L’ultimo rapporto Oxfam sulle disuguaglianze fotografa
il crescente divario tra gli stipendi (in continua erosione) e i profitti
(quasi raddoppiati). Se prendessimo i salari di 30 anni fa confrontandoli con
quelli odierni potremmo anche non cogliere l’erosione avvenuta; guardando la
busta paga di un lavoratore a inizio anni Novanta e quella di oggi sarebbe
facile essere tratti in inganno pensando ad un aumento sostanziale dei salari.
Ma la prima domanda da porsi è relativa al rapporto dei salari con il reale costo
della vita, gli stipendi odierni hanno subito una continua erosione determinata
dalla perdita del potere di acquisto, insomma anche se una busta paga cresce
non è detto si possa conservare il tenore di vita di un tempo.
Prova ne sia che il nostro paese da 40 anni subisce il
crollo del potere di acquisto di salari e di un numero crescente di pensioni,
se i salari crescono il costo della vita aumenta assai di più.
Se è ormai acclarata la perdita di potere di acquisto
bisogna chiedersi chi siano i beneficiari della ricchezza prodotta e la
risposta è solo una: i dividendi degli azionisti sono aumentati a velocità
sostenuta, gli utili di impresa escono decisamente rafforzati in virtu’ di
scelte politiche, fiscali e finanziarie tanto che il rapporto Oxfam, analizzando
gli anni post pandemici, conclude:
i dividendi delle
major italiane sono cresciuti dell’86% in termini reali, mente i salari reali
hanno registrato un calo di quasi il 13%.
In questi anni è
stata esclusa dall’agenda politica una legge patrimoniale, le tasse sulle
eredità in Italia sono tra le più basse dei paesi Ue, gli aiuti fiscali alle
imprese crescono di anno in anno trovando ampio e acritico sostegno nei
sindacati rappresentativi.
La crescita dei
salari nominali è evidente ma anche il crollo del potere di acquisto tanto che
i salari reali sono di fatto diminuiti analizzando i dati relativi al costo
della vita, il rincaro dei prodotti energetici e i tanti servizi pubblici nel
frattempo diventati a pagamento. Da 30 anni ad oggi i salari italiani
sono ridotti ai minimi termini e la erosione del potere di acquisto va di pari
passo con la perdita di competitività del sistema produttivo italico.
Perfino il debito pubblico cresce nonostante la contrazione delle spese
sociali, l’austerità salariale è dimostrata dalla erosione del potere di
acquisto e uno sguardo critico va rivolto alle stesse leggi previdenziali che
hanno ritardato di anni l’uscita dal mondo del lavoro determinando in
prospettiva assegni pensionistici decisamente bassi, pur a parità di
contributi, se confrontati con quelli di pochi anni or sono.
Se è innegabile la
crescita dell’inflazione è altrettanto evidente come le politiche fiscali a
favore delle imprese non abbiano raggiunto l’obiettivo per le quali erano state
pensate: favorire la domanda interna con la ripresa salariale e mettere in
condizioni le aziende di assumere personale incrementando al contempo le buste
paga.
Se la ricerca Oxfam
spiega come in 31 paesi analizzati gli utili per le imprese i dividendi
azionari siano cresciuti di quasi il 50%, allora non sarà il caso di arrivare a
qualche conclusione ossia ammettere che le politiche fiscali favorevoli al
grande capitale alimentano le disuguaglianze e creano stagnazione salariale,
oltre a privare il nostro welfare di importanti risorse senza le quali i divari
sociali sono destinati ad aumentare?
Altro luogo comune
viene smentito dai dati Oxfam: non corrisponde al vero che i salari siano
cresciuti a dismisura nei paesi a capitalismo arretrato, oggi un lavoratore su cinque
a livello globale percepisce un salario Inferiore alla soglia di povertà pari a
3,65 dollari al giorno). L’idea che il capitalismo porti benessere ai paesi
meno sviluppati è stata una delle armi ideologiche della globalizzazione neoliberista
come anche l’illusione che il sistema capitalista avrebbe alla fine ridotto le
disuguaglianze sociali tra paesi sviluppati e non.
E l’ottimismo dei
vincenti viene oggi smentito dai dati economici: solo negli ultimi 10 anni, i
miliardari hanno raddoppiato la propria ricchezza, per ogni 100 dollari di
incremento della ricchezza netta, 54,40 dollari sono andati all’1% più ricco e
solo 0,70 dollari al 50% più povero.
Oxfam arriva ad
alcune conclusioni che potrebbero anche rappresentare l’incipit di una
discussione in ambito sindacale e politico, citiamo senza ulteriori commenti alcuni
passaggi del Rapporto:
“Anche in Italia
cresce la concentrazione di ricchezza e si confermano gli elevati divari dei
redditi che la collocano tra gli ultimi Paesi nell’UE. In un contesto in cui la
povertà assoluta è più che raddoppiata in 16 anni e il caro-vita sta erodendo
il potere d’acquisto di gruppi sociali più fragili e di tanti lavoratori i cui
salari non tengono il passo con l’inflazione. Le disuguaglianze non sono
casuali né le marcate divergenze nelle traiettorie di benessere dei cittadini,
lungo le sue molteplici dimensioni, sono ineluttabili. Sono piuttosto il
risultato di precise scelte di politica pubblica che hanno prodotto negli
ultimi decenni profondi mutamenti nella distribuzione di risorse e potere,
dotazioni ed opportunità. Per l’Italia in questo rapporto focalizziamo
l’attenzione su tre ambiti: le politiche fiscali, le politiche del lavoro e le
politiche di contrasto alla povertà e ora di supporto per il contrasto al
caro-vita……………
Alla fine del 2021
la distribuzione della ricchezza nazionale netta vedeva il 20% più ricco degli
italiani detenere oltre 2/3 della ricchezza nazionale (68,6%), il successivo
20% (quarto quintile) era titolare del 17,5% della ricchezza, lasciando al 60%
più povero dei nostri concittadini appena il 14% della ricchezza nazionale
(cfr. Fig. 3). Il top-10% (in termini patrimoniali) della popolazione italiana
possedeva oltre 6 volte la ricchezza della metà più povera della popolazione.
Confrontando il vertice della piramide della ricchezza con i decili più poveri
della popolazione italiana, il risultato appare ancor più sconfortante. La
ricchezza del 5% più ricco degli italiani (titolare del 41,7% della ricchezza
nazionale netta) era superiore, a fine 2021, allo stock di ricchezza detenuta
dall’80% più povero dei nostri connazionali (31,4%). La posizione patrimoniale
netta dell’1% più ricco (che deteneva a fine 2021 il 23,3% della ricchezza
nazionale) valeva oltre 40 volte la ricchezza detenuta complessivamente dal 20%
più povero della popolazione italiana….
Nel periodo
ultraventennale intercorso tra l’inizio del nuovo millennio e la fine del 2021,
le quote di ricchezza nazionale netta detenute dal 10% più ricco dei nostri
connazionali e dalla metà più povera della popolazione italiana hanno mostrato
un andamento divergente. La quota di ricchezza detenuta dal top-10% è cresciuta
di 3,8 punti percentuali nel periodo 2000-2021, mentre la quota della metà più
povera degli italiani ha mostrato un trend decrescente, riducendosi
complessivamente negli ultimi 22 anni di 4,1 punti percentuali”
Disuguaglianze
sociali ed economiche sempre maggiori, arricchimento di ristrette elites a
discapito della stragrande maggioranza della popolazione, erosione dei salari e
delle pensioni. Siamo ancora certi che austerità salariale e politiche fiscali
a favore delle imprese rappresentino le ricette vincenti? E la cancellazione
del reddito di cittadinanza, la mancata istituzione di un salario minimo
accelereranno la crescita della disuguaglianza salariale ed economica
condannando alla miseria parti consistenti della popolazione.
Report-OXFAM_La-disuguaglianza-non-conosce-crisi_final.pdf
(oxfamitalia.org)