La macchina a vapore di Watt
Tecnocapitalismo
Porta il nome di capitalismo il sistema nel quale viviamo. Gli elementi costitutivi di base ne sono la proprietà privata, il mercato, il capitale e la tecnica. Tanto i critici quanto gli apologeti del capitalismo non rimarcano quasi mai l’importanza originaria e costitutiva di quest’ultima. Eppure essa è tanto essenziale da rendere lecita la domanda: cosa sarebbe il capitalismo senza la tecnica? Di più: si può concepire il primo senza la seconda? A queste domande si deve aggiungere l’interrogativo simmetrico: può la tecnica esistere senza gli altri tre elementi, ovvero senza qualcuno di essi? La Tecnica (ora in maiuscolo), ossia l’integrazione tra scienza, tecnologia (scienza applicata) e forma organizzativa sistemica congruente, è il motore della società industriale, attivo in tutte le sue fasi storiche, dagli inizi (emblematicamente rappresentata dalla macchina a vapore di Watt) ad oggi, in quella che definiamo società industriale avanzata (SIA) il cui simbolo può essere tanto il chip quanto il DNA ricombinante.
Struttura a doppia elica del DNA
Tecnocomunismo
Lo sviluppo della società industriale capitalistica nell’Ottocento produsse/indusse anche, tra molto altro ovviamente, sia la nascita di un progetto idealpolitico mirante al superamento della stessa (il marxismo) sia le condizioni sociali della sua realizzazione storica, connubio sfociato poi nella Rivoluzione Russa, la quale abolì bensì il capitalismo in URSS, ma, e ciò va finalmente notato, non respinse né rifiutò l’industrializzazione e con essa la Tecnica che ne è il cuore. Tutt’altro. Il progetto andava infatti in direzione diametralmente opposta: non contro la Tecnica ma a suo favore. Ancora nei primi anni Sessanta in URSS (e non solo) si pensava infatti che proprio il sistema socialista fosse il più adatto allo sviluppo della società industriale (delle “forze produttive”, nel lessico di allora). Né il progetto idealpolitico marxista (abolizione del capitalismo) né la sua storicizzazione (il socialismo reale) ebbero dunque di mira il superamento e/o l’eliminazione della Tecnica. Non andrebbe dimenticato.
Un tentativo abortito
Dalla Rivoluzione d’Ottobre alla caduta del Muro dunque, sono state compresenti nella storia due forme di società industriali, entrambe fondate sulla Tecnica, pensate e strutturate per il suo incremento e poste al servizio del suo sviluppo, sia pur sotto motivazioni ed obiettivi diversi/opposti. Ma questa diversità/opposizione non può ingannarci e la lettura che oggi possiamo/dobbiamo dare di quella doppia presenza è questa: la via della Tecnica imboccò due strade una delle quali si è mostrata impercorribile nel momento in cui essa stava per abbandonare l’età del macro (società dell’industria pesante – Watt) per entrare nell’era del micro (società industriale avanzata – chip/DNA). Una di quelle strade si è dunque rivelata un vicolo cieco e dalla caduta del Muro (omologo delle 4 Modernizzazioni di Deng) è rimasto un solo sistema.
La creatura si fece Dio
E’ appartenuta ad entrambi i sistemi l’idea che la Tecnica sia/fosse uno strumento, un insieme di fattori guidati perché comunque governabili, dominati e sempre dominabili e che essa si giustifichi e si legittimi in quanto sarebbe “al servizio dell’uomo”. Questi sono i due caratteri fondamentali dell’ideologia di cui la Tecnica è prodotto ed al tempo stesso produttrice. Queste sono tuttora le fonti della sua legittimazione a livello di massa, solida e ben radicata, benché alcune ombre siano apparse da tempo a contaminare la prospettiva di un suo (e nostro con lei) eterno, luminoso futuro, quale ad esempio la questione ecologica. Non sono però mancati osservatori capaci di vedere il fatto essenziale del rapporto Tecnica/umanità (ovvero Tecnica/Politica): il rovesciamento dei ruoli, il tradimento delle funzioni e la natura ormai depistante (ideologica in senso proprio) dell’idea secondo cui la Tecnica sarebbe uno strumento. Si è capito che lo strumento è diventato il fine, ovvero che la dinamica si è resa autonoma e che il rapporto si è capovolto. Si può parlare oggi di umanità al servizio della Tecnica e non viceversa: la Tecnica non è più guidata, ma ormai guida, non riceve ordini, viceversa li dà, non subisce i valori ma li impone. Se in questa nuova visione prospettica c’è del vero, poiché il solo sistema esistente è quello capitalista, diventa sensato chiedersi se sia questo ad usare la Tecnica o se invece non sia questa ad usare quello. In questa ristrutturazione gestaltica il capitalismo non sarebbe altro che il sistema mantenuto in vita, alimentato e sostenuto dalla Tecnica ai fini della sua eterna riproduzione/espansione. Non è più il primo che usa la seconda, ma è questa ad usare il primo. Eterogenesi dei fini.
Ambivalenza e seduzione
La potenza materiale della Tecnica non ha bisogno di venir sottolineata. Ma ciò che importa qui è la sua capacità di raccogliere consenso, di “farsi amare” e di imporre i suoi valori. Su questo versante la sua vera forza consiste nella straordinaria capacità seduttiva delle sue realizzazioni e nella inattaccabilità quasi assoluta di buona parte delle sue conquiste. Chi rinuncerebbe agli antibiotici e abolirebbe la chirurgia? Chi distruggerebbe le macchine agricole, farebbe a pezzi la TAC, i telefonini e Internet e gran parte della panoplia dei beni, dei servizi e dei sistemi che hanno condotto l’umanità a moltiplicarsi quasi per 10 nel giro di 200 anni? Come si può condannare in toto e radicalmente quel motore che ha raddoppiato l’aspettativa di vita sul pianeta, (pur riducendo nel contempo l’aspettativa di vita del pianeta stesso)? Chi oserebbe? Di fronte a queste conquiste il cui valore nessuno riesce a negare, anche i critici più feroci si premuniscono e si proteggono, anteponendo i dovuti distinguo: bisogna salvare la parte buona e combattere quella cattiva, bisogna ricondurre la Tecnica a strumento strappandola dal ruolo che ha assunto: quello di determinare i valori e perciò il destino. Non bisogna gettar via il pupo insieme all’acqua sporca. Così si dice, pensando che sia ancora possibile, ma lo è?
Tecnoetica
Quali siano quei valori è ovvio: tutto ciò che la alimenta è bene, ciò che la frena è male. Ogni nuovo prodotto, sistema, dispositivo, metodo, ritrovato (ed ogni nuova trovata), devono “implementarsi” nel sociale. Chi si oppone … è perduto. Il dogma è questo: ciò che si può fare è bene e perciò deve essere fatto. Di qui la nascita di infiniti “diritti” tra i quali scelgo questo: tutte le forme riproduttive tecnicamente possibili sono contrabbandate per ciò stesso come buone e giuste, veicolo di libertà e di autodeterminazione del soggetto e la loro universalizzazione condicio sine qua non dell’eguaglianza. Ecco infatti che arriva Michela Marzano a sintetizzare la nuova etica da applicarsi contro la Legge 40 di recente cassata. Prima fa sue le motivazioni della Consulta: “Il desiderio di avere figli è l’espressione della fondamentale e generale libertà di autodeterminarsi e non può che essere incoercibile anche quando sia esercitata mediante la scelta di ricorrere alla tecnica di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo” quindi chiarisce che “Nel documento, la Consulta fa non solo riferimento al diritto alla salute, ma anche e soprattutto al principio di uguaglianza che sarebbe violato nel momento in cui si permettesse di procreare grazie alla medicina solo a quelle coppie sterili che non hanno necessità di ricorrere ad un dono di gameti.” infine ordina al Governo di provvedere immediatamente “Senza farsi influenzare dai “guardiani della morale” che, dimenticando che la difesa dell’uguaglianza è uno dei pilastri dell’etica pensano sempre di sapere meglio dei diretti interessati ciò che è giusto o sbagliato per il loro bene”.
I “guardiani della morale” (insomma i “moralisti”) sono dunque coloro che si oppongono al dominio totale della Tecnica ed al suo potere di determinare il bene e il male, si oppongono alla tecnoetica, a questo micidiale principio: ogni desiderio la cui soddisfazione sia resa possibile dalla Tecnica sale al rango di un diritto inalienabile. La Marzano[1] non può vedere che il propagandato “diritto inalienabile” di beneficare di ogni nuova trovata non è altro che il potere della Tecnica di imporsi alla totalità del sociale e che, novella divinità, definisce per tutti il bene ed il male e così si fa Destino.
Polarità femminile
Chiudendo, mi limito ad indicare il fatto che tutte le invenzioni, i ritrovati, i dispositivi e i sistemi tecnici (nella SIA) sono di polarità femminile e ne materializzano – in una deriva senza fine – i valori: durata contro intensità della vita, sicurezza contro rischio. Semplificazione operativa, sostituzione dell’energia fisica, estensione delle “comodità”, castrazione della manualità. Il funerale dell’Homo Faber. Una mutazione antropologica. E della libertà cosa resterà? Quel che ci può concedere la Grande Sorella: una illusione, un fantasma.
[1] Qui la Marzano, di cui riportiamo integralmente l’articolo:
Eterologa e guardiani della morale
ORMAI non c’è più scusa che tenga. Che si tratti dei centri pubblici o dei centri privati, nessuno potrà più rifiutare un’inseminazione eterologa alle coppie sterili.
La Consulta ha bocciato il divieto previsto nella legge 40 e, da qualche giorno, è possibile per chiunque andare a leggere le motivazioni esatte della sentenza. La Corte di Cassazione è stata molto chiara: “Il desiderio di avere figli è l’espressione della fondamentale e generale libertà di autodeterminarsi e non può che essere incoercibile anche quando sia esercitata mediante la scelta di ricorrere alla tecnica di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo”.
Nel documento, la Consulta fa non solo riferimento al diritto alla salute, ma anche e soprattutto al principio di uguaglianza che sarebbe violato nel momento in cui si permettesse di procreare grazie alla medicina solo a quelle coppie sterili che non hanno necessità di ricorrere ad un dono di gameti. Nessun vuoto normativo, quindi. Nonostante le solite lamentele di qualche parlamentare del Centro Destra, di Forza Italia o della Lega. Nonostante le paure di quanti, invocando la sacralità della famiglia, immaginano che mettere al mondo un bambino che non ha lo stesso codice genetico dei genitori equivalga a privarlo delle proprie radici. Ma come si fa a pensare che la provenienza genetica sia un requisito della famiglia? Perché identificare le origini biologiche con la storia familiare?
Il diritto alla conoscenza delle proprie origini è sacrosanto. È sempre la Consulta a ricordarcelo in un’altra recente sentenza, quella del 18 novembre 2013, quando si era dovuta pronunciare sui figli adottati e non riconosciuti alla nascita dai genitori biologici. Ma quando si parla di origini, si parla sempre della storia che ci ha preceduto, quella storia che ci ha portato ad essere stati o meno desiderati, ad essere stati o meno accettati al momento della nascita. Imparare da dove si viene serve infatti a capire dove si vuole andare. Anche quando il percorso non è stato lineare. Anche quando, per nascere, c’è stato bisogno di ricorrere ad un dono di sperma o di ovuli.
Ormai è giunto il momento, anche in Italia, di prendere atto del fatto che la legge 40, invece di aiutare le coppie sterili ad avere figli, non faceva altro che generare nuove forme di discriminazione, alimentando così il tristemente noto fenomeno del turismo procreativo. Ora si tratta solo di aggiornare le Linee Guida per i centri specializzati in procreazione medicalmente assistita. Delle indicazioni minime, e tuttavia necessarie, affinché i centri agiscano rispettando i diritti non solo delle coppie, ma anche dei futuri bambini. Speriamo che il Ministero della Salute se ne occupi il più velocemente possibile. Senza farsi influenzare dai “guardiani della morale” che, dimenticando che la difesa dell’uguaglianza è uno dei pilastri dell’etica, pensano sempre di sapere meglio dei diretti interessati ciò che è gusto o sbagliato per il loro bene.
Twitter: @MichelaMarzano
(17 giugno 2014)