Come per ogni ricorrenza repubblicana, anche la celebrazione del Primo Maggio, trascina con se la sua inevitabile quota di retorica.
In realtà la retorica, intesa come “arte del parlare in pubblico” sarebbe, o dovrebbe essere, una strumentazione per rappresentare in modo efficace una concettualizzazione, un pensiero articolato e compiuto.
In questo senso la retorica non vive, o meglio non dovrebbe vivere, di forza propria.
Poichè diverrebbe, come spesso accade, una forma di manipolazione delle coscienze.
Rimanendo su questo specifico ambito, ad esempio, Di Vittorio, nel famoso discorso alla Camera dei Deputati del 1921 diede una solenne dimostrazione delle sue capacità retoriche:
“Onorevoli colleghi, questa mattina qualcuno seduto in quest’aula, per dimostrare il suo disprezzo per la mia presenza qui, ha mormorato: “Un cafone in Parlamento…”. Ebbene sappiate che questo titolo non mi offende, anzi, mi onora, infatti se io valgo qualcosa, se io sono qua, lo devo ad Ambrogio, a Nicola, a Tonino, a tutti quei braccianti analfabeti che hanno dormito insieme a me nelle cafonerie e con me hanno mangiato pane e olio, che hanno lottato duramente per i diritti dei lavoratori, di tutti i lavoratori, perché la fame, la fatica, il sudore non hanno colore e il padrone è uguale dappertutto”.
Proseguendo…”C’è un sogno che mi ha portato qua, ed è quello di vedere un giorno i braccianti del Sud e gli operai del Nord camminare fianco a fianco e lottare per gli stessi diritti, e per questo sogno io sono disposto a lottare fino all’ultimo dei miei giorni”
Una “straordinaria” forma retorica che serviva a rafforzare un contenuto di per se dirompente.
Un discorso di classe. Che comunicava alle classi. Che partecipava alla costruzione di una identità di classe.
Di li a poco, la forza rivoluzionaria di quel discorso troverà, tragicamente, il suo riscontro.
Oggi, esattamente cent’anni dopo, nella giornata che celebra l’importanza dei lavoratori salariati e delle lavoratrici salariate, mi capita di ascoltare un’intervista effettuata a caldo in una piazza a fianco dei lavoratori, dell’attuale segretario generale della CGIL Maurizio Landini.
Immerso nelle bandiere rosse che (sventolanti sul suo volto) paiono insolentirlo, afferma enfaticamente che oggi le priorità in tema di lavoro, sono le donne ed i giovani.
Suppongo in rigoroso ordine d’importanza.
Guarda caso, questa proposizione coincide perfettamente con l’ossatura del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) [1] il programma dell’attuale “governo dei migliori”.
Guidato da uno dei migliori esponenti del capitalismo globalizzato. I padroni, avrebbe detto Di Vittorio.
Il discorso di classe scompare, per lasciare spazio a quello di genere e, necessariamente in subordine, a quello generazionale.
Non c’è spazio in questa retorica filogovernativa per i lavoratori uomini, che, se non proprio rimossi, rimangono stinti sullo sfondo.
E’ necessario distinguerli, per negazione.
E’ utile non includerli.
Eppure i lavoratori maschi di lavoro, da sempre ed in gran numero, in Italia ed in tutto l’occidente (il dato sessuale è pressoché omogeneo in tutti i paesi OCSE) ci muoiono.
Un dato terribile, costante nel tempo. Svariate centinaia di lavoratori ogni anno.
Una vera e propria ecatombe, definibile come “strage di genere” se si aderisse (ed io non aderisco) a questa chiave di lettura dei fatti sociali.
E che invece paradossalmente, proprio per non depotenziare, per non oscurare l’imperante retorica declinata al femminile, diretta emanazione del femminismo, a sua volta architrave della narrativa afferente al politicamente corretto, viene de facto cancellata.
Il risultato è che questo strategico oscuramento della composizione sessuale di questa mattanza, finisce, proprio per finalità retoriche, per cancellare tutto il suo contenuto.
Limitandola a semplice cronaca mortuaria. Casistica INAIL. Banca dati.
Voglio perciò operare una provocazione.
Immaginiamo, per un momento, che in Italia i morti sul lavoro siano ogni anno per il 97% di sesso femminile, anziché maschile.
Che numericamente significherebbe più di mille donne morte ogni anno (una media di circa tre ogni giorno) durante le fasi di lavoro.
Quale sarebbe la declinazione di questa odierna ricorrenza?
Quali toni avrebbero i discorsi istituzionali in questa giornata?
Chi sfilerebbe in prima fila nei cortei sindacali?
A quali campagne mediatico-istituzionali avremmo già assistito da tempo?
Quali approfondimenti troveremmo oggi sulle prime pagine dei più importanti media nazionali?
Quali film, docu-film, fiction, reportage, opere letterarie, festival, concorsi, borse di studio ecc…sarebbero state prodotte fino ad oggi?
Quali cogenti e specifiche norme sarebbero state proposte ed applicate, magari nelle solenni forme di DpR?
.
—
[1] – “Il Piano ha come principali beneficiari le donne, i giovani e il Mezzogiorno e contribuisce in modo sostanziale a favorire l’inclusione sociale e a ridurre i divari territoriali”.
https://www.governo.it/it/articolo/pnrr/16718
Fonte foto: Non una di meno – WordPress.com (da Google)