Stipendi da fame


Gli stipendi degli enti locali registrano un record non certo invidiabile: hanno perso potere di acquisto più di ogni altro comparto pubblico

.L’argomento non è nuovo ed è già stato trattato in alcuni contributi matoccorre tornare sull’argomento sviluppando ulteriori argomentazioni.

Gli stipendi negli enti locali sono da sempre fanalino di coda nelle retribuzioni pubbliche e questo sinistro primato rappresenta un problema tanto da suscitare attenzione anche da parte della Ragioneria Generale dello Stato. La dinamica contrattuale degli ultimi decenni ha determinato disparità crescenti sia all’interno di ogni singolo comparto che tra i settori nei quali è stata suddivisa la Pubblica amministrazione.

Chi sperava nel Pnrr per restituire dignità agli Enti locali dovrà quindi ricredersi alla luce della progressiva diminuzione degli organici nei Comuni, nelle ex Province e nelle Regioni e davanti alla erosione del potere di acquisto dei salari.

Non è di aiuto il calcolo dello stipendio medio del personale non dirigente attestato a poco meno di 1800 euro al mese, se prendiamo invece in esame le buste paga dei livelli bassi troviamo cifre decisamente inferiori, dovremmo del resto sempre guardare ai salari reali, in rapporto al costo della vita, e non a quelli nominali, fatto sta che in pochi anni , l’ultimo decennio, la perdita effettiva del potere di acquisto è stata del 5% che va a sommarsi a quanto perduto nei 9 anni di blocco della contrattazione.

I sindacati dovrebbero comunque rispondere almeno a un quesito: come è stata possibile negli ultimi dieci anni la crescita della sperequazione tra salari degli enti locali e quelli dei ministeriali? Perchè le differenze stipendiali nell’arco di un decennio risultano quadruplicate stando a quanto riportato da alcune testate giornalistiche?

 Nel 2013 il dipendente comunale tipo guadagnava il 4,4% in meno rispetto a un ministeriale, oggi la differenza è di quasi il 18%.

Tutte le buste paga attestano l’ erosione del potere di acquisto ma alcuni comparti hanno subito danni decisamente maggiori, le dinamiche contrattuali nel corso degli anni hanno alimentato sperequazioni e disuguaglianze secondo una logica divisiva e iniqua.

Sia lungi da noi criticare gli aumenti contrattuali scatenando al contempo una guerra tra salariati ma dove sta la ratio di processi decisionali che aumentano  voci stipendiali per certi comparti e non per altri?

Non saremo davanti all’ennesima trappola della contrattazione di secondo livello che senza recuperare il potere di acquisto perduto alimenta al contempo trattamenti diseguali?

In ambito governativo  viene difesa la performance e contestato un principio invece giusto ossia quello di prevedere aumenti uguali tra comparti, resta innegabile che alcuni istituti contrattuali sono pensati per alcuni e non per molti altri. Non è in discussione il principio della equità e del trattamento non diseguale tra comparti ma proprio chi rivendica determinati principi all’atto pratico si mostra assai incoerente. Per salvaguardare i salari degli enti locali è forse inaccettabile prevedere aumenti contrattuali superiori in un comparto rispetto ad altri ma dovremmo comunque operare scelte dirimenti e ben diverse da quelle tristemente note.

Innanzitutto urge rafforzare la contrattazione nazionale e non rinviare parte degli aumenti alla contrattazione di secondo livello o vincolare incrementi stipendiali alla performance, al contempo non pensiamo che il welfare aziendale sia una risorsa visto che è stato pensato e strutturato solo per ridurre le risorse al welfare universale e in particolare alla sanità. I bonus restano una trappola insidiosa nella quale siamo caduti da tempo pensando che la sanità integrativa o lo scambio tra aumenti in contanti e benefit avrebbe portato benefici al nostro già traballante potere di acquisto.

Una soluzione potrebbe essere anche prevedere indennità e voci stipendiali identiche per tutti i comparti, equiparando ovviamente il trattamento economico alle situazioni di miglior favore.

Urge calcolare gli aumenti con sistemi ben diversi da quelli attuali, causa della erosione del potere di acquisto, pensare che un aumento medio del 5,7 % restituisca dignità alle buste paga ci sembra veramente paradossale. Perfino Il Sole 24 Ore giudica insufficiente lo stanziamento per il rinnovo dei contratti pubblici tanto  da giudicare “le risorse sul tavolo risultano sicuramente più importanti rispetto a quelle del 2019/21, ma lontanissime da coprire l’inflazione che ha caratterizzato il triennio”.

E se lo dice il giornale dei padroni……

Federico Giusti (delegato CUB negli Enti Locali)

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