Il 25 aprile non
è una ricorrenza , lo è diventata quando l’antifascismo ha perso per strada
ogni riferimento di classe diventando un corpo valoriale astratto e retorico.
Vale ancora la pena di festeggiare il 25 Aprile ? E allo stato attuale possiamo parlare di festa degli antifascisti? La domanda non è scontata, veniamo da anni nei quali date storiche del movimento operaio sono state svilite e svuotate dei loro significati pregnanti mentre i vari Governi istituivano giornate nazionali per rendere onore a date e ricorrenze ascrivibili al revisionismo storico, alla sostanziale riscrittura della storia passata da parte degli odierni vincitori. Il 25 aprile, la liberazione dal Nazifascismo e la vittoria dei partigiani, celebrato con manifestazioni istituzionali alla presenza delle organizzazioni di reduci e combattenti, di amministratori locali e istituzioni, di partiti anche del centrodestra che non occultano il desiderio di ridimensionare la giornata a festa di tutti gli italiani, inclusi quanti stavano nella Repubblica di Salò. Come è possibile celebrare la vittoria sul fascismo con esponenti di destra che non fanno mistero della loro profonda avversione ai partigiani e, guardando con nostalgia al ventennio, non passano giorno in cui non celebrino l’eroismo dei militari che combatterono in difesa del colonialismo Mussoliniano e monarchico?
Negli ultimi decenni
abbiamo assistito al progressivo cedimento dell’Anpi a un ruolo istituzionale,
di mera rimembranza di pagine storiche spesso decontestualizzate, di
valori quotidianamente calpestati.
E silenzio imperante
sulla militarizzazione delle scuole e delle università, sui militari che si
improvvisano docenti ed educatori su svariate materie, sugli stages scuola
lavoro organizzati nelle basi militari Usa e Nato fino alle visite
guidate nelle fabbriche di armi. Siamo davanti alla insistente retorica
dell’antifascismo che evita di scontrarsi con la necessità di non fare i conti
con il fascismo storico e con le eredità lasciate alla repubblica antifascista.
Eredità pesanti come il codice Rocco, i codici penali ereditati dal ventennio,
la sistematica espulsione dei partigiani da ruoli di vertice nelle questure e
nelle Prefetture all’indomani dell’amnistia Togliatti, antifascisti
sostituiti da funzionari asserviti e fedeli al fascismo epurati per il tempo
strettamente necessario a non suscitare clamori e proteste salvo poi farli
ritornare ai loro posti. E silenzio assoluto sugli antifascisti che dopo il
1947 vennero incarcerati o furono costretti ad espatriare.
Una perfetta continuità
tra fascismo e repubblica antifascista di cui portiamo ancora i segni come
dimostra il codice penale vigente (di epoca fascista), le legislazioni
emergenziali che dagli anni settanta arrivano ai nostri giorni, potenziate dai
pacchetti sicurezza approvati anche dai governi di centro sinistra.
Fare i conti con il
fascismo e le sue eredità dovrebbe indurre ad esempio l’Anpi a prendere le
distanze dalle celebrazioni di rito a livello istituzionale, a rimettere in
discussione il passato colonialista oggi preso ad esempio come modello di
eroismo e sistema valoriale da trasmettere alle giovani generazioni. Al
contempo ogni pretesto è buono per favorire la militarizzazione delle scuole,
per celebrare la presenza di Fondazioni legate alle imprese belliche negli
atenei ove sono sono attive per indirizzare la ricerca a fini di guerra, per
produrre tecnologie dual use che ritroveremo ampiamente utilizzate in campo
militare.
Il 25 aprile da tempo non è la festa dell’antifascismo ma si presta invece come pretesto per operazioni di revisionismo storico e politico, per giustificare o edulcorare il fascismo storico, per gettare le basi della dilagante militarizzazione del corpo sociale. Noi siamo convinti che non ci sia alcuna possibilità di affermare un sistema valoriale antifascista senza pratiche conseguenti. Parlavamo un tempo di antifascismo militante che non si è solo concretizzato nella aperta contestazione dei continuatori del fascismo nei nostri giorni ma in una costante azione di denuncia delle nefaste influenze che il fascismo (ancora oggi) manifesta sotto l’egida dell’antifascismo istituzionale. Del resto affidarci a esponenti del Governo o affiancarli nelle cerimonie ufficiali appare un autentico oltraggio agli antifascisti.
Da quando nel 2019 il Parlamento Europeo ha equiparato nazismo e comunismo con il voto favorevole del centro sinistra, è entrata nel vivo una autentica riscrittura della storia novecentesca a uso e consumo del bellicismo imperante. Ma prima ancora di quella infame Risoluzione erano arrivate le esaltazioni, ai tempi della guerra nella ex Jugoslavia, degli ustascia e dei cetnici o lo sdoganamento dei ragazzi di Salò.
Un autentico revisionismo
politico e storico che avviene puntualmente anche con la equiparazione
dell’antisionismo con l’antisemitismo per giustificare l’operato di Israele e
in casa nostra con la militarizzazione delle scuole, con le stragi di migranti
nel Mediterraneo verso cui diffusa è l’ignavia o la noncuranza.
E in questo contesto prende corpo quel famigerato luogo comune secondo il quale la storia andrebbe lasciata in pace o relegata ai libri (che ormai in pochi leggono) perchè oggi sarebbero presenti ben altre minacce all’orizzonte, quelle minacce costruite ad arte per dividere i ceti popolari e per giustificare il ricorso strutturale alla guerra, alla militarizzazione e all’austerità salariale che ormai sono le armi, ideologiche e politiche, con le quali vanno costruendo, nel nome della produttività, il mercato unico europeo.