Anni fa, in gita aziendale con l’Iri ( stava per essere definitivamente uccisa ma organizzava ancora gite…) , ci siamo dovuti fermare in un piccolo paese dell’Anatolia. Un vasto spiazzo. Sedie. E una grande folla di contadini, come si dice “poveri ma dignitosi” in attesa del ministro o del deputato del luogo. Arrivo delle macchine. Baci e abbracci; applausi. Il resto, la sostanza della cosa ve l’immaginate tutti.
Avrei dovuto indignarmi. Tutta la cultura di cui ero imbevuto mi spingeva a farlo. E invece no. C’era qualcosa che mi rodeva dentro e che, piano piano, mi è esplosa. E ho avuto una visione: ho rivisto Remo Gaspari che, in canottiera e calzoncini, riceveva alla pensione Aurora ( o “ Mamma Lucia”, fa lo stesso), i suoi clienti, che dico i suoi elettori, per promettere aiuti o dispensare consigli su come utilizzare i fondi europei; e, onta suprema ( per me) ho pianto di fronte alle immagini di Evita che riempiva i palchi del Colon, disertati dalla gente bene, con descamisados assortiti e che piangeva, in qualche bidonville della periferia, davanti a un bambino che le chiedeva di poter vedere il mare.
Da allora non sono certo diventato populista. Ma ne ho colto l’essenza: la volontà di redistribuzione. Verso mondi che il titolare di questo ruolo, il socialismo o non era arrivato o piano piano aveva rinunciato ad arrivare.
Ho capito, da allora, la natura del fossato invalicabile, che dico, dell’avversione inestinguibile che segna i rapporti tra populisti e liberisti. E’ quella che separa chi crede nella redistribuzione e nel ruolo dello stato e del leader per promuoverla da chi affida questo compito al mercato e alla autonoma capacità degli individui. E ho capito anche la natura delle rivoluzioni dei ceti medi che, a partire da Mani pulite, si sono manifestate nel mondo; da leggere come il rifiuto di pagare, praticamente da soli, i prezzi di un disegno che non li riguarda e spesso non li avvantaggia minimamente.
Come partecipe di un collettivo – il mondo socialista – avrei tutto il diritto di svolgere un ruolo attivo nella vicenda, come terzo e vittorioso incomodo. Denunciando l’illusione di un progetto, per sua natura leaderistico, che distribuisce risorse senza crearle e tende, per sua natura, a fiorire intorno della denuncia del nemico con crescenti lesioni della convivenza civile. O, per altro verso, cogliendo l’essenza inegualitaria e al limite antidemocratica della filosofia liberista. Ma e il mondo socialista non c’è. E’ scomparso; e sono pochi coloro che si dedicano alla sua ricerca.
Come persona, allora, esprimo un parere anzi un sentimento personale. Penso che il confronto dovrebbe svolgersi ad armi pari e nel rispetto reciproco. E penso in particolare che il campo detentore del potere – quello guidato dagli Stati uniti e, si fa per dire, dalle dirigenze europee, abbia tutto il diritto di contestare i populisti ma non quello di disprezzare il popolo. E, ancora e soprattutto, che la pratica generalizzata di fare scontare sino in fondo ai popoli, affamandoli, gli errori o magari i comportamenti, giusti o sbagliati, dei loro governanti sia forse controproducente ma sicuramente odioso.