La verità si rivela solo ad uno sguardo d’insieme, se si resta ad una visione parcellizzata si corre il rischio di indignarsi dinanzi a singoli episodi di cronaca senza comprendere il sostrato che li accomuna nella tragica e comune verità. Su non pochi quotidiani si riporta il caso denominato “ragazza di cioccolata”. In un hotel sardo una ragazza è stata esposta agli ospiti ricoperta di cioccolata come fosse un piatto da gustare e consumare. Le cronache riportano lo scandalo di uno degli ospiti, mentre gli altri clienti fotografavano l’evento. Nel contempo si succedono atroci violenze di gruppo e promozioni a suon di TAR. Tali episodi sono tra di loro differenti, ciò malgrado svelano come il “male” che ammorba il tempo presente non è evocato, in tal modo continua a proliferare e a penetrare in ogni relazione. Il male si forma nella materialità relazionale degli uomini e delle donne, non è presenza astratta o diabolica, è nell’ordine del discorso regnante.
Ad una lettura più attenta tali episodi come altri svelano la verità in cui siamo gettati. L’innominabile male è il modo di produzione capitalistico nella sua fase apicale e assoluta. Il capitale ha fondato una società eticamente neutra, nella quale ogni nozione e discussione sui valori e sul bene è stata neutralizzata dal relativismo nichilista.
Il nichilismo del capitalismo è altro rispetto al nichilismo filosofico di non pochi filosofi, da Protagora a Nietzsche, i quali con la ragione martellavano la solidità delle opinioni e dei valori comuni. Il nichilismo capitalistico, invece, è profondamente conservatore, riduce tutto a merce: cose e persone sono poste sullo stesso livello, sono mezzi da usare, consumare e buttare via. L’irrilevanza e l’alienazione sono le espressioni vive e materiali del nichilismo capitalistico.
La libertà è libertà di usare l’altro sempre come mezzo e mai come fine. La reificazione è, dunque, il pane quotidiano di ogni cittadino che vive nella contemporaneità.
Se ogni valore e katechon sono crollati sotto il peso martellante della società di mercato, l’unico valore sopravvissuto e che regola le relazioni è il valore nella forma del denaro-merce. Il denaro è il valore che stabilisce il merito e la fortuna di ognuno. La ragazza di cioccolata, non più di sangue e carne, è in tale logica la normalità svelata del capitale. La sua condizione all’interno del sistema produttivo, le permette in teoria di dire “no”, ma in concreto il “no” potrebbe implicare conseguenze che per coloro che hanno assistito alla sua malinconica mercificazione non sono pensabili. Se tutto è merce, non si immaginano razionalmente ed empaticamente i pensieri di una giovane donna esposta pubblicamente come fosse cioccolata, per i più era solo “cioccolata vivente” o semplicemente una trovata goliardica da condividere nei social. Se la realtà è questa, le relazioni tra gli esseri umani sono strutturate secondo logiche predatorie. Le violenze di gruppo, forse, sono da leggere, anch’esse, all’interno di tale cornice. L’altro è da predare per i propri appetiti, è merce, anche se si tratta di un essere umano. La chiusura nichilistica all’altro non favorisce certo il logos e l’alfabeto dei sentimenti. Una società basata solo sulla merce, in cui tutto è azienda insegna a predare all’interno delle regole del mercato, la cui legge prima è la forza nella forma del denaro, della conoscenza, dell’estetica e muscolare. La forza darwiniana si può declinare in modo polimorfo e plurale. In una realtà della predazione in cui il “bene è il valore-merce”, non c’è pietà per i più deboli.
La formazione non riesce ad essere un valido katechon a tale terrificante deriva. In questi giorni si discute del caso di una studentessa bocciata dagli insegnanti e promossa dai giudici del TAR. La formazione è sotto ricatto, è possibile non studiare e, nel contempo, essere promossi, se il censo e la legge lo permette. La scuola azienda non pensa il mondo, ma lo riproduce, se a ciò si aggiunge il declino dell’istituto famigliare, possiamo ipotizzare quanto il male-capitale abbia il gioco facile. In tale cornice le nuove generazioni sono in uno stato di abbandono. Non hanno punti di riferimento saldi che possano contribuire a formarli umanamente nel rispetto di sé e dell’alterità. Il capitalismo destruttura i caratteri, in quanto senza struttura caratteriale ed etica si è più facilmente mercificabili.
Le discussioni e le polemiche estive risultano capziose, in quanto se non si fa emergere il male, se non lo si chiama con il suo nome, ogni discussione ed intervento rischia di essere “chiacchiera estiva”, in attesa di nuovi scandali da vendere e da cui guadagnare.
La nostra è una società di guerra e di predazione, ogni persona in tale cornice può essere preda e predatrice. La tragedia si fa palese negli ultimi, i quali sono il sale della Terra, sono la verità dinanzi ai nostri occhi spesso orbi. Gli ultimi sono tali, perché il sistema è fondato sull’ingiustizia, essi sono continuamente nel ruolo della preda. La struttura liberista con i suoi oratores vuole oscurare tale verità, pertanto dinanzi ad ogni tragica evidenza ci si appella a pene più severe. Nessuna pena, anche la più estrema, può cambiare un sistema fondato strutturalmente sulla predazione, anzi vi è il rischio, che la pena più severa possa valere e ricadere sui più deboli. Il denaro erode l’uguaglianza formale come K. Marx ha ampiamente dimostrato nei suoi scritti. Nessun partito politico parlamentare osa introdurre il tema della lotta di classe e degli investimenti nel sociale e nell’educazione. Ciò che è pubblico dev’essere saccheggiato, in tal modo la comunità umana evapora sotto il giogo del capitale.
La società di guerra ha un numero indefinibile di complicità silenziose che si intrecciano. Solo un’analisi olistica potrà riportare la verità nella menzogna, altro volto della violenza, e riportare la prassi dove regna l’acqua stagnante della violenza. Alla filosofia spetta il compito di non tacere e di non rifugiarsi in vaneggiamenti funzionali al liberismo. Riportare al centro la verità è il primo gesto di un rivoluzionario che riporta con la verità la centralità della dignità umana che non cade dal cielo per grazia ottriata, ma è conquista dialogica quotidiana.
Fonte foto: Gazzetta (da Google)