Space Economy: satelliti, mercato mondiale e catene transnazionali di valore – parte 1/3

Per agevolare il lettore, ho diviso questo mio breve saggio in 3 parti. Qui, nella prima parte, illustrerò l’importanza che riveste oggi la Space Economy, in quanto maggior volano globale  dello sviluppo tecnologico, essendo oramai diventata la filiera produttiva intersettoriale più avanzata di tutta l’economia mondiale capitalistica.

Di primo acchito, il termine Space Economy può far pensare all’industria del turismo spaziale, cioè alle navicelle che offrono a una clientela esclusiva di miliardari e/o plurimilionari l’esperienza spettacolare di un breve viaggio nello spazio, che include l’ebbrezza della velocità supersonica e il divertimento di nuotare nell’aria a gravità zero. Tuttavia, benché riceva molta attenzione mediatica a livello di gossip, il volo turistico nello spazio rappresenta al momento solo una nicchia insignificante (inferiore all’1%) del mercato complessivo della Space Economy. Tanto è vero che le agenzie governative lasciano che questo servizio sia offerto, in regime di oligopolio, da poche imprese private.[i]

Fino a pochi anni fa, la Space Economy era solo un segmento del macro-settore economico delle Telecomunicazioni e un’appendice del complesso militare-industriale sotto la voce “Ricerca&Sviluppo”. A partire dal 2013, però, la Space Economy ha iniziato ad attrarre sempre maggiori investimenti di capitale, fino a diventare, esattamente, la filiera produttiva intersettoriale più importante del sistema capitalistico. Non è di certo casuale il fatto che le grandi cordate di capitale monopolistico transnazionale abbiano iniziato a investire nella Space Economy proprio in mezzo al pantano della Crisi Sistemica Globale del capitalismo, che – ricordiamolo – è iniziata a luglio 2007 (prima, cioè, della crisi borsistica e creditizia legata ai mutui sub-prime) e che, ad oggi, non è ancora finita: ne è prova, ad esempio, anche il fatto che l’acutizzarsi della concorrenza tra le diverse cordate di capitali transnazionali, determinata appunto dalla lunga Crisi sistemica in atto, stia dando inizio alla Terza Guerra Mondiale.

Per dirlo in altri termini, l’aumento degli investimenti internazionali nella Space Economy, a partire dal 2013, è stato mosso dalla ricerca, da parte delle suddette cordate, di innovazioni tecnologiche tali che, se applicate ai vari processi produttivi, possano dare valore aggiunto al prodotto finale, al fine di superare la predetta crisi sistemica di valorizzazione dei capitali. Infatti, come fra poco mostrerò, la Space Economy è diventata la filiera produttiva che immette, più di ogni altra, innovazione tecnologica in numerosi rami industriali dell’economia capitalistica. Per un utile approfondimento delle categorie concettuali che ho utilizzato, rimando il lettore desideroso di “iniziarsi” all’attualizzazione dell’analisi marxista al breve saggio, scritto nel 1999 ma ancora attualissimo, di M. Donato e di Gianfranco Pala, Le catene e gli anelli, edito da “La Città del Sole”.[ii] E’ un libro tascabile di appena 100 pagine, scritto col tipico stile chiaro ma molto denso del Prof. Pala, che tratteggia – e, per quanto mi risulta, fu la prima volta in Italia – uno schizzo sintetico del processo di mondializzazione del capitalismo, nel momento storico in cui i grandi capitali monopolistici internazionali cominciavano a superare lo stadio di accumulazione multinazionale per assumere la forma superiore di catena transnazionale. Puntualizzo anche che il predetto “opuscolo” – così i due autori lo definiscono – dimostra come l’analisi dialettica svolta da Marx nel I Libro de “Il Capitale” offra ancora oggi la più profonda, efficace ed insuperata chiave di interpretazione delle forme che il Capitalismo ha assunto nel suo processo attuale di sviluppo (il mercato mondiale, la filiera di produzione, l’automazione industriale, la catena di valorizzazione, ecc.).[iii]

Tornando alla Space Economy, è interessante osservare che essa non viene neanche citata nel predetto saggio di Donato e Pala, laddove si delinea l’architettura macro-settoriale dell’economia capitalistica. Il motivo è che, nel 1999, essa ancora non esisteva concettualmente. Pensiamo al fatto che nel 1997, intorno alla Terra, orbitavano meno di 50 satelliti. Nel 2007, ve n’erano 350. Nel 2013, i satelliti nell’orbita terrestre divennero 650. Nel 2015, divennero1.000. Raddoppiarono di numero nel 2019. Poi nel 2020, neanche i vari lockdown legati alla fanta-pandemia da Covid 19, bloccarono la crescita degli investimenti nel settore e, così, i satelliti in orbita terrestre aumentarono a 3.300. Nel 2021, hanno superato i 4.000.

Oggi, alla data odierna, la loro crescita è diventata esponenziale: si pensi che solo l’impresa privata di Elon Musk, Space X, ha già immesso in orbita 5.265 mini-satelliti per fornire (a pagamento) l’Internet satellitare “Starlink”. Ma, nel Capitalismo, l’aumento degli investimenti determina anche l’aumento del grado di concorrenza: in questo caso, principalmente (ma non solo) quella che la Cina ha pianificato di muovere allo Starlink di Musk. Ad agosto scorso, il governatore regionale di Shanghai, Cheng Xiangming, ha annunciato il lancio dei primi 1.300 mini-satelliti G60, al fine di creare un sistema geostazionario di internet satellitare planetario, che sarà costituito da una costellazione di 12.000 dispositivi spaziali (vedi foto). Un tale progetto, frutto della partnership tra il governo regionale, la Shanghai Alliance Investment e la Shanghai Spacecom Satellite Technology, non è però l’unica “risposta cinese a Starlink”: in parallelo, la Cina sta costruendo anche un’altra costellazione orbitale, la Guo Wang, che avrà differenti fini commerciali e sarà composta da 13.000 satelliti (i primi lanci inizieranno a dicembre 2023).

Giova rammentare che i satelliti vengono immessi in orbita per mezzo di razzi vettori. E in questa competizione mondiale, il successo economico lo ottiene il competitor che produce un dato bene o servizio ad un minor costo.[iv]Sotto questo aspetto, al momento, Space X possiede un vantaggio competitivo su tutti gli altri concorrenti, che deriva dai minori costi di esercizio richiesti, a livello di lancio e riutilizzabilità, dai suoi razzi aziendali (in particolare, il Falcon 9). Per questa ragione, addirittura la NASA ha preso a noleggio il miglior vettore di Musk, il Falcon Heavy, per lanciare – proprio in questo momento in cui sto scrivendo – una propria sonda scientifica verso l’asteroide Psyche. La NASA ha optato così per il risparmio gestionale, dato che oggi versa in ristrettezze di bilancio, a causa dell’enorme Debito federale degli Stati Uniti e dei tagli al budget dei programmi spaziali che l’Amministrazione Biden è stata costretta ad effettuare, durante l’anno in corso, per finanziare la proxy war dell’Ucraina contro la Federazione Russa.

Dunque, ad oggi il migliore veicolo di lancio della Cina, il Long March-5B, è meno competitivo, dal punto di vista economico, rispetto a quelli di Space X (vedi nota 4). Ma il rapidissimo sviluppo delle tecnologie spaziali è un fattore che può cambiare altrettanto velocemente lo stato di cose esistente nella Space Economy. Infatti, nei settori economici hi-tech più avanzati del sistema capitalistico si verificano, sempre, frequenti rivolgimenti, a causa della“rivoluzione continua delle forze produttive” – concetto che è uno dei maggiori punti di forza dell’analisi dialettica che Marx svolse facendo tesoro della filosofia rivoluzionaria di Hegel.[v]Ovviamente, la “rivoluzione continua delle forze produttive” è un concetto che sta agli antipodi delle baggianate misticheggianti su cui si fonda la subcultura antimarxista del Transumanesimo.[vi]

Oltre alla Cina, anche Amazon minaccia la leadership di Space X, perché ha già investito somme importanti, in termini di capitali, per realizzare una vera offerta planetaria di internet satellitare a banda ultra-larga. Amazon – che, a mio avviso, grazie al lavoro di Jeff Bezos, è oggi diventata una delle più ambiziose cordate di capitale transnazionale – ha già lanciato con successo nell’orbita bassa terrestre, pochi giorni fa (il 6 ottobre), i primi 2 satelliti del “Progetto Kuiper” (dal nome dell’estrema regione del nostro sistema solare: quella che si estende dall’orbita più esterna di Nettuno fino ad una distanza di 55 UA rispetto al Sole). Sebbene sia meno visionario (per effetto di droghe) e più concreto di Elon Musk nel management di una catena di capitale transnazionale, dopo averlo ad oggi già superato nell’offerta più economica di turismo spaziale, Bezos ha già fiutato il business anche in quest’altro ramo della Space Economy e con il suddetto “Progetto Kuiper”vuole realizzare, entro il 2029, una costellazione di 3.276 satelliti in grado di offrire la connessione dati a banda ultra-larga dagli abissi sottomarini delle Marianne fino alla Luna e a Marte – in previsione di future colonie umane, ovvero anche laddove oggi lo Starlink di Musk non arriva. Infatti, la capacità tecnica di copertura dello Starlink del mitizzato guru transumanista non è planetaria, come forse si crede, ma è limitata a soli 60 Paesi e i suoi utenti, a maggio 2023, sono soltanto 1,5 milioni di abbonati. Va detto anche, però, che Musk ha già raccolto la sfida di Amazon, annunciando che potenzierà la rete Starlink con altri 36.000 satelliti. Inoltre, dotando quelli già in orbita di un “modem eNodeB avanzato”, Musk prevede di trasformare già dal 2024 i suoi satelliti in torri di telefonia cellulare spaziale per offrire il nuovo servizio “Direct to Cell”, che consisterà nella trasmissione via satellite della messaggistica, sia di vocale che di testo, e nella connessione dati degli smartphone abilitati[vii] con tutti i dispositivi dell’Internet of Things.

L’aspetto che, però, qui mi preme di più sottolineare è questo: da “perfetto manager” di una catena transnazionale di capitale, Bezos mira a ridurre lo svantaggio di costo del trasporto spaziale, rispetto a Starlink, del “Progetto Kuiper” concatenandolo all’innovazione tecnologica creata dalla United Launch Alliance, una start up creata da Lockheed Martin e Boeing (due multinazionali del settore aerospaziale), ovvero puntando sull’efficienza del nuovissimo razzo vettore Atlas V, con motore a combustibile liquido.

La riduzione dei costi del trasporto spaziale si può raggiungere in due modi: costruendo razzi di nuova generazione con maggior portata di carico e riutilizzabili dopo il primo lancio (come i Falcon di Starlink); e/o costruendo motori a più basso consumo energetico (ad esempio, a metano liquido, a idrogeno, a combustibile chimico sintetico ecc.). In Giappone, l’agenzia statale JAXA sta lavorando in queste direzioni in partnership con la Mitsubishi Heavy Industries per costruire razzi di ultima generazione, in grado di trasportare a costi sostenibili veicoli cargo e piccoli moduli sia nell’orbita che sulla superficie della Luna. Anche la Russia sta lavorando da marzo scorso in questa direzione per sviluppare, per mezzo della NPO Energomash[viii] (una filiale di Roscosmos), il nuovo razzo “Corona”, un velivolo di lancio monostadio riutilizzabile, col motore a combustione di metano liquido, e in grado di decollare e atterrare verticalmente, in modo che possa trasportare carichi dalla Terra verso lo spazio e dallo spazio verso la Terra. Chiaramente, la Russia guarda avanti verso il futuro prossimo della colonizzazione della Luna e poi di Marte, in base agli obiettivi strategici della Dottrina Putin, per come modificata il 30 novembre 2016.

Va detto, ad onor del vero, che i razzi vettori della Russia sono, dal punto di vista economico, i meno competitivi: fino al 2021, un lancio del Soyuz costava 8 volte di più del Falcon 9 di Space X e 4 volte di più del Vikram M4 dell’India. Ciò significa che, dopo la Catastrofe socio-economica del decennio eltsiniano, la Russia oggi non è ancora tornata al livello dell’URSS che, portando a termine l’ultimo Piano Quinquennale dell’epoca staliniana, lanciò nello spazio (il 4 ottobre 1957) il primo satellite terrestre artificiale nella storia dell’Umanità, lo Sputnik, che trascorse 92 giorni in orbita, compiendo 1.440 rivoluzioni attorno al nostro pianeta.

Nessuna descrizione disponibile.

Tuttavia, nonostante la guerra in corso contro la NATO in Ucraina, anche in questo settore industriale, la Russia ha riguadagnato competitività economica nel 2022. E la nomina dell’ingegnere Yuri Borisov, al posto del pur buono Dmitry Rogozin, come nuovo capo della Roscosmos, avvenuta nell’estate 2022, la dice lunga sul desiderio di Putin di spronare la Russia a recuperare il terreno perso nella Space Economy. Non bisogna dimenticare, infatti, che Mosca è già una delle prime 10 Smart City del mondo; più avanti sia di New York che di Los Angeles, e ovviamente anche di Milano, che è la città italiana più smart (mentre di Roma è meglio non parlare proprio, poiché è la capitale meno smart d’Europa, inferiore rispetto a Sofia, Atene e a Bucarest).

Il predetto razzo vettore “Corona”, utilizzabile anche per i voli suborbitali, servirà alla Russia per implementare il “programma Sphere”, già avviato in ottobre 2022 dalla Roscosmos. Finanziato dal governo della Federazione Russa già con 215 milioni di dollari, il programma prevede la creazione, entro il 2029, di una rete di 377 satelliti (alcuni dei quali saranno prodotti dalla Gazprom Space Systems), che forniranno comunicazioni mobili a banda larga anche lungo le rotte del Mare del Nord e del Mar Artico, che oggi non sono coperte dalla radiodiffusione e sono inaccessibili anche ai satelliti geostazionari (compreso lo Starlink di Musk). E ciò è un’opera fondamentale che rafforzerà l’attuale strategia geo-economica della Russia di Putin.

In secondo luogo, il programma Sphere renderà possibile il telerilevamento altamente dettagliato in modalità “Pixel-VR”, sulla base di dati sia ottici che radar,  che consentirà di osservare dallo spazio ogni cosa che si muove sulla Terra in un raggio di 0,5 metri sotto qualsiasi condizione atmosferica, anche attraverso il cielo più nuvoloso. Chiaramente, questa tecnologia satellitare d’avanguardia non sarà utilizzata solo per il progresso scientifico della Meteorologia, ma anche per le attività di spionaggio (dette all’inglese, quindi orwellianamente, di intelligence); per il controllo militare dello spazio terrestre, perché faciliterà sia l’intercettazione di oggetti volanti ostili che la trasmissione istantanea di comandi di controllo ai droni, nonché per la videosorveglianza invisibile, un servizio di monitoraggio continuo a cui ricorreranno tutte le grandi Compagnie di Assicurazione (ma non solo) per azzerare le possibilità di frodi.

In terzo luogo, Sphere farà concorrenza diretta alla summenzionata tecnologia di comunicazione satellitare “Direct-to-cell” che Elon Musk, come ho anzidetto, offrirà dal 2024 agli utenti di Starlink. Infine, cosa molto importante, i servizi forniti dal programma Sphere miglioreranno anche la qualità delle condizioni materiali di vita dei comuni mortali – inizialmente, solo dei Russi – che viaggeranno in auto o in treno, e che in casa o nelle stazioni metropolitane o nei luoghi di lavoro avranno a che fare con  l’Internet of Things.

Il programma Sphere, tuttavia, non è l’unico strumento con cui la Russia sta costruendo la propria catena di valore nel mercato mondiale della Space Economy. Il 25 luglio scorso, nel corso del Congresso Astronautico Internazionale svoltosi a Baku (in Azerbaijan), il Direttore Generale della Roscosmos, Yuri Borisov, ha annunciato che la Russia è già pronta a lanciare in orbita 136 satelliti “ultra-small”, chiamati “Grifoni”, per fornire trasmissione dati ad alta intensità, a livello di comunicazione e di monitoraggio, in ogni Paese del mondo, ma soprattutto all’Africa. Questa dichiarazione di Borisov, a mio avviso, non è sorprendente, se si tiene conto della “geopolitica africana” della Russia, di cui le imprese militari della Wagner sono solo uno strumento esecutivo. Ma è, sicuramente, rivoluzionaria rispetto ai rapporti di forza esistenti circa 10 anni fa: il progetto di donare all’Africa un proprio satellite di telecomunicazioni, indipendenti da quelle imposte dall’Occidente imperialista, per permettere così agli africani di usufruire della telefonia fissa ad un costo 5 volte inferiore rispetto a quello allora corrente, fu una delle tre cause per cui il leader libico Mu’ammar Gheddafi fu barbaramente trucidato, nel mezzo del deserto, da unità militari speciali francesi e americane. Gheddafi fu ucciso così, di sana pianta, senza neanche essere sottoposto a una finzione di processo sommario e farlocco. Gheddafi, che voleva fare per l’Africa quello che oggi, in parte, sta facendo Putin, fu sparato in testa nel deserto. Un’esecuzione così sommaria neanche Totò Riina l’ha mai fatta. E nessuno sa dove sia stato seppellito il cadavere di Gheddafi. Né mai i falsi campioni dei “diritti umani” – l’ONU, la UE e le ONG – si sono preoccupati di saperlo.

L’appoggio politico ad ogni processo di decolonizzazione, che cominciò con l’URSS di Stalin e che costituisce uno dei suoi Meriti Eterni nella Storia dell’Umanità (come dice G. Lukacs), è un cambiamento effettivo della realtà, che migliora le condizioni materiali di vita di vaste masse umane. Chiunque condanna oggi, sommariamente, il movimento effettivo della realtà mondiale che sta avvenendo, nel senso della decolonizzazione dei popoli storicamente oppressi dall’Occidente imperialistico, o è uno stupido oppure è un troskista o appartenente alla “sinistra” liberal o radical, un inguaribile controrivoluzionario che lavora sempre, sotterraneamente, per sabotare ogni processo di trasformazione sociopolitica radicale. Lo dico con un giudizio lapidario: solo questo fu quell’elitario intellettualoide antimarxista, snobista e sempre privo di consenso popolare, che fu il Trotskij.

Tornerò a parlare di questo, per refutare le tesi degli ignavi denigratori del multipolarismo, che purtroppo non capiscono che la condivisione della tecnologia avanzata, rappresenta un evento eccezionale nella storia economica del mondo (non solo in quella del sistema capitalistico). Non mi dilungherò di certo, qui, a delineare la storia della Tecnologia. Sottolineo solamente che, grazie ad una partnership strategica con la Russia e la Cina, il 28 settembre scorso l’Iran, nonostante le forti sanzioni imposte da Washington, è riuscito a lanciare nello spazio il suo primo satellite, il Noor-3, un satellite militare che si è collocato nell’orbita terrestre bassa, ad un’altitudine di 450 km.[ix]Come avrebbe mai potuto l’Iran, senza una technological sharing implementata dal Multipolarismo, costruire e poi lanciare un proprio satellite nello spazio ? In Europa, stante questa Unione Fittizia creata con sede a Bruxelles per imperium di Washington, gli Stati membri praticano la technological sharing solo col massimo della riserva industriale. E non a caso, qui, non ho parlato affatto della posizione che occupa l’Europa nel quadro della Space Economy. Ne parlerò nella seconda parte di questo articolo. Anticipo solo che quella dell’Europa è una posizione declinante.

Riassumendo, nel 1957 l’URSS lanciò nell’orbita terrestre il primo satellite. Nel 1997, cioè 40 anni dopo, i satelliti orbitanti intorno al nostro pianeta erano ancora meno di 50. Nel 2017, cioè 20 anni dopo, diventarono quasi 1.500. Nel 2027, saranno decine di migliaia. Questa si chiama “crescita esponenziale” e dipende, ovviamente, dall’aumento degli investimenti di capitale e non certo dalla fantomatica “legge di Moore”, come affermano i fregnoni dei transumanisti.

Questa crescita esponenziale della produzione industriale di satelliti, che ha determinato anche la nascita e l’espansione di molti altri rami industriali hi-tech ausiliari e connessi (non solo a livello di componentistica), tuttavia, non rappresenta tutta la crescita dell’intero settore della Space Economy. La produzione e i servizi satellitari costituiscono solo il primo asse lungo il quale è avvenuto, a partire dal 2013, lo sviluppo della Space Economy. Il secondo asse è costituito dalle missioni scientifiche di ricerca ed esplorazione spaziale. Poi, dal 2022, gli investimenti di capitale transnazionale hanno cominciato ad affluire anche lungo un terzo asse della Space Economy: quello della conquista dello spazio. Ne parlerò nel proseguo di questo mio saggio, tornando anche a trattare alcune questioni qui sollevate.

 

[i] Su suggerimento di Putin, quando doveva salvare il Bilancio statale della Russia dal default, la Roscosmos (l’Agenzia Spaziale Russa) offrì agli Oligarchi il primo servizio di volo turistico nello spazio al prezzo stratosferico di 30 milioni di dollari a persona. Oggi, invece, il prezzo di un biglietto è sceso, mediamente, a “soli” 350.000 dollari e il turismo spaziale è un affare gestito da un oligopolio di tre imprese private: Blue Origin di Amazon, SpaceX di Elon Muskl e Virgin Galactic che è gestita da Richard Branson, ma in realtà appartiene a Jeff Bezos, in base ai trucchi societari che usano i grandi capitalisti per creare la parvenza dell’esistenza di un libero mercato. Al di là di questo, Virgin Galactic, il 6 ottobre scorso, ha effettuato il suo quarto volo turistico, portando nello spazio il britannico Trevor Beatty, capo della Beattie McGuinness Bungay;il californiano Ron Rosano, uno dei maggiori businessman del Real Estate aMuir Beach (California), e la pakistana Namira Saleem, presidente di una ONG senza scopo di lucro (ma in grado di acquistare per 250.000 dollari il proprio biglietto), che si batte per i “diritti civili” in Pakistan e sostiene lo sviluppo dell’industria spaziale (degli armamenti) come via per instaurare la pace sulla Terra.

[ii]M. Donato – G. Pala, Le catene e gli anelli. Divisione internazionale del lavoro, capitale finanziario e filiere di produzione, “La Città del Sole”, Napoli 1999.

[iii]Ciò in quanto il I Libro de “Il Capitale” contiene, in nuce, tutta la logica di sviluppo del capitalismo e rappresenta il frutto maturo dello straordinario lavoro di ricerca e di analisi cui Marx dedicò tutta la sua vita. Ed è, ovviamente, l’opera fondamentale di Karl Marx, a differenza degli altri due Libri (II e III), che rimasero nello stato di un manoscritto incompiuto (il II) e di un abbozzo (il III): privi, perciò, della compiutezza della Darstellung, ossia dell’esposizione logico-dialettica della materia, modello scientifico che Marx riprese esattamente da Hegel (e proprio l’elevato livello di complessità dialettica che richiede la Darstellung fu il motivo per cui Engels non fu in grado – a causa della sua profonda incomprensione della filosofia di Hegel – di rielaborare in una stesura più compiuta i due summenzionati manoscritti di Marx. Ad Engels dobbiamo riconoscere, tuttavia, il grande merito di aver capito i suoi limiti intellettuali, allorché si astenne, molto saggiamente, dall’apportare alcuna modifica sostanziale al II e III Libro de “Il Capitale” di Marx, quando si occupò con la massima cura del lavoro di editing prima di darli alle stampe.

[iv] Il costo di produzione, in questo caso, corrisponde è dato dal costo minimo che ogni determinato razzo richiede per il trasporto di qualsiasi materiale nello spazio, cioè da quanto costa in dollari il trasporto nel razzo di 1kg di merce. E, in base alle affidabili tabelle di calcolo del Centro Studi Banca Intesa-Fideraum, nel 2021 i razzi vettori di Space X potevano trasportare merci nello spazio orbitale ad un costo pari ad 1/3 rispetto al razzo cinese Long March 4-B (un divario, in termini di costi economici, che è stato ridotto sensibilmente dal nuovo vettore cinese Long March 5-B).

[v] La filosofia di Hegel, che concepisce la trasformazione continua dell’esistente, è la medesima filosofia rivoluzionaria che utilizzò Karl Marx, applicandola però a un dominio più circoscritto di fenomeni, quelli socio-economici. Perciò, chiunque parla di “filosofia marxista” dice una cosa senza senso. Purtroppo, devo constatare che anche alcuni ex allievi del mio maestro, Stefano Garroni, organizzano corsi di studio sulla inesistente “filosofia marxista”.

[vi] Lo sviluppo tecnologico è determinato dalla concorrenza spietata tra i grandi capitali, non dalla pseudo-legge di Moore. L’andamento in Borsa del titolo azionario della Tesla di Elon Musk, che è il “campione” preso scioccamente a riferimento dai transumanisti, basterebbe a falsificare tutti i loro assunti, se solo sapessero fare un po’ di analisi tecnica dei grafici.

[vii] Basterà avere uno smartphone che supporti lo standard di trasferimento dati wireless ad alta velocità LTE.

[viii]In questa opera, la NPO Energomash, diretta da Petr Levochkin, è coadiuvata anche dallo State Rocket Center “V.P. Makeeva”, dal Centro Accademico Keldysh, dall’Istituto centrale di Ricerca di Ingegneria Meccanica, dalla società Agat, e da altri istituti di ricerca di origine sovietica, sopravvissuti o “resuscitati” da Putin dopo la Catastrofe del decennio politico eltsianiano.

[ix] Il portavoce del governo di Teheran, Al-Bahadori Jahromi, congratulandosi con le Forze Aerospaziali della Repubblica Islamica, ha dichiarato che l’Iran mira a diventare, entro il 2031, un leader regionale, in Medio Oriente, per copertura satellitare e fornitura di altri servizi spaziali.

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1 commento per “Space Economy: satelliti, mercato mondiale e catene transnazionali di valore – parte 1/3

  1. Giulio larosa
    19 Ottobre 2023 at 8:39

    Molto interessante

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