Non è certo la prima volta che
una corrente di pensiero che si è ritenuta “progressista” si trasformi in
qualcosa di “reazionario”, quando ormai l’avanguardia è passata ad altri lidi e
restano solo le briciole di un consenso vasto ma sciacquo. Secondo Carlo
Formenti [1] il femminismo, anche nelle sue forme più dialoganti e colte,
rischia di essere ormai una battaglia di retroguardia rispetto ai veri problemi
sociali che sono dinanzi a noi. L’impoverimento delle classi sociali meno
abbienti, inclusa la classe media; il cambiamento climatico, antropico o meno,
che è sempre più un fattore nelle nostre vite, con tutti i problemi del finora
mal gestito green deal, o sarebbe meglio dire big green washing;
le guerre e le sanzioni scatenate verso altre nazioni che danneggiano l’Europa
prima di tutto a favore degli altri attori mondiali; la crisi demografica che
pone una gravissima minaccia sul futuro dei nostri figli per il restringersi
della base dei lavoratori i cui contributi servono a pagare le pensioni. L’Italia
ha tutti questi problemi, in particolare l’ultimo visto la bassissima natalità,
più altri che derivano dalla catastrofica inadeguatezza della sua classe
politica abile solo a creare farse teatrali (ha per settimane occupato ed
occupa i giornali il ridicolo caso Boccia come se fossero notizie di una
qualche importanza). Stime ONU sembrano indicare che nel 2100 l’Italia avrà 36
milioni di abitanti, il che vuol dire una contrazione automatica di almeno 1/3
del PIL cosa che renderà a livello internazionale il peso della nazione di
fatto impalpabile.
Nel regresso demografico uno
zampino ce lo ha messo indubbiamente anche l’attacco alla famiglia che è
diventata una vera ossessione di molti specialmente nella sinistra liberal e, a
fortiori, cavallo di battaglia di molto superficiale femminismo nostrano, basti
ricordare il successo del pessimo film della Cortellesi o l’assassino Turetta
definito “figlio sano del patriarcato”. In confronto a solo uno dei temi
accennati sopra l’esistenza o meno di un “problema del/col patriarcato” sembra
una ridicola presa per i fondelli, roba da filmetto domenicale per le famiglie
appunto.
Qui vorrei sollevare il velo su un altro regresso che è quello dell’affido condiviso, mai veramente applicato in modo serio. Dopo una grande fatica legislativa, ma sotto la spinta di un vero progressismo bipartizan da parte della classe politica di allora, si era finalmente giunti dopo dieci anni di discussioni alla legge 54/2006 sull’affido condiviso dei figli. Ma l’approvazione della legge comportò il saldarsi di due posizioni apparentemente antitetiche, quella femminista e quella tradizionale della maternal preference, presto esse si coalizzarono per affossare la legge. Infatti, le femministe, assumendo una posizione simile ai tradizionalisti, rivendicavano anch’esse la natura privilegiata del rapporto madre figli. Per di più la legge non sanava completamente il problema del mantenimento e della casa familiare, cose che erano, e restano anche oggi, a tutto vantaggio delle donne. In questo il dibattito italiano non è stato diverso da quello avvenuto venti anni prima negli US dove il femminismo si arrogò il diritto di conservare alle donne la custodia dei figli a tutti i costi, fatto che portò l’attivista Warren Farrell a uscire da NOW. Ma questo ormai è storia.
Tuttavia la legge ora esisteva e
poteva essere applicata anche in una forma favorevole all’equilibrio tra padre
e madre. Molto presto alcuni giuristi (tra i quali il dr. Casaburi del
Tribunale di Napoli, autore anche di numerosi libri di diritto) scrissero
gattopardescamente che nulla sarebbe cambiato: sarebbe stato sufficiente
definire “affido condiviso” la frequentazione consistente in due visite
settimanali e i fine settimana alterni per l’altro genitore (nel novanta
percento dei casi il padre). Ma non bastava neanche questo: successivamente fu
introdotto con la riforma della filiazione nel 2012, attraverso il concetto di
“residenza abituale” l’idea che il genitore che vivesse appunto nella
“residenza abituale” del minore fosse anche il “collocatario” del minore,
termine al quale oggi molti dispositivi fanno riferimento [2]. L’autrice di quello che è stato praticamente
un’inciucio durante il governo Monti, poiché la riforma della filiazione non
doveva entrare nelle questioni riguardanti l’affido dei figli, sembra sia stata
la dr.ssa Velletti consulente del governo insieme al prof. Bianca.
Solo nel 2017 la dr.ssa Palazzo
del tribunale di Brindisi, osò sfidare il concetto di “residenza abituale” e/o
“collocatario” definendo un percorso per l’affido condiviso che ne facesse a
meno. Ma a quanto pare senza avere particolare successo al di fuori di pochi
altri tribunali [3]. Da allora molta acqua è passata sotto i ponti e ormai
siamo a ben diciotto anni di presunta applicazione dell’originaria legge
del 2006. Che vi sia stato un evidente regresso è palese da molti fattori: lo
standard continua ad essere quello delle visite settimanali e dei fine
settimana alterni, e i tempi di frequentazione sono rimasti pressoché gli
stessi pre-condiviso, ma ora con l’assurda campagna sul maschio ‘tossico’ e
l’idea perversa che viviamo in una società ‘patriarcale’, il clima generale si
è fatto più cupo e questo sembra riflettersi anche su un effettivo regresso
negli affidi, tanto che alcune esponenti politiche della sinistra liberal si
sono spinte a chiedere persino di abolire o modificare la legge.
Questo avveniva prima che
fosse diffuso anche da noi lo studio di Harkovita et al. [4]. Le ricercatrici
finlandesi dell’Università di Turku (in collaborazione con l’Università del Wisconsin
– Madison) analizzano lo stato della Joint Parental Custody (JPC, ovvero
l’affido condiviso) in diversi paesi europei per mezzo di un campione
abbastanza consistente (9102 bambini in 17 paesi europei), il risultato
principale è riportato nella figura mostrata qui sotto: l’Italia figura tra i
paesi in cui il JPC è meno applicato, in pratica solo l’1,9% dei bambini
italiani ha frequentazioni paritarie (50% del tempo) in caso di separazione dei
genitori, a fronte di numeri sostanzialmente più alti in molti paesi come
Svezia (40%), Francia (14%) e persino Spagna (14.1%). Ne è migliore il dato che
gli autori chiamano unequal JPC, ovvero un affido condiviso ma con tempi di
frequentazione diversi (minimo 33% di pernottamenti, ovvero da 10 a 14 giorni,
o simmetricamente da 16 a 20 per l’eventuale parente che non ha il domicilio
del minore, caso che da noi non si verifica praticamente mai dato che il
‘collocatario’ è sempre quello che vive nella ‘residenza abituale’ del minore):
il dato italiano in questo caso come si può vedere dalla figura solo
leggermente superiore a quello del semplice JPC.
Naturalmente, vi sono altri paesi che hanno numeri peggiori dell’Italia. Ad esempio la Grecia ha praticamente zero JPC, tuttavia in questo paese una legge sull’affido condiviso è stata approvata soltanto nel 2021. Si deve anche notare che in linea di principio lo studio non distingue il sesso del genitore con cui il bambino risiede la maggior parte del tempo, ma è scontato che questo sia la madre nella stragrande maggioranza delle separazioni poiché è molto raro che un padre abbia i figli oltre il 50% del tempo (questo avviene solo se la madre ha problemi ad accudire i figli, e non è neanche scontato che sia così in quanto i tribunali tendono a fare largo uso dell’affidamento dei figli ai servizi sociali in questi casi).
Tristemente per noi, come si può
vedere dal sottotitolo dell’articolo A
growing phenomenon, gli autori prendono anche in considerazione
l’evoluzione nel tempo rispetto ad un precedente studio sull’affido [5] tra il
2002 e il 2010 (anni in cui in Italia è esistito l’affido esclusivo fino al
2006). La situazione italiana è peggiorata come avevamo ben dedotto
dalle sensazioni sul campo, gli autori infatti scrivono [6]: Only in Hungary
and Italy were there declines, and in both of these countries, equal JPC is
quite uncommon (2.5% and 2.8% in the early data and 0.5% and 1.9% in these
data). Riguardo agli altri paesi, anche alcuni tra quelli che hanno numeri
inferiori all’Italia, ancora si legge: In several countries, the increases
are particularly large, with rates doubling or more in Croatia, Estonia,
Finland, Spain, and Sweden. Thus not only is the level of equal JPC fairly high
across Europe, but the increase over time is relatively widespread. Ovvero
in molti paesi in Europa vi è una crescita della JPC da cui l’ottimistico
sottotitolo, ma non in Italia (la Croazia ha numeri inferiori ai nostri al
momento).
Assistiamo quindi ad un regresso
rispetto ad altri paesi che evidentemente sono autenticamente “progressisti”,
almeno in questo campo il termine abusato è purtroppo aderente alla realtà.
Data l’opposizione di molti esponenti politici della sinistra liberal che si
dicono, anche loro, “progressisti”,
e naturalmente femministi cianciando di dissoluzione della famiglia
patriarcale, mascolinità tossica ed altre contumelie, non possiamo non pensare
che questo “regresso” non dipenda anche dalle scellerate scelte sessiste di
questa inetta classe politica, le cui astruse idee si diffondono nella
popolazione influenzando anche il processo civile.
[1] Carlo Formenti, Guerra e Rivoluzione. Le Macerie
dell’Impero. Meltemi 2023.
[2] DECRETO LEGISLATIVO 28 dicembre
2013, n. 154,
Art.39.
,
[3] Affido condiviso: le nuove linee
guida di Brindisi,
Marino Maglietta, 20 giugno 2021.
[4] Mia Hakovirta, Daniel R. Meyer, Milla Salin, Eija Lindroos,
Mari Haapanen, Joint physical custody of children in Europe: A growing
phenomenon, Demographic Research: Volume 49, Article 18, 479–492, https://www.demographic-research.org/articles/volume/49/18.
[5]
Steinbach, A., Augustijn, L., and Corkadi, G. (2021). Joint physical custody
and adolescents’ life satisfaction in 37 North American and European countries.
Family Process 60(1): 145–158. https://onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1111/famp.12536
[6] Il confronto è possibile solo per la classe di età 11-15 anni, poiché questo riporta lo studio di Steinbach, ma tuttavia il regresso è comunque presente, e non sembra, vista anche le scarse percentuali della figura, che per una qualche illogica ragione debba invertirsi per le altre classi, tanto più che in molti tribunali italiani i pernottamenti non sono possibili per i padri prima dei tre anni di età, cosa che è stata recentemente ribadita dalla Cassazione (Cass., ord. 11 luglio 2024, n. 19069, giudice rel. Clotilde Parise).