le nuove generazioni
hanno un approccio crematistico sconosciuto rispetto al passato. In genere non
ambiscono a beni di accumulo stabili come le proprietà immobiliari, in
essi si sta facendo strada una nuova
tendenza: spendere subito in piaceri che confermano l’inclusione sociale
(mercato). Si cerca, insomma, il denaro e non certo la proprietà immobile che
esige cura, pazienza e impegno.
Il mercato per la sua
sopravvivenza necessita di consumo continuo e dunque invita, persuade ed induce
a spendere per esistere. Consumo ergo sum
è il nuovo imperativo categorico che attraversa ogni classe sociale in una
omologazione dei desideri che risulta essere assolutamente nuova. Il
riconoscimento sociale si materializza nel consumo; la competizione è nella
solitaria ostentazione di muscoli, tatuaggi e forme che eguaglia i corpi come i
gusti in una corsa frenetica, in cui l’ipertrofia narcisistica adattiva si
adatta alle “anonime prescrizioni del mondo”. L’essere umano segue le stesse leggi
darwiniane di ogni altro animale: gode o perde. Le categorie con cui dividere e
classificare gli esseri umani si riducono a: perdenti e vincenti. Nessuno pietà
per i perdenti, per cui i popoli che sono oggetto di violenze inaudite non
muovono particolare pietà. Il cinismo
quotidiano disimpara il senso dello scandalo.
Formare partigiani
Tutto è deformato dalla lente del capitale. Le proteste sulla società patriarcale e l’insistenza sui soli diritti individuali (diritto a tutto, ovvero comprare ciò che il desiderio comanda) sono parte di tali derive, che malgrado le quotidiane tragedie non sono oggetto di letture politiche. I partiti asserviti e la loro “classe dirigente” sostengono l’onda del capitale in cambio di voti e di visibilità. La lucida comprensione del nostro tempo non deve indurci a desistere o a essere similmente vittime del pessimismo antropologico. Siamo nell’anno zero della nostra storia. Dinanzi a tale constatazione, sempre discutibile e perfettibile, il problema reale è l’azione e dunque la prassi etica. Urge riconquistare la memoria e i metodi d’indagine di ordine filosofico. La filosofia insegna a riportare la parte al tutto, in modo da smascherare le falsità ideologiche. L’Europa è stata la patria della filosofia e della politica, essa può rinascere solo se torna alle sue radici greche-illuministiche e cristiane, non per mero esercizio di memoria, ma per trarre dalla sua storia l’energia creativa per pensare il presente e risolvere le contraddizioni sanguinose che la lacerano. Inviare armi sui fronti di guerra e idolatrare il profitto sono i due dogmi che necessitano di essere pensati e immaginati nelle loro conseguenze. Il pessimismo antropologico osservabile nelle strade occupate da un famelico narcisismo ha la sua causa profonda nella dimenticanza. Essa domina completamente le menti che rispondono al disastro relazionale con il “godimento al quadrato”. Rompere la circolarità funesta del capitalismo totale è il compito dell’umanità nel presente periodo storico. Ogni gesto e parola che possono interrompere il flusso distruttivo del mercato è prezioso. Non è sicuramente sufficiente, ma è l’incipit per risvegliare il senso etico e la razionale cultura del limite senza i quali nessuna civiltà è possibile. La nostra è un’epoca che necessita di impegno e di eroismo da contrapporre al fatalismo ideologico. L’ineluttabile (parola anche questa gettonata nei proclami politici) non è tale, pertanto sta a noi riprendere il cammino e riappropriarci dello spirito del nostro tempo per non essere divorati e animalizzati dall’indifferenza. Ogni epoca ha la sua “Resistenza e i suoi Partigiani”; gli uomini (parola che grammaticalmente è usata in senso generico come grammatica vuole) di buona volontà hanno la loro battaglia da effettuare. Possono decidere di fermarsi in trincea per poco o lungamente ma ogni testimonianza che rompa con la fosca nube del pessimismo non può che contribuire allo scavo della talpa della storia che scava i suoi percorsi per poter riemergere alla consapevolezza dell’umanità ritrovata. La storia non è degli oligarchi e del servidorame organico, tutti possiamo, se vogliamo, rientrare nella storia con le nostre biografie, il primo passo è porci “la domanda” che Antonio Gramsci nel suo “Odio gli indifferenti” il 17 febbraio 1917 pose:
“Alcuni piagnucolano
pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano:
se avessi fatto anch’io il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia
volontà, sarebbe successo ciò che è successo?”.
Con Errico Malatesta possiamo dire che i tempi sono tristi,
ma non dobbiamo lasciarci prendere dal pessimismo, anzi consapevoli delle
difficoltà attuali bisogna affinare i mezzi per riportare la politica, il
concetto e l’umanità in un tempo disumano. Dobbiamo formare partigiani
dell’umanità ed essere noi stessi testimoni dell’impegno gratuito in tale
direzione. Le parole di Errico Malatesta con cui si inaugurò la rivista
anarchica Pensiero e volontà il primo
gennaio 1924 sono oggi più vere che mai:
“I tempi sono tristi, e dalle parole che dicono alcuni nostri collaboratori in questo primo numero spira una certa aria di pessimismo. Ma non importa. Il pessimismo, quando non è vile adattamento, quando è coscienza delle difficoltà, serve a meglio temprare gli animi alla lotta”.