Perchè proprio Sahra Wagenknecht?


Relazione introduttiva di Fabrizio Marchi alla presentazione del libro di Sahra Wagenknecht, “Contro la sinistra neoliberale”, avvenuta a Roma sabato 16 Novembre 2024

Abbiamo scelto di presentare il libro di Sahra Wagenknecht perché è sostanzialmente un manifesto politico, il manifesto politico di quello che poi è concretamente diventato un partito che ha ottenuto anche un notevole successo alle scorse elezioni amministrative in Germania e tutto fa pensare che possa bissare se non aumentare significativamente i propri consensi anche alle prossime scadenze elettorali.

Trovo che questo libro/manifesto e il soggetto politico che di fatto ne è scaturito sia la sola vera novità emersa nell’ambito di quella che chiamiamo Sinistra da almeno trentacinque anni a questa parte. Dico subito che sull’utilizzo di questo termine – Sinistra – sarà necessario aprire una discussione specifica e approfondita sia dal punto di vista dei contenuti che ovviamente sotto quello nominale e linguistico e anche storico e storico-politico perché questo termine, concetto o questa categoria, potremmo dire, da almeno quarant’anni ha subìto una mutazione radicale perché definirsi di sinistra ha ormai assunto un significato che non ha più nulla a che vedere con quello che aveva fino a cinquant’anni fa. Al punto che alcuni fra noi sostengono che in seguito a tale mutazione genetica ormai non abbia più senso definirsi di Sinistra o di “sinistra”, fra virgolette, come uso dire io, perché si verrebbe immediatamente identificati con le attuali “sinistre”, siano esse liberali, radicali o anche (pseudo) antagoniste. Del resto, nonostante le differenze, alla fin fine le “sinistre” radicali e anche quelle cosiddette “antagoniste” finiscono per portare acqua a quella liberale e maggioritaria (nell’ambito della sinistra); una sorta di gioco di matriosche, basti pensare, per portare degli esempi, al voto per la Salis candidata con AVS (cioè la costola ancor più rosa e di sinistra del PD) da parte di formazioni come PaP oppure all’eroina della Linke, Carola Rackete, che ha votato al Parlamento Europeo per l’utilizzo delle armi dell’UE sul suolo russo.  Per non parlare naturalmente della sfera ideologica (con particolare riferimento alle questioni di genere, a quella lgbtq, alla maternità surrogata e in generale a tutti i temi che riguardano la cosiddetta sfera dei diritti civili) che vede tutte queste sinistre accomunate sotto la bandiera dell’ideologia politicamente corretta. La qual cosa è una contraddizione in termini di proporzioni macroscopiche per delle forze politiche che si considerano anticapitaliste e antimperialiste ma sono imbevute fino al midollo della stessa ideologia di quel dominio sociale che sostengono di voler combattere e che negli ultimi tre decenni è stata ampiamente egemone. Qui naturalmente bisognerebbe aprire un’altra gigantesca riflessione perché io credo che la mutazione della struttura, e in questo caso mi riferisco soprattutto al contesto geopolitico internazionale, non possa non comportare anche un mutamento della sovrastruttura ideologica. Non c’è dubbio che l’ideologia neoliberale nella sua variante che chiamiamo politicamente corretta sia stata l’ideologia dominante ed egemone dal crollo del socialismo reale (anche se nasce negli anni ’60 del secolo scorso) ed è stata l’ideologia che ha indubbiamente caratterizzato il processo che chiamiamo globalizzazione, che poi null’altro è se non il dominio del blocco capitalista occidentale su scala planetaria. Ma questo processo di globalizzazione si è oggettivamente interrotto per ben note ragioni (la nascita dei Brics e l’affermarsi di grandi potenze come Cina e Russia) e quindi tutto ciò potrebbe comportare anche un mutamento di paradigma ideologico in Occidente, anche se tuttora l’ideologia di riferimento resta comunque quella politicamente corretta. L’affermarsi di una nuova destra radicale (in primis quella trumpiana che è una miscela di tante cose a volte anche apparentemente in contraddizione fra loro, anarco-liberismo, libertarismo, conservatorismo, comunitarismo e antisocialismo nello stesso tempo, sovranismo, neo-nazionalismo) potrebbe portare, sia pur gradualmente e parzialmente, il mondo occidentale a dotarsi di un nuovo abito ideologico, potenzialmente più efficace per combattere stati e sistemi politici e sociali che si sono rivelati impermeabili all’ideologia politicamente corretta. Non penso ovviamente ad una riedizione pedissequa dei vecchi paradigmi ideologici tradizionalisti e conservatori (il vecchio Dio, Patria e Famiglia) ormai definitivamente tramontati, ma ad una rielaborazione in chiave post-moderna dei tradizionali valori occidentali – liberismo economico, ostilità nei confronti del pubblico, culto dell’individualismo, antistatalismo – però parzialmente depurata dalla parte più radicale del calderone ideologico politicamente corretto, cioè l’ideologia woke, il genderismo, la cancel culture e le teorie gender più spregiudicate e anche più strampalate, aggiungo io, che hanno da tempo colonizzato tutto il sistema mediatico-accademico-culturale occidentale (naturalmente non siamo in grado al momento di sapere né i tempi nè le modalità di questo processo né se e in quale dimensione avverrà, perché dipenderà da tanti fattori, in primis la capacità di tenuta della narrazione neoliberale che comunque in questi decenni ha scavato in profondità). L’assunzione di una sia pur parzialmente, per lo meno per ora, nuova veste ideologica potrebbe essere favorita anche da un altro fattore fondamentale, in questo caso di ordine interno. L’ideologia politicamente corretta infatti si è affermata nel momento in cui, dopo l’89 e il crollo del blocco sovietico, sembrava che il processo di globalizzazione fosse inarrestabile e con esso anche la prospettiva di crescita economica sia individuale che delle società occidentali nel loro complesso, con tutto ciò che questo comporta anche e soprattutto dal punto di vista ideologico ma anche psicologico. La fine, oggettiva, della fase espansiva dell’occidente, della crescita economica in linea teorica illimitata e quindi della speranza ma anche della possibilità concreta di poter migliorare la propria condizione individuale, ed anzi la percezione sempre più netta di una regressione e di un impoverimento complessivo della propria esistenza, porta ad un più o meno brusco e amaro risveglio e naturalmente anche all’inevitabile indebolimento di quel paradigma ideologico. Per capirci, quando le condizioni materiali di esistenza si fanno più stringenti potrebbe diventare assai più difficile convincere le masse che le priorità possano continuare ad essere il superamento del binarismo di genere o di un fantomatico patriarcato, di cui peraltro l’attuale dominio capitalistico (che sia guidato dall’attuale “sinistra” o dalla destra è del tutto indifferente) non solo non sa che farsene ma gli è anche di ostacolo…(e infatti se ne è disfatto da tempo anche se in molte/i continuano a tenerlo artificialmente in vita per ragioni ideologiche e politiche strumentali..).    

Di conseguenza, tornando a quanto dicevo, dal momento che tutte le “sinistre” occidentali, nessuna esclusa, hanno sposato quell’ideologia che ha finito per diventare la loro stessa e unica ragion d’essere, diventa necessario, sostengono questi compagni, definirsi in altro modo, comunisti, socialisti, neosocialisti, marxisti, neomarxisti ma non più di “sinistra”. La questione non è campata per aria, non è lana caprina, ha un suo fondamento e quindi va affrontata.  Anche perché ha cominciato a crescere un’area politica e culturale, sia pure tutt’altro che omogenea, che sta da tempo teorizzando il superamento delle categorie di destra e di sinistra, non intese nella loro attuale e concreta determinazione storica e politica (in questo caso sarei e sono del tutto d’accordo) ma in senso metastorico, diciamo così. Questa area politica è molto variegata e variopinta, perché va addirittura da alcuni ambienti fascisti e neofascisti fin dagli anni ’70 fino al primo M5S in salsa grillina passando anche per molti ambienti liberali e neoliberali e anche in buona parte in quell’area di dissenso che comunemente viene definita come “antisistema”. Ciascuna di queste tendenze ha naturalmente colorato in modo diverso questo concetto che però ha un comune sostanziale denominatore, e cioè dichiarare esaurito e superato il conflitto di classe. E questa concezione va a braccetto con i concetti di “fine delle ideologie” e di “fine della storia” tanto cari anche ad autorevoli intellettuali maitre a penser, molto noti, delle classi dominanti. L’andare “oltre la destra e la sinistra” nel senso che ho appena detto, insieme ai concetti di “fine delle ideologie” e di fine della storia” ha questa finalità o comunque finisce per portare acqua al mulino di chi ha elevato il capitalismo ad una sorta di condizione ontologica e quindi sostanzialmente insuperabile o non trasformabile, quanto meno dal punto di vista strutturale.      

In tal senso, si tratta quindi di trovare un accordo anche dal punto di vista semantico oltre che storico. Storicamente parlando, destra e sinistra possono essere fatte risalire alla Rivoluzione francese e potrebbero essere dichiarate esaurite intorno alla fine degli anni ’80 del secolo scorso, in seguito al crollo del sistema sovietico. E’ sufficiente per dichiarare morte e sepolte le categorie di destra e sinistra?
Dipende ancora una volta da quale significato storico (e quindi anche concettuale e linguistico) intendiamo attribuirgli. Per fare un esempio (ma ne potrei fare moltissimi altri) ai tempi della rivolta dei contadini tedeschi guidati da Thomas Muntzer nel 1525 contro i principi, le categorie di destra e di sinistra ancora non erano state inventate e di conseguenza non potevano essere applicate per ovvie ragioni alle contraddizioni dialettiche che contraddistinguevano quell’epoca. Tuttavia se scegliessimo, per convenzione linguistica e sulla base di un accordo, di applicare le categorie di destra e di sinistra a quel contesto storico, non potremmo evitare di individuare nei contadini in rivolta (di classe) la Sinistra, e nei principi in difesa del proprio dominio (di classe) la Destra.
Ora, quelle contraddizioni dialettiche (la contraddizione di classe), come già dicevo, sia pur ovviamente in forme e modalità completamente diverse rispetto alle epoche trascorse, permangono tutt’oggi. E da sempre, piaccia o meno, ci si è schierati su un versante o sull’altro, sulla base di quelle stesse contraddizioni.
Si tratta quindi, in ultima analisi, di uscire allo scoperto e di dichiarare senza infingimenti da quale parte ci si schiera, indipendentemente dalla questione nominalistica.
Si potrebbe anche decidere che quella contraddizione dialettica debba essere concettualizzata e rappresentata con altre forme simboliche e linguistiche. A quel punto destra e sinistra potrebbero essere sostituite da una ipotetica e metaforica X” e da un’altra ipotetica e metaforica Y (o qualsiasi altro segno o rappresentazione linguistica…) ma la sostanza non cambierebbe di una virgola.
Nell’impossibilità, al momento, di sciogliere questo nodo (ma il problema rimane), a noi resta comunque il compito di svelare la menzogna ideologica che si cela dietro all’ attuale rappresentazione politica “destra”/”sinistra” ma anche ai cantori del presunto superamento di quella dialettica (mi riferisco ovviamente alla contraddizione di classe) che ha dato vita a quella stessa rappresentazione, anche in termini simbolici, sia pure per un periodo limitato della storia che è quello cui facevo cenno sopra.

Tornando a noi, sulla base di queste considerazioni, mi pare che quanto ho appena detto sia complessivamente, anche se non in toto, in sintonia con il libro/manifesto di S. W. che in tal senso è molto chiaro. W. dice infatti con molta chiarezza che bisogna operare una cesura netta con l’attuale “sinistra” neoliberale e politicamente corretta organica al capitale e all’attuale dominio sociale e che questa cesura è propedeutica anche al fine di combattere la destra che è anch’essa (nonostante millanti il suo essere “antisistema”, basta leggere i programmi dell’AFD o del FN di Le Pen o le politiche del governo Meloni per capirlo) organica al dominio sociale capitalistico. Per prosciugare – dice W. – il brodo di coltura della destra e naturalmente per riallacciare un rapporto con i ceti popolari bisogna innanzitutto rompere con la “sinistra” neoliberale (ma vale anche per quella radicale, come abbiamo già visto) e soprattutto, e sottolineo soprattutto, con tutta la sua paccottiglia ideologica politicamente corretta che null’altro è se non l’ideologia delle classi sociali alte e medioalte.

Il problema, dunque, non è quello di costruire un’area grigia, tendenzialmente e forse volutamente ambigua, genericamente né di destra e né di sinistra, ma quello non tanto di rifondare ma di costruire ex novo un nuovo soggetto Socialista, di classe e popolare che al momento non esiste. Perché ex novo? Perché ovviamente quando parlo di una nuova forza Socialista non mi riferisco certo alla riedizione della vecchia socialdemocrazia, morta e sepolta in seguito al crollo del socialismo reale oppure ridotta al simulacro di ciò che era nei suoi momenti migliori, ma ad un nuovo soggetto politico che sappia interpretare correttamente e lucidamente le contraddizioni che l’attuale sistema di dominio produce. In tal senso l’armamentario ideologico sia della “sinistra” radicale che, naturalmente, di quella liberale, è del tutto inservibile e anzi nocivo perché funzionale e organico al sistema stesso; bisogna quindi liberarsene.

Mi pare che queste considerazioni emergano nel libro di W. e possono contribuire a gettare i semi per una futura, ipotetica e auspicabile costruzione anche nel nostro paese di un soggetto politico con le caratteristiche di cui sopra. Io penso che ciascuno di noi sia chiamato a fare la sua parte in tale direzione, per quelle che sono le sue forze e capacità, perché le cose non piovono dal cielo né si determinano in modo meccanicistico se non c’è una volontà, una soggettività che lavora e spinge in tal senso.   

    

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