A 50 anni dalla legge sul divorzio l’avvocato Rimini [1] prova a gettare qualche sasso nello stagno invocando una riforma del diritto di famiglia che introduca il “clean break” un pratica caratteristica dei paesi anglosassoni. Il clean break è in sostanza una “buonuscita” dal vincolo matrimoniale che data una tantum eviterebbe l’assegno di mantenimento periodico al coniuge c.d. debole. Dico subito che sono scettico sull’introduzione di queste prassi mutuate da altri paesi di cultura molto diversa in un sistema sostanzialmente statico come il nostro che di fatto non si è mai mosso dalla c.d. maternal preference, ovvero l’affido sostanziale alla madre, nemmeno con la riforma dell’affido condiviso del 2006, nella prassi boicottato dai giudici trasformando il genitore “affidatario” in genitore “collocatario” anche con il subdolo uso del concetto di “residenza abituale”.
Ma perché Cesare Rimini, a parte l’ovvia fame di visibilità che tutti ci prende, avvocato di Marta Marzotto ed altri vip, si spende in lodi di un sistema così lontano dal nostro basato da mezzo secolo sull’assegno separativo/divorzile vita natural durante? Qual è il suo interesse, o meglio appetito?
I Patti in salsa italiana.
Qual è lo stato dell’arte di una riforma in senso “anglosassone” o quantomeno più europeo, dato che in molti paesi, uno fra tutti la Germania, sono previsti forme di patti prematrimoniali? Per il momento piuttosto poco, c’è una proposta di legge, già a suo tempo presentata nel 2014 e ripresentata in questa legislatura nel 2018 a firma dell’on.le Alessia Morani (PD) [2] che di fatto introduce dei veri e propri patti prematrimoniali. Certo non si potrà mai, almeno finché il liberismo non cambi i connotati della nostra Costituzione, fare come negli USA dove si può introdurre una penale per il divorzio ed anche per le mancate prestazioni sessuali. Il cuore della pdl Morani è un nuovo articolo del codice civile, 162bis, che reciterebbe come segue:
I futuri coniugi, prima di contrarre matrimonio, possono stipulare, con la forma prevista dall’articolo 162, ovvero mediante convenzione di negoziazione assistita da uno o più avvocati ai sensi dell’articolo 2 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 132, convertito, con modificazioni, dalla legge 10 novembre 2014, n. 162, accordi prematrimoniali volti a disciplinare i rapporti dipendenti dall’eventuale separazione personale e dall’eventuale scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio..[…]
Negoziazione assistita, ecco gli appetiti dell’avvocatura che aspira evidentemente a sostituirsi sempre di più ai giudici e alla loro (teorica) neutralità, per menare le danze delle separazioni/divorzi. Naturalmente in caso di figli minori ci dovrà essere sempre il sigillo della magistratura, ma si tratta ormai di una prassi già consolidata nelle separazioni consensuali, è sufficiente garantire che i figli siano mantenuti dignitosamente per avere l’avallo del Procuratore della Repubblica. Salvati i figli da genitori degeneri (comma 2) il nuovo 162bis continua poi così:
Negli accordi prematrimoniali un coniuge può attribuire all’altro una somma di denaro periodica o una somma di denaro una tantum ovvero un diritto reale su uno o più immobili, anche con il vincolo di destinare, ai sensi dell’articolo 2645-ter, i proventi al mantenimento dell’altro coniuge o al mantenimento dei figli fino al raggiungimento dell’autosufficienza economica degli stessi.
Ecco il “Clean break” esattamente come sarebbe in un paese come gli US. Dirò più avanti a chi servirebbe e a chi no. Seguono altri commi tra cui una clausola di salvaguardia e la possibilità di rinuncia al mantenimento (che per orgoglio e correttezza morale alcune donne, una su centinaia, fanno, ma probabilmente farebbero anche molti uomini in una situazione inversa con numeri sicuramente maggiori):
In ogni caso ciascun coniuge non può attribuire all’altro più di metà del proprio patrimonio. Gli accordi prematrimoniali possono anche contenere la rinuncia del futuro coniuge al mantenimento da parte dell’altro, fatto salvo il diritto agli alimenti ai sensi degli articoli 433 e seguenti. ..[…]
Al momento la pdl 244 giace ferma alla Camera non essendo calendarizzata e quindi discussa (come è accaduto ad esempio con il ddl Pillon). La storia non finisce qui. Infatti il Consiglio dei Ministri, nella seduta del 12 Dicembre 2018, ha approvato il “Disegno di legge recante Deleghe in materia di semplificazione, riassetto normativo e codificazione”. In questo disegno di legge, tra altre cose, è stata data delega al Governo per la “Revisione del Codice Civile”. Per quello che ci interessa l’Articolo 20 di questo Disegno di Legge recita
“…Il Governo è delegato ad adottare, uno o più decreti legislativi per la revisione e integrazione del codice civile, approvato con regio decreto 16 marzo 1942, n. 262, nel rispetto dei seguenti principi e criteri direttivi (OMISSIS) b) consentire la stipulazione tra i nubendi, tra i coniugi, tra le parti di una programmata o attuata unione civile, di accordi, in forma di atto pubblico o scrittura privata autenticata, aventi efficacia obbligatoria, intesi a regolare tra loro, nel rispetto delle norme imperative, dei diritti fondamentali della persona umana, dell’ordine pubblico e del buon costume, i rapporti personali e quelli patrimoniali e i criteri per l’educazione dei figli”.
All’epoca governo giallo-verde, ma la cosa è bilanciata dall’essere la pdl 244 della Morani che ora è al governo come sottosegretario allo sviluppo economico. Causa Covid-19 le cose sono state molto probabilmente accantonate e non è detto che siano riprese prima della fine della legislatura. Non si sa tra l’altro se come spesso accade la pdl della Morani, sia stata ispirata dalla propria professione di avvocato matrimonialista, o come spesso accade, ci sia dietro un’attività di lobbying che ha spinto alla proposta di legge (che potrebbe anche in questo caso restare a lungo nel cassetto essendo considerata dai politici una pdl c.d. “di bandiera” e non una legge la cui approvazione è davvero sentita dalla classe politica).
Le classi e il divorzio.
A questo punto dobbiamo chiederci chi veramente, avvocatura a parte, sarebbero gli utilizzatori dei patti prematrimoniali. E’ doveroso iniziare da un analisi di classe. Se conosciamo qualcosa dei patti prematrimoniali lo dobbiamo alle numerose vicende di vip americani di cui siamo venuti a conoscenza tramite la stampa gossippara, ed è li che appunto appaiono anche le stranezze come penali per divorzio ed altre amenità citate sopra. A prima vista sembra un regolamento di conti tra persone ricche o molto ricche, il cui patrimonio spesso non può essere che solo scalfito lievemente dal coniuge debole che si separa. Tutti ricorderanno il caso Berlusconi – Lario, finito con un assegno di mantenimento ricchissimo, ma che comunque non andava ad intaccare un patrimonio fatto di società disposte in scatole cinesi difficilmente attaccabili. A questi livelli di reddito anche un “clean break” è possibile, basta che sia sufficientemente ricco da permettere una vita di rendita, ma non tanto alto da incidere significativamente sul patrimonio del coniuge forte. Come altro episodio curioso si potrebbe citare l’ex moglie di Flavio Briatore, ora al GF Vip ha candidamente dichiarato di avere in cassa oltre un milione di Euro lasciando scioccati persino gli altri vip che erano con lei.
Se per le classi dominanti il problema in una maniera o nell’altra trova una soluzione, tutt’altro discorso si deve fare per chi a stento sbarca il lunario e che spesso ha difficoltà a separarsi perché una separazione comporta comunque dei costi per cui spesso si resta nel limbo della separazione “di fatto” senza le spese che un possibile giudizio comporta se non vi è accordo. Bisogna premettere che per chi è non abbiente esiste l’istituto del gratuito patrocinio che vale se si ha un reddito lordo al netto degli oneri deducibili inferiore a 11493,82 €, per farla breve intorno ai 700 € mensili netti, questo però esclude completamente i redditi bassi ma ordinari tra 800 e 1300 € ovvero la grande maggioranza degli occupati.
Ma ci sono due ostacoli al momento a chi volesse realizzare una separazione senza mantenimento per tutta la vita, uno transitorio e probabilmente non rilevante e l’altro molto più concreto. Il primo è che, anche mettendosi nella situazione peggiore di un reddito insufficiente, la negoziazione assistita non rientra tra gli istituti ammessi al gratuito patrocinio. Tuttavia una proposta di legge (pdl 1881 Bonafede et al. [3]) di iniziativa governativa è in discussione in Commissione Giustizia alla Camere per estendere il gratuito patrocinio anche alla negoziazione assistita, dato che è una legge voluta dal governo ed è già più avanti nell’iter rispetto ai patti prematrimoniali; possiamo pensare che sarà approvata prima di questi [4].
Non è questo il problema che impedirebbe l’utilizzo di futuri patti prematrimoniali, l’ostacolo più grosso, gratuito patrocinio o meno, è nell’importo che si dovrebbe sborsare in caso di “clean break” e qui torniamo subito a vedere che questo sarebbe possibile solo per persone relativamente benestanti. Un assegno vitalizio anche di soli 200 €, se vogliamo proiettarlo nell’arco di 10 anni, implicherebbe un “clean break” pagato tramite un finanziamento di 24000 € al quale si devono aggiungere gli interessi [5]. Immaginarsi un poveretto con un reddito di 700 € che tenta di avere un finanziamento siffatto; è ovviamente inverosimile. Ma normalmente gli assegni, anche per la classe media, sono più alti e vanno dai 400 € fino ai 1000 € e oltre per i professionisti. Questi ultimi dovrebbero tirare fuori dal cappello almeno 50000 € + interessi (ma non è sempre capitalismo, anche finanziario, in fondo ci guadagnano anche le finanziarie, evviva!!). Appare evidente che l’invocato “clean break” “una tantum” o “buonuscita” comunque lo si chiami è qualcosa che solo le classi benestanti possono permettersi, ed in effetti lo stesso progettato articolo 162bis suggerisce che al posto dell’una tantum si possa ragionare in termini di rendite immobiliari. Magari hai una casa, te la vendi e ci paghi il “clean break”, poi niente più assegno a vita, ma se hai una casa da vendere (possibilmente non la tua!). Siamo poi sicuri che gli appetiti dei possibili destinatari del “clean break”, inutile dirlo che saranno soprattutto di sesso femminile, siano così moderati da fermarsi a 10 anni? E non a 20, 30, 40? Ricordo molto bene che un mio amico ha avuto 43 denunce per violazione dell’art. 570 c.p. (Violazione degli obblighi di assistenza familiare, vedi anche la nota [4]), tutte archiviate ok, ma alla mia domanda sul perché la ex lo tartassasse in questo modo la risposta era “la mia ex è benestante e non gli crea problemi pagare un avvocato che fa cause” [6]. Ora anche gli appetiti dell’avv. Rimini sono ancora più chiari: sarà soprattutto chi non ha problemi di reddito a rivolgersi agli studi per la negoziazione assistita necessaria ai patti prematrimoniali pagando laute prebende. Soprattutto chi ha la certezza, perché ricordiamo che stiamo parlando di patti che si possono firmare prima, o nel corso, del matrimonio, di avere dopo tot anni un reddito certo e la possibilità di accedere a fondi che gli consentono di accumulare un “clean break”. Possiamo concludere che come sempre Paperone non paga dazi mentre Paperino finisce alla caritas (come sempre!).
Un’analisi di genere: coniuge debole, chi è costui?
Ho cercato sopra di mantenere asessuato il discorso, anche se inevitabilmente ho dovuto rimarcare che nella situazione italiana sono per lo più gli uomini a pagare il mantenimento alle ex-mogli, considerate quasi sempre “coniuge debole”, e, se ci sono, ai figli. Posto che quest’ultimo è un dovere morale imprescindibile, c’é anche da sottolineare che la maternal preference, mai abbattuta, perenne in 50 anni dal divorzio, è stata anche utilizzata per ingrassare in modo spesso arbitrario l’assegno ai figli senza alcuna verifica se la relativa spesa fosse effettivamente per i figli o meno (il “saggio” economista direbbe: “che importa, sono fringe benefit in ambito familiare. Se lei col resto di una bolletta, che paga anche per i figli, si compra il rossetto”). Non c’è controllo che tenga su questa spesa ed i vari tentativi fatti da diversi anni di correggere questa distorsione a partire dalla stessa legge 54/2006 sul condiviso [7] attraverso ad esempio il c.d. mantenimento diretto, ovvero ciascun genitore paga direttamente le spese per i figli in proporzione al reddito, non hanno dato nessun esito. Negli ultimi anni l’isteria femminista con l’accento sulla “violenza di genere” ha semmai solo peggiorato la cosa rendendo anche la ragionevole proposta del mantenimento diretto – che, ripeto sarebbe applicato solo al mantenimento dei figli – rubricata come “controllo patriarcale della spesa” e quindi “violenza economica”, un altro ossimoro generato dal nulla (consumate gente, consumate senza limiti).
Data la platea del lavoro, o non lavoro, femminile e l’idealtipo della “cura” come compito essenzialmente delle madri, che pesa come un macigno anche sul modo di sentire e vedere di chi deve emettere giudizi neutri (i giudici) o mediare tra le parti (i negoziatori) risulta chiaro che il “clean break”, anche prescindendo dai fattori di classe, sarebbe, come per l’assegno, appannaggio del genere femminile al 99%. Ma siamo sicuri che, a parte rarissimi casi di condotta morale corretta, davvero sarebbe la forma preferita di definitiva chiusura di una relazione? Eccetto pochi casi, chi davvero rinuncerebbe ad una sinecura vita natural durante [8]? A meno che non sia sostanziosa ed esista alla base un benessere sufficiente ad entrambi (almeno finché lui non si indebiti per il “clean break”).
Sarebbe ipotizzabile quello che Rimini suggerisce? Ovvero che sia una donna a pagare il mantenimento o il “clean break” in virtù di un reddito superiore? Per esperienza questa cosa l’ho vista accadere nel primo caso rarissimamente, praticamente mai, e sempre in relazione ai figli, mai ho visto un giudice che imponesse una compensazione di reddito da lei a lui. Naturalmente non ho letto tutte le decine di migliaia di sentenze di separazione e divorzio che vengono sfornate ogni anno. Secondo Warren Farrell [9] negli USA sono soprattutto le donne non sposate che hanno di regola redditi anche superiori in media a quelli maschili dato che vi è una buona percentuale di occupazione femminile diffusa su lavori che sono di fascia di reddito mediamente più alta di quelli maschili e non avendo l’impegno di cura dei figli che sappiamo indurre spesso a rinunciare al lavoro o a utilizzare il part-time. Quindi in linea di principio sarebbe possibile, anche da noi in regioni sviluppate dove c’è una alta occupazione femminile (penso alla Lombardia e al nord in genere) un “clean break” da lei a lui. Ammesso che succeda e tenendo conto della psicologia maschile e dell’attuale posizione di favore di cui godono le donne io credo sia molto probabile che lui accetti o sia spinto fortemente ad accettare un “clean break” piuttosto che un mantenimento a vita. Avremmo così la beffa [10] che quando finalmente un istituto del diritto come il mantenimento a vita tra ex-coniugi possa essere, almeno in pochi casi, a favore di lui, esce uno nuovo istituto che risolve a favore di una buonuscita da parte di lei. E’ chiaro che qui parliamo, in accordo a quanto spiegato sopra, di chi può permettersi il mantenimento e a maggior ragione l’una tantum.
Il futuro potrebbe riservarci questa sorpresa, se i patti matrimoniali davvero saranno legge: mantenimento a vita fino a redditi medio alti per lel, salvo qualcuno che si vuole “impiccare” facendo debiti per un “clean break” sempre che lei lo accetti, mantenimento per lei ancora con qualche “clean break” in più ai redditi alti (una milionata d’un botto può far comodo), “clean break” per lui nel caso, quindi sempre a redditi alti, se lei fosse davvero più ricca di lui (ma stai sicuro che non si tratterà di milionate). Ma davvero sarebbe questo il modo di rompere l’asimmetria lei-lui? A me non sembra proprio.
[1] L’Interferenza, “Clean Break”, 2 dicembre 2020,
“Clean break”
[2] Camera dei Deputati, proposta di legge n.244 Morani
https://www.camera.it/leg18/126?tab=&leg=18&idDocumento=244&sede=&tipo=
[3] Camera dei Deputati, proposta di legge n.1881 Bonafede et al.
https://www.camera.it/leg18/126?tab=&leg=18&idDocumento=1881&sede=&tipo=
[4] Tra l’altro il ministro Bonafede sembra aspiri con questa legge anche a dare soluzione alle controversie nate dall’Art. 570 c.p. ovvero la Violazione degli obblighi di assistenza familiare, articolo famigerato e funesto nel mondo delle separazioni, per mezzo della negoziazione assistita. Dalla lettura della proposta appare che caso dell’ Art. 570 non siano stati nemmeno posti limiti di reddito. La motivazione del Guardasigilli è chiara: le inutili cause penali che ingombrano i tribunali per la mancata corresponsione dell’assegno da parte degli ex-mariti verso le ex-mogli potrebbero essere in moltissimi casi chiuse per mezzo di conciliazione tramite la negoziazione assistita. Se questo fosse legge anche chi ha attualmente una causa per 570 potrebbe in linea di principio ricorrere all’una tantum come accordo in corso di separazione o successivo (cosa possibile anche adesso, ma soluzione mai usata vigendo la consuetudine dell’assegno).
[5] Utilizzando un simulatore, esempio quello di Agos Ducato, si può facilmente calcolare che con gli interessi la rata mensile di questo prestito viene sui 300 € su un periodo di 10 anni.
[6] Le cause erano fatte in funzione del fatto che la coppia aveva un figlio, i cui bisogni venivano ampliati all’inverosimile.
[7] Numerosissime sono le proposte e i disegni di legge tesi migliorare gli aspetti più deleteri delle separazioni specialmente per salvaguardare i figli, un elenco non esaustivo è il seguente (al senato nelle sole due ultime legislature): ddl 2421 D’Anna et al., XVII legisl., ddl 1756 Blundo et al. XVII legisl., ddl Divina et al. XVII, ddl Stefani et al. XVII, ddl 735 Pillon et al., ddl 768 Gallone et al. XVIII, ddl 837 Balboni et al., XVIII, ddl 1224 Ronzulli et al. XVIII.
[8] Ricordiamo che vige anche l’istituto della reversibilità per cui l’assegno non cessa con la morte dell’obbligato.
[9] Farrell, Warren (2005). Why men earn more: the startling truth behind the pay gap and what women can do about it. New York: American Management Association. ISBN 978-0814472101.
[10] Rino dalla Vecchia nei commenti a L’Interferenza, “Clean Break”, 2 dicembre 2020 cfr. nota [1].