Nell’edizione domenicale del foglio propagandistico curato dai falchi di Washington, Angelo Panebianco si è lanciato nella scrittura di un vero e proprio compendio di guerra. Non una chiara esortazione a imbracciare fucili e kalashnikov ma una puntuale trattazione ideologica sull’etica che accetta l’idea del conflitto. Il manuale parte da una constatazione. Crollato il comunismo e la sua visione universalistica del progresso, i nemici della “rule of law” e dell’espansionismo di mercato vivono in una stanca condizione di debolezza. Al contrario l’Occidente è compatto nelle proprie idee-forza. Per cui il motto della Fine della Storia è più attuale che mai. Ma il mondo multipolare al di fuori delle sue barriere è molto pericoloso. Senza imbarcarsi in crociate occorre applicare un sano realismo. Di crociata.
Quindi per Panebianco non esiste nulla di attrattivo oltre la cultura mercantilista. Solo i nostri imperativi di concorrenza, di individualismo competitivo, annunciano capacità di fascinazione. Il nunzio apostolico del totalitarismo liberale offre un plastico esempio di chiusura mentale, alla base della tanto decantata società aperta. L’Occidente ha una missione civilizzatrice. Questa mentalità è il terreno su cui poggia la volontà di potenza alle origini della guerra di occupazione, della sua accettabilità.
Ma facciamo un passo indietro. La Fine della Storia, l’idea che il discorso capitalista potesse rappresentare un modo di interpretare la realtà in senso progressista ebbe certamente una reale forza persuasiva nei confronti degli individui. La sua egemonia però si consolidò proprio quando, grazie al movimento opposto e contrario delle forze socialiste e dei lavoratori, il sistema capitalista prevedeva – suo malgrado – una serie sterminata di protezioni sociali, di garanzie sulla sicurezza, di meccanismi di giustizia che andavano a stemperare la morale fondante della società di mercato: la ricerca del massimo profitto.
Ebbene dopo trent’anni di architettura neo-liberale quei dispositivi di protezione sono stati del tutto erosi. L’individuo è solo nella costruzione di futuro. Nulla può essere pensato o immaginato al di fuori della gabbia incentrata sulle capacità di cannibalizzazione concorrenziale dell’individuo. I mercati si impadroniscono della democrazia, dello stato di diritto, della Giustizia. La vita si fortifica passando per macerie esistenziali. La ruggine americana, quella della sua cintura industriale, disintegra in pochi anni l’80 % dell’occupazione. “American rust” è una serie tv in onda in questi mesi. Non tratta di jet set, di rampolli capricciosi, di divi dell’arrampicamento sociale. Descrive l’immiserimento, la sottoproletarizzazione, la farmacologizzazione della vulnerabilità. Confezionamento di schiavitù. In Pennsylvania.
Questa dittatura della prepotenza per Panebianco equivale alla democrazia. Lo spirito di guerra colonizzatrice non concepisce affatto la perdita di malia del nostro mondo. Non sono credibili popoli che si progettano differenti nel loro modo di rapportarsi individualmente, di organizzarsi socialmente, di interpretare la Storia e le relazioni tra civiltà. Insomma che non ne vogliono sapere di noi. Tutti sognano New York, viaggi esotici, cure rigeneranti. Ecco quindi che i russi o i cinesi non esistono. Esiste Putin, che è pazzo. Chi interpreta correttamente i sentimenti di un popolo sono i benestanti cosmopoliti delle città uniformate dai contrassegni turistici. Tutto il resto non ha dignità. Senza diritto di parola. Contadini, operai, socialisti; quella popolazione meno incantata dal canto delle sirene che ondeggia nei cocktail bar libertari, ridotta, come avviene in Sudamerica, a una condizione di trasparenza. Zotici fantasmi.
Appare così impossibile comprendere che l’installazione di missili a pochi chilometri dalla Russia è per i russi un atto di guerra. Non per Putin, ma per i russi. E dato che i russi votano un pazzo, giusto escluderli dalla ponderatezza della diplomazia. Non si cede di un millimetro. Impossibile calarsi nelle loro ragioni, che non coincidono necessariamente con l’avere sempre ragione. Ma che permetterebbero l’offerta di un dialogo diretto alla pace. Meglio incapricciarsi per un Regime Change, coperto dalla spinta rivoluzionaria di qualche aspirante attore sanpietroburghese.
Preoccupante che i paladini del mondo libero, oggi, si spertichino le mani in applausi per stati, come l’Ucraina, dove il Partito comunista è dichiarato fuori legge. Nel quale i suoi dirigenti vengono arrestati. Mentre insultano un Paese nel quale quel partito gode di legittimazione e di consenso generalizzato.
Sembra una storia già vista, una storia di guerra. Di macerie.
Prima liberali e poi, qualche anno dopo, fasciste.