Si susseguono notizie poste in risalto su giornali e sui media su colloqui di lavoro e primo Collegio dei docenti svolti in località vacanziere. Lo scenario più gettonato è il mare. Collegio con vista sul mare per scrutare nel “blu dipinto di blu” il progetto formativo. I media riportano colloqui di lavoro per candidati affaticati dall’ansia del colloquio in riva al mare, un modo per rendere il primo contatto con l’azienda meno distante e più amichevole. Le immagini colgono i candidati in fila sulla sabbia ad attendere il loro turno. Troppo caldo, per cui all’emergenza climatica si risponde, anche, con la location lavorativa a misura di emergenza climatica.
L’estetismo prima di tutto, dunque, tutto è “società dello spettacolo”. I docenti possono vivere gli ultimi scampoli vacanzieri, i futuri lavoratori possono trovare sollievo al tormento interiore di finire “precari a vita” nella comoda bellezza di una spiaggia. Con l’abolizione dell’articolo 18, anche il contratto a tempo indeterminato nei fatti è precario, pertanto ci vorrebbero ben altri balsami per calmierare la sofferenza che morde corpo e psiche. L’inessenziale e l’estetismo sono divenuti il surrogato dei diritti e della pubblica discussione. La discussione all’interno dei luoghi di lavoro sul senso del lavoro e sul sistema capitale, è un ragionevole dubbio meritevole di risposta, ha trovato il suo compensativo nell’estetismo. Accontentiamoci dell’apparenza in attesa della sostanza.
Si cerca di offuscare la vista sulla verità della condizione formativa, in cui al centro non vi è lo studente ma il mercato con collegi marini. La bellezza interiore e profonda della formazione è la discussione sui fini oggettivi della formazione, di questo mare del sapere e della prassi avremmo bisogno. La scuola è luogo di benessere, se si pensa il mondo anziché riprodurne le logiche dello spettacolo. Non basta un po’ di mare e un po’ di pubblicità per renderla luogo di formazione. Ci si accontenta in mancanza dell’essenziale di una bella cartolina.
La scuola, come qualsiasi luogo lavorativo, necessita di comunità e diritti sociali e non certo di estetismo un po’ decadente. Nessuna estetica-spettacolo può compensare la mortificazione degli operatori scolastici tutti, dal Preside al personale ATA, che vivono ogni giorno l’ansia dell’assedio. Si è assediati dai genitori, dalla competizione prescritta dal sistema capitale e dal rischio di perdere la direzione se non vi sono sufficienti iscritti, i contenuti, poi, sono stati sostituiti dalle competenze. Le valutazioni sono una operazione ansiogena tra i desideri dei genitori e i numeri degli iscritti. In tale cornice, il mare o la montagna non potranno compensare il disorientamento e la fatica dei lavoratori. I tentativi di rendere l’esistenza più sopportabile con tali operazioni non porterà “modifiche” alla normale condizione di sofferenza generalizzata.
I colloqui sul mare per i futuri lavoratori non possono compensare la mortificante malinconia per il lavoratore che conosce la ben tonda verità: il lavoro dipendente è lavoro precario. Si è sempre sotto ricatto, non a caso la parola “precario” deriva dal latino al latino precarius, «ottenuto con preghiere, concesso per grazia», derivante da prexprecis «preghiera».
Il sospetto è che sia una operazione di marketing organica alla società dello spettacolo. Il mondo del lavoro attende la sua rivoluzione, ovvero il porre al centro il lavoratore quale produttore di ricchezza, mentre nella scuola solo la centralità formativa dell’alunno sganciata dai desiderata del mercato potrà portare nelle aule il “mare dentro le scuole”. L’unica vista mare di cui necessitano i lavoratori sono i loro diritti negati da decenni.
Fonte foto: BariToday (da Google)