Madri e padri che uccidono figli, coppie che si suicidano, figli che uccidono i genitori, le cronache sono colme di episodi efferati. Le informazioni sono redatte con linguaggio stereotipato e pruriginoso. Nell’ultimo episodio della giovane madre catanese che ha ammazzato la figlia i giornalisti hanno registrato il grido di dolore del padre e l’hanno dato in pasto ai telespettatori. Nessuna pietà per il dolore di nessuno, si è in vetrina sempre. La violenza è strutturale, pur di fare business ad un padre a cui è stata strappata la figlia si risponde rendendo pubblico il suo grido dolore spezzato. Si dirà è giornalismo, non lo è, è audience sempre, anche la vicenda più atroce diventa spettacolo. I giornalisti, in media, sono intellettuali organici al potere, lavorano, affinché nulla cambi e a tal fine insegnano al pubblico a non comprendere il presente, fanno appello alle sole emozioni, devono colpire senza lasciare traccia. L’emozione non deve diventare concetto, il liberismo è un totalitarismo a pornografia integrale, mostra tutto in modo che nulla sia pensato, il soggetto deve perdersi nelle immagini. Pornografica è la ricostruzione degli episodi di cronaca: la lettura è unica nei casi di morte violenta delle donne, sono sempre gli uomini atavici ed assassini. Negli altri casi si farfuglia e si rimuove la tragedia con parole di circostanza e tante immagini che si appellano all’emozione senza concetto e pensiero. L’ordine strisciante è che non si deve capire ciò che sta accadendo, poiché il sistema dev’essere inattaccabile. Il grande inganno deve perpetuare la sua corsa distruttiva senza impedimenti. Il giornalismo in tale contesto è il portavoce del dominio, la società del business non dev’essere oggetto di critica, pertanto le responsabilità del disastro sociale ed umano è data ai soggetti più deboli che in tale contesto sono gli uomini. La debolezza è generale, ma si usa un retaggio culturale: l’uomo autoritario ed emotivamente immaturo per giustificare ogni crimine e, quindi, in tal modo si occulta che il sistema è violento in sé.
Solitudine e violenza
In ogni campo regna la solitudine da competizione e si omaggia chiunque viva la propria individualità in nome del successo spazzando gli altri come rifiuti. L’irrazionale regna ed impera, la violenza si moltiplica nei posti di lavoro e nelle istituzioni, i social sono il mezzo più produttivo ed efficace per diffondere la pornografia individualista. In tale contesto il soggetto è preda di forze irrazionali, teme di diventare oggetto delle scelte del sistema e dei propri cari, l’angoscia irrazionale può portare a crimini, in quanto prolifera in solitudine. L’angoscia dell’uomo contemporaneo è nel timore di diventare “cosa” da dare in pasto al sistema. L’angoscia è paralizzante in assenza di gruppi sociali stabili, si è semplicemente soli dinanzi a forze fatali. La speranza di una vita migliore non è contemplata, vi è solo il presente che schiaccia il soggetto. Lo sfacelo umano non è compreso, anzi, il mondo giornalistico, politico ed economico deve neutralizzare ogni discussione sulle vere cause della violenza e della patologia mentale la quale è divenuta la normalità del tempo attuale. Al dolore quotidiano per una solitudine senza limiti si risponde con il bonus psicologo, misura che denuncia la consapevolezza implicita del problema e, specialmente, l’intenzione di occultare le ragioni profonde del malessere per curare in modo approssimativo e generico i sintomi. La pornografia del sistema mette tutto in mostra per nascondere le ragioni profonde della tragedia etica in cui siamo. In questo momento buio della nostra storia nella quale manca la dimensione della speranza bisogna erodere l’interpretazione ideologica unica sollevando dubbi ed ipotesi che possano far rientrare ciò che il sistema ha espunto per eternizzarsi: la speranza della prassi. L’umanità senza speranza è consegnata agli automatismi del meccanicismo economico, è indotta a riprodurre ciò che il sistema ordina con i suoi imperativi, è negato il logos, e con esso l’agire sulla realtà. La passività produce malessere che si scarica con la violenza, la quale cresce in modo perverso nel silenzio della solitudine. Se si è senza speranza, non si ha la percezione del futuro, e facilmente il vuoto lasciato dalla speranza può ribaltarsi in violenza. Ma la speranza è invincibile, malgrado i cantori della morte della metafisica e della prassi. La speranza è parte sostanziale del concetto. Il pensiero fende lo spazio-tempo in cui l’essere umano è incapsulato per mostrargli un’altra realtà e possibilità, la speranza è l’essere umano liberato dalle catene degli automatismi, se c’è speranza la rabbia è sublimata in progetto ed azione costruttiva. Vi è umanità dove vi è speranza:
“La Speranza vede quel che non è ancora e che sarà.
Ama quel che non è ancora e che sarà.
Nel futuro del tempo e dell’eternità.
Sul sentiero in salita, sabbioso, disagevole.
Sulla strada in salita[1]”.
Il cammino della storia sembra inchiodato, ma la speranza è indistruttibile, lo si constata negli uomini e nelle donne che continuano a resistere e a progettare. Anche il gesto più efferato mostra che il tempo attuale non è a misura di essere umano, pertanto va pensato in modo che la tragedia possa generare alternative allo stato presente.
[1] Charles Péguy, La speranza Il portico del mistero della seconda virtù.
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