Le esequie di un leader politico, anche se molto sui generis, come Gianroberto Casaleggio, fondatore e ideatore del M5S, rappresentano pur sempre un momento altamente simbolico che può dirci molto sull’anima e sulla reale natura di un movimento, sul “sentire” dei suoi militanti e del suo popolo.
Se ne sono dette tante, di tutto e di più, sul M5S, da “destra” a “sinistra”. Chi lo ha paragonato al Movimento dell’Uomo Qualunque, nato nell’immediato dopoguerra, chi ad una sorta di giustizialismo populista neoperonista, chi ad un movimento neofascista. Molti, lo ricordo benissimo, soprattutto a “sinistra”, sono addirittura arrivati a paragonare Beppe Grillo ad una specie di nuovo Hitler. Alcuni anni fa, una manifestazione del movimento, successivamente annullata dallo stesso Grillo, fu paragonata ad una sorta di riedizione della marcia su Roma…
Roba da ridere, castronerie gratuite che pure sono state ripetute e alimentate per lo meno in una prima fase, quando c’era la necessità di demonizzare quel movimento. In un secondo momento, quando ci si è resi conto che si trattava di una realtà capace di ottenere e consolidare nel tempo il consenso di milioni di persone, la strategia di demolizione mediatica è cambiata e si è fatta più sottile, più astuta. Su Casaleggio le voci fatte circolare sono state ancora più altisonanti: uomo della massoneria, una mezza specie di piduista, un agente della Cia e via discorrendo.
In tutta franchezza non ho notizie circa l’eventuale appartenenza di Casaleggio alla Massoneria né mi interessa particolarmente, a dire il vero. La sola cosa che mi viene da dire a tal proposito è che questa diceria, vera o falsa che sia, mi fa anche un po’ (parecchio) sorridere, perché è veramente difficile ormai trovare un uomo politico in questo paese che non sia iscritto a questa o a quella loggia massonica; credo anzi che siano rimasti ben pochi i leader politici ad avere in tasca solo la tessera del rispettivo partito. Volendo parafrasare una battuta di un vecchio film di Coppola, accusare in questo contesto un uomo politico, un imprenditore o un banchiere di far parte della Massoneria equivale a fare la multa ad un pilota di Formula 1 per eccesso di velocità alla mille miglia di Indianapolis…
Ciò detto, personalmente ho altre idee sul M5S e sul suo fondatore e inventore.
Credo che Casaleggio non sia mai stato un leader politico né tanto meno un personaggio capace di entusiasmare le folle, tant’è che ha lasciato che fosse Beppe Grillo, uomo indubbiamente dotato di una verve e di una energia non comuni, a ricoprire questo ruolo. Casaleggio, a mio parere, era “soltanto” un imprenditore intelligente e munito di fantasia, che ha avuto una brillante intuizione: coniugare la disaffezione e il malessere profondo di un popolo disgustato dalla “politica” (p minuscola e virgolette) con la nuove tecnologie, cioè fondamentalmente con la rete, inventandosi una sorta di “cyber democrazia telematica”. Personalmente ho forti perplessità su questa specie di nuova “forma-partito” che per me fa acqua da tutte le parti (basti pensare che, alle primarie interne, i candidati sindaci di tutte le più grandi città sono stati votati da poche centinaia di iscritti con la sola eccezione di Roma dove la Raggi è stata votata da circa 1700 persone, comunque un numero più che esiguo in relazione al numero degli elettori pentastellati romani…), ma questo è un discorso più complesso che richiede un’analisi specifica che farò in altro momento.
In fondo, da un certo punto di vista, pur con le dovute differenze, Casaleggio può essere confrontato con Berlusconi, il quale anche lui ebbe più o meno una simile intuizione, con la differenza che al posto della rete c’erano le sue televisioni (ma vedendo la tv non si vota, non si partecipa e si resta spettatori passivi) ma anche il suo carisma e la sua personalità che va riconosciuta anche se a noi questa constatazione può far sorridere, proprio quelle che Casaleggio non ha mai avuto e per questo ha fin da subito deputato Grillo a rappresentarlo.
Entrambi, non a caso, sono/erano esperti di marketing e comunicazione; due figli dei nostri tempi, potremmo dire. L’uno, dopo opportune indagini di mercato, studi e sondaggi vari, si è rivolto ad un certo tipo di pubblico che potremmo definire conservatore o “neoconservatore”, l’altro ad un pubblico più trasversale ed eterogeneo e anche anagraficamente più giovane. Berlusconi ha offerto una “casa” al “popolo dei moderati”, costituito in larga parte dall’ex elettorato democristiano più una parte di area laica e socialista, entrambi orfani della vecchia DC e del vecchio PSI. Casaleggio, a distanza di una ventina di anni, ha saputo parlare ad un pubblico socialmente e politicamente molto più eterogeneo e variegato, il cui comune denominatore è costituito dal disgusto – peraltro del tutto legittimo e comprensibile – per il “palazzo”. Ciò detto, le differenze fra i due fenomeni restano comunque molte e anche profonde: Berlusconi era e resta un “moderato”, sia pure non “ortodosso”. La sua concezione della politica era e resta ancora interna alla dialettica “destra-sinistra” e la forza politica da lui creata, Forza Italia poi divenuta PDL, si poneva come baluardo contro il Comunismo (!) e la Sinistra (che poi fosse solo uno spauracchio agitato per ragioni strumentali è altro discorso e non muta la natura ideologica di quel partito). In breve, Berlusconi è un astuto e abile imprenditore che ha occupato uno spazio politico e ideologico rimasto vuoto, restando e confermando di essere un uomo di destra, sia politicamente che ideologicamente, anche se non nel senso tradizionale e storico del termine. Casaleggio, mutatis mutandis, ha fatto la stessa operazione, ma con un taglio e un target completamente diversi, rivolgendosi appunto ad un popolo molto più eterogeneo socialmente, politicamente e anche culturalmente. Non solo. La chiave di volta, rispetto alla strategia berlusconiana, quella con cui ha fatto breccia, è stata di tutt’altro genere. Al contrario di Berlusconi, il M5S ha decretato la “morte delle ideologie” e contestualmente (e conseguentemente) la fine delle categorie di “destra e sinistra”, quelle con cui la politica e tutti noi ci siamo riconosciuti fino a poco tempo fa, per lo meno fino al crollo del muro di Berlino e al trionfo del capitalismo su scala planetaria. Da questo punto di vista il M5S non rappresenta però una novità e non si è inventato nulla. Il mantra della fine delle categorie di “destra e sinistra” che coincide, non a caso, con quello famoso della fine della storia (finalizzato a farci accettare l’idea dell’impossibilità del superamento del capitalismo concepito ed elevato a condizione ontologica, quindi “naturalizzato”, e non come ad una forma storica, come ce ne sono state altre, dell’agire umano…) viene sistematicamente recitato dai cantori del neoliberalismo e del neoliberismo (di “destra” o di “sinistra”…) così come dalla “neodestra” (leggi la Lega Nord) e da una certa “fascisteria” o “postfascisteria” del “terzo millennio”. Anche se da approcci differenti, l’approdo finale è comunque lo stesso per tutti: il superamento della dialettica e del conflitto di classe, considerato ormai preistoria. Naturalmente, su questo tema, si aprirebbe una discussione molto lunga e complessa che non posso affrontare ora (per chi ne avesse voglia, rimando alla lettura di questo mio articolo Destra e Sinistra https://www.linterferenza.info/editoriali/destra-e-sinistra/ .
Del tutto (volutamente) privo di una “weltanschauung”, cioè di un orizzonte ideale e ideologico che preveda, anche solo come “ideale regolativo”, il superamento delle contraddizioni strutturali della società capitalista, il M5S fa della trasparenza, dell’etica pubblica e del corretto funzionamento delle istituzioni e della pubblica amministrazione i suoi cavalli di battaglia. Di più, la sua stessa ragion d’essere. Non è un caso che ieri, al funerale di Casaleggio, i militanti del M5S scandissero lo slogan “onestà, onestà”, come a confermare che questa idea di costruzione di questa sorta di riproposta e rinnovata concezione della “cittadinanza” fosse ciò che gli ha lasciato in eredità il loro ideologo. Nulla a che vedere con altri momenti altamente simbolici se non addirittura “sacrali” della nostra storia recente; penso, ad esempio, ai funerali di Togliatti, Nenni o Berlinguer (non ci interessa ora l’analisi sulle loro politiche e su quelle dei partiti da loro guidati ma solo soffermarci sul risvolto simbolico…) dove si percepiva ben altra partecipazione emotiva e tensione ideale, dove la carica simbolica era potentissima.
Il M5S resta dunque interno al “sistema” di cui in qualche modo è figlio, o forse sarebbe meglio dire figliastro. E’ questa sua peculiarità che spiega le contraddizioni (enormi) da cui è attraversato. Si critica la politica economica dell’UE e alcuni arrivano anche a chiedere la fuoriuscita dalla NATO, senza però capire che questa scelta non può avvenire all’interno dell’attuale paradigma politico e sociale e che questa ipotesi (ovviamente più che auspicabile, per quanto ci riguarda) richiede ben altra volontà e determinazione ma soprattutto ben altra visione e analisi politica. Si criticano le politiche guerrafondaie e imperialiste dell’Occidente (senza però mai usare la parola “imperialismo” perchè troppo ideologica…) ma al contempo si assume una posizione molto ambigua rispetto al problema dell’immigrazione, che spesso fa quasi concorrenza a quella della Lega Nord. Istanze e rivendicazioni di “sinistra e di destra” convivono o vengono lasciate allegramente convivere nello stesso contenitore, nello stesso serbatoio di dissenso trasversale che è di fatto il M5S, sia in politica interna che internazionale. Del resto, tutto ciò non può costituire una contraddizione per chi sostiene che le categorie di Destra e di Sinistra siano esaurite. Se, da una parte, questa è stata ed è tuttora la forza del movimento, sul lungo periodo potrebbe forse costituire la sua debolezza. Ma non è detto neanche questo. Perché proprio questa sua peculiarità, presentarsi cioè come forza “né di destra e né di sinistra”, è ciò che lo rende il maggior concorrente di quel “partito della nazione”, per sua natura anch’esso ormai fuori, sia pure da un altro versante, quello della vecchia politica (nonostante il make-up, Renzi e compagnia cantando rappresentano in tutto e per tutto la continuazione del vecchio ceto politico), dalla dicotomia “destra-sinistra”. In virtù di ciò, il M5S potrebbe forse muovere la classifica, come si dice in gergo calcistico, se saprà sfruttare al meglio le opportunità e se, in un contesto dove la politica è stata ridotta a spettacolo, saprà scegliere le figure migliori e più adatte, anche se in tutta franchezza non ne vedo. Il livello medio del gruppo dirigente pentastellato, non me ne vogliano, è infatti decisamente scarso (come quello di tutte le altre forze politiche) e ciò è dimostrato dal fatto che si profila all’orizzonte il confronto fra Renzi e Di Maio, che certo non può essere definito uno scontro fra giganti, per usare una metafora…
Ma questi sono dettagli, per lo meno per chi, come noi, è tuttora persuaso della centralità del conflitto sociale che oggi però, purtroppo, esiste solo allo stato latente e non ha una sua rappresentazione politica.
Cosa è il M5S lo abbiamo detto, sia pure molto sommariamente. Cosa diventerà o cosa potrebbe diventare, possiamo per ora solo ipotizzarlo. Ma a questo dedicheremo un articolo ad hoc.