In Italia, come in Europa, si fanno sempre più frequenti azioni squadristiche di ucraini nei confronti di esponenti, militanti o manifestazioni dell’estrema sinistra critica. Viene lasciata stare, per ovvie ragioni, quella cosmetica e innocua che prega perché più armi siano consegnate alle trincee.
I casi più recenti a Napoli e a Bologna. Ma sono destinati ad aumentare. Il motivo è semplice. Grazie alla guerra ucraina, divampata nel 2014 e resa alla portata dei più solo nel 2022, cioè quando si è potuto ricalibrare concettualmente il conflitto secondo la semplificazione aggressore/aggredito, le gesta fasciste sono state accolte nella crociata libertaria dell’Occidente. Quindi hanno trovato una loro legittimazione. Una loro ragion d’essere.
In un precedente intervento ho affermato che il liberalismo, nella sua versione contemporanea post-democratica e sovranazionale, e il fascismo, hanno raggiunto un nuovo punto di equilibrio, ancor più pernicioso di quello che trovarono nel ‘900. Perché ammantato di buone stelle progressiste ed emancipatrici dall’esposizione melliflua e mistificatoria dei civilizzatori dall’indignazione a comando.
Quando si dice che i Gramellini, i Mentana, i Paolo Mieli, non rappresenterebbero un vero problema, poiché ormai annientati dal discredito per le loro falsificazioni seriali, si commette un errore. Quegli esponenti del confessionalismo di mercato, ancora indirizzano ciò che può essere considerato un pensiero ragionevole. E tracciano una linea tra l’indicibile e il rappresentabile. Hanno la facoltà di poter rendere credibile il verosimile, quindi il falso.
Ad esempio sulla questione armi all’Ucraina, Mentana ha commentato le esternazioni favorevoli di Mattarella sostenendo che la questione è chiusa. Le opinioni non potranno avere più lo stesso valore. Quelle adiacenti al desiderio belligerante saranno democratiche, le altre no.
Così sostanzialmente si riconsegna credibilità al fascismo sottovalutando la sua riemersione in quegli ambienti europei nei quali questo è cresciuto contemporaneamente ai sentimenti anti-russi. E lo si riabilita all’interno del processo di crisi delle liberal-democrazie occidentali. Quest’ultimo aspetto assomiglia in tutto e per tutto a quello già visto nel secolo scorso. E che sappiamo dove portò.
Questo fascismo, in quanto legittimato, non sarà minoritario ma troverà una sua dimensione egemone, perché sopportato dal buon senso comune. Avrà una sua dimensione di massa. Quella dimensione troverà una collocazione all’interno del mondo progressista, proprio perché sarà questo fascismo a condurre la società aperta alla guerra. Ricucirà in termini guerrafondai il patrimonio culturale dell’uomo/impresa, educato a percepirsi come un guerriero nella vita quotidiana.
Quindi, compito degli antifascisti, è quello, visto il pericolo, oltre al lavoro culturale e di approfondimento, di porre un argine molto fermo di fronte a queste prime manifestazioni di entusiasmo militante dei fascisti d’importazione. Bene quindi ha fatto l’ANPI nel non cadere nella trappola dell’appello alla libertà per il 25 Aprile.
La Liberazione fu lotta non solo militare ma anche culturale, e non si spiegò solo contro i fascisti (invasori e non) ma raccolse un impeto di riflessione sulle cause che portarono all’espansione del nazi-fascismo in tutto l’occidente. Tutte da ricercare nella cultura liberale, coloniale e “democratica”. Anch’essa così pervicacemente civilizzatrice. E intrisa di razzismo evoluzionista.