La Corte
costituzionale della Romania ha annullato il primo turno delle presidenziali.
Il candidato Călin Georgescu è accusato di essere filorusso, in quanto
nella campagna elettorale ha promesso di sospendere gli aiuti militari all’Ucraina.
Questa è l’Europa democratica al guinzaglio atlantista. Si è in democrazia fin
quando si eleggono rappresentanti schierati con le politiche della plutocrazia
transnazionale. Il primo dato incontrovertibile è che la democrazia borghese in
Europa è ormai un retaggio del passato. Siamo ormai nella postdemocrazia, una
nuova forma di totalitarismo da capire e definire.
Il volere dei popoli,
lo sapevamo, non conta nulla. I popoli sono solo pedine da usare nella lotta
tra le oligarchie capitaliste. I mezzi mediatici e sovrastrutturali sono usati
per manipolare e per inoculare l’oppio con cui dominare le coscienze. La
mostruosizzazione dei russi con annesse
paure e terrori è un mezzo efficace con
cui dividere i popoli, frammentarli e condurli al macello. La Romania limitrofa
all’Ucraina e alla Russia sembra duplicare, in modo diverso, quanto vissuto
dall’Ucraina. Rovesciare le elezioni per porre al potere un candidato
favorevole alla NATO significa porre le condizioni per una potenziale guerra
civile e, nel contempo, aprire potenzialmente un nuovo fronte di guerra per “scacciare
i russi penetrati in Romania con Tiktok”. Si tace il fatto che la Romania
ospita una delle basi NATO più grandi e rilevanti del mondo, per cui la
presenza di tale base NATO non può che condizionare la politica della Romania; rappresentare
inoltre il popolo rumeno come condizionabile mediante Tiktok denota un sottile
razzismo. I rumeni devono essere tutelati da loro stessi e, dunque, non hanno capacità di resistere alle pressioni
esterne, per cui interviene la legge a tutelarli per probabili influenze russe.
Insomma i rumeni sono da tutelare e proteggere sotto l’ala missilistica della
NATO. Per le oligarchie transnazionali
siamo tutti incapaci. È un nuovo capitolo del disprezzo da
parte delle élite dei popoli. Disprezzo segnato dalla disperazione, in quanto
nella pancia dei popoli carsicamente si sta organizzando una opposizione,
ancora senza chiara progettualità, alle politiche europee. I processi di
derealizzazione si infrangono dinanzi ad un quotidiano sempre più invivibile e
irrazionale. I tagli alla spesa pubblica e la riduzione dei popoli a
consumatori silenziosi di merci e visioni del mondo preconfezionate non possono
che condurre a “soprese elettorali”.
Il ripetersi di
elezioni contestate e di colpi di Stato (Corea del Sud) denota anche un tragico
tentativo di controllare porzioni dell’impero che, ormai, si avvia verso un
pericoloso stato di guerra perenne, perché non vuole morire. Siamo ad un bivio
della storia e non abbiamo politici all’altezza di tale snodo della storia. I
popoli sono soli, questo è un dato di fatto. La solitudine è la condizione
emotiva dei popoli e da tale condizione emotiva dobbiamo sperare che rinasca un
senso di comunità e identità rispettosa della democrazia sociale e di ogni
identità.
Assediare la Russia
con una serie di conflitti, questa sembra essere la strategia disperata
atlantista, la minaccia dell’apertura di nuovi fronti di guerra dovrebbe
indurre i russi al timore del dissanguamento delle loro energie e indurli a più
miti propositi in Ucraina. Si tratta di una strategia di accerchiamento della
Russia e di indebolimento della capacità critica dei popoli europei mediante la
russofobia. Terrorizzare in modo che non si comprendano le dinamiche e le
contraddizioni che scuotono la globalizzazione, questo sembra essere l’intento
finale. Nel contempo i popoli d’Europa, sempre meno istruiti e sempre più
condizionati dal controllo martellante dei media, diventano oggetto di una
operazione di manipolazione psicologica senza precedenti. La distruzione della
formazione sostituita da un percorso d’istruzione senza contenuti e senza
solidità critica e sociale predispone alla passiva accettazione delle
contingenze-necessità storiche. La famiglia, luogo di autonomia e riflessione,
è stata dissolta in nome dei diritti individuali senza limiti. L’avversione
culturale verso ogni forma di
condivisione sociale gratuita si rende evidente con lo smantellamento culturale
della medesima. Essa è uno scandalo, in quanto è, almeno idealmente, fondata
sulla gratuità dell’amore e sulla stabilità. La precarietà migrante non è secondaria,
individui sradicati perennemente alla ricerca di una retribuzione dignitosa non
possono che essere indifferenti alle vicende che toccano le loro comunità
nazionali. Sullo sfondo decenni di distruzione del senso della politica
mediante la destrutturazione studiata delle personalità con l’edonismo di
massa. Il capitalismo ha regnato con l’utopia del Paese dei balocchi con cui ha
trasformato gli individui in “asini raglianti”, Collodi docet, senza pensiero e
senza linguaggio. Il pensiero è linguaggio della complessità con cui andare
oltre il manicheismo binario. Questa è la forza nichilistica del sistema che
gradualmente sta evaporando. Questo vuoto è una opportunità per noi subalterni,
malgrado la pericolosità apocalittica del momento storico, per ricostruire la
progettualità politica su fondamenta onto-assiologiche. La volontà etica di
ciascuno può fare la differenza, se ognuno diventa un “punto ottico di luce”
nella notte del mondo. Se ci facciamo dominare dalla disperazione e da
atteggiamenti millenaristici hanno già vinto. La guerra in corso è prima di
tutto una battaglia culturale a cui non dobbiamo sottrarci, ogni contributo è
rilevante per salvare la civiltà dall’abisso. Ricominciamo a pensare e a impegnarci per
salvare la democrazia guardando in pieno volto
il Paese dei Balocchi, è il
prima passo per salvarci dall’abisso:
“In quel paese benedetto non si studia mai. Il giovedì non si
fa scuola: e ogni settimana è composta di sei giovedì e di una domenica.
Figurati che le vacanze dell’autunno cominciano col primo di gennaio e
finiscono coll’ultimo di dicembre. Ecco un paese, come piace veramente a me!
Ecco come dovrebbero essere tutti i paesi civili![1]”.
Una speranza disperata
è preferibile alla passiva accettazione che diviene complicità con i
distruttori.
[1]C. COLLODI, Le avventure di Pinocchio, in Opere, a cura di D. Marcheschi, Milano, Mondadori “I Meridiani”, 1995, pag. 479
Fonte foto: Affari Italiani (da Google)