Rossana Rossanda è stata fino al suo ultimo giorno una comunista del ‘900, un intellettuale che non ha mai rinunciato alla politica. Mi è stata maestra nella seconda metà degli ‘70, insieme al resto di quel formidabile gruppo di intellettuali, giornalisti e dirigenti politici che fu “il manifesto”. Di loro rappresentava un po’ la chioccia e per noi giovani studenti un’autorità che fu soprattutto culturale. Era stata, infatti, responsabile culturale del PCI dal 1964, nominata da Palmiro Togliatti. Un incarico prestigiosissimo, da dove cercò di avviare un radicale rinnovamento che non ebbe alcun successo dentro il PCI. La sua formazione filosofica milanese, allieva di Antonio Banfi, l’aveva portata a conoscere e dialogare con la cultura francese radicale ed egemone nell’Europa degli anni e 50 e 60. Fu buon amica di Jean Paul Sartre e di Louis Althusser, cosi come conobbe più tardi Michel Foucault: esistenzialismo, cioè neo umanesimo, strutturalismo, cioè neo spinozismo e ricerca del radici “disciplinari” della modernità. Approcci che avrebbero aiutato ad affrontare il “neocapitalismo”, che anche in Italia si andava affermando con il boom economico, ma che non scalfirono il grosso del PCI. Dopo la sconfitta della linea ingraiana all’XI congresso nel 1966, arrivò la radiazione nel 1969. Sarà, da allora, soprattutto la direttrice e l’animatrice principale de il giornale Manifesto. Da quel clima francese, aveva mutuato quel certo approccio illuministico, ritenendo la chiarificazione culturale e teorica preliminare all’azione e al compromesso politico. In ciò era molto distante dal realismo di Lucio Magri all’altro polo di quel gruppo, benché manterrà con lui un rapporto umano profondissimo, fino alla fine. Entrambi sono però, figli della seconda generazione di comunisti del 900 e vivono vita e militanza come una cosa sola, come “progetto” secondo il concetto di Sartre, l “engageé”. Due i passaggi più significativi della sua iniziativa politica: nel 1968 con L’anno degli studenti individua nel soggetto giovanile un possibile elemento di rinnovamento del movimento operaio; rispetto ad altri gruppi, operaisti e spontaneisti, è però convinta che occorra una mediazione per depurare la ribellione giovanile dall’origine borghese; anche qui gioca un ruolo importante la cultura. L’altro passaggio è la lunga e profetica riflessione sulla crisi del socialismo reale; partita dal maoismo del 66-68 (la rivoluzione culturale), si conclude con due convegni su Potere e opposizione nelle società post-rivoluzionarie, dove cercò nel 1978 la creazione di un fronte di dissidenti di sinistra per superare il burocratismo dei sistemi del est Europa. Dialogò ma soprattutto litigò con il femminismo, ritenendo da marxista che fosse determinante la condizione sociale e la scelta comunista per rivoluzionarla. L’ultima battaglia dove ci incontrammo e tutto il gruppo de il manifesto si riunì fu quella, del biennio 1989-91, contro lo scioglimento del PCI, in fondo lei come tutti noi avevamo fatto del tutto per poter modificare un destino segnato per il partito di Togliatti.