L’agenzia degli Stati
Uniti per lo sviluppo internazionale nasce nel 1961 per volere di John F.
Kennedy che motivava così la propria decisione: “Gli aiuti internazionali
rappresentano un metodo con il quale gli Stati Uniti mantengono una posizione
di influenza e di controllo in giro per il mondo e sostengono tanti bei paesi
che altrimenti collasserebbero o passerebbero nel blocco comunista”. Ed il suo
primo capo economista, H.B. Chenery, così puntualizzava: “L’assistenza
economica è uno degli strumenti per prevenire il deterioramento delle
condizioni politiche ed economiche in quei paesi dove valutiamo che occorra
preservare il governo”. Non a caso, all’epoca il principale beneficiario degli
aiuti era il Vietnam del Sud; oggi è l’Ucraina. Più in generale, ciò significa
che gli aiuti che i paesi più sviluppati forniscono a quelli meno sviluppati
non sono elargiti senza contropartita né col fine di promuovere il benessere
della popolazione locale. Al contrario, come ha brillantemente dimostrato per
prima Teresa Hayter nel suo Aid as
imperialism pubblicato nel 1971, gli aiuti servono a salvaguardare il
dominio del modo di produzione capitalistico sussidiando i capitalisti
stanziati nei centri imperialisti e mantenendo i paesi beneficiari nella
dipendenza e nel sottosviluppo.
Gli aiuti, anche
quelli a fondo perduto, non sono mai disinteressati e sono sempre accompagnati
da condizionalità. Queste possono essere dirette, come l’obbligo per i paesi
beneficiari di utilizzare i soldi ricevuti in un certo modo: per acquistare
merci provenienti dal paese donatore; per costruire le infrastrutture che più
servono a migliorare la redditività del capitale straniero investito nel paese
beneficiario; per garantire il pagamento degli interessi relativi ad un debito
pregresso, ecc. Oppure le condizionalità possono essere di tipo indiretto ed
avere a che fare con la promozione di riforme politiche: flessibilizzazione del
mercato del lavoro, taglio delle pensioni e dei sussidi, liberalizzazione dei
commerci, ecc. Ed anche quando sono promosse politiche di stampo opposto, come
la riforma agraria, la tassazione progressiva, il miglioramento
dell’istruzione, dell’assistenza sanitaria, della qualità ambientale, ecc, è
perché occorre depotenziare le istanze rivoluzionarie presenti nel paese
beneficiario. Come scritto in un manuale dello USAID citato da Hayter: “Lo
sviluppo non è un fine di per sé ma è essenziale per il mantenimento e la
crescita di società libere e non comuniste”. Pertanto, ogni miglioramento delle
condizioni di vita è generalmente circoscritto, temporaneo, secondario ed
incidentale, e più che controbilanciato dagli effetti negativi rappresentati
dall’aumento del debito estero, dall’iper-sfruttamento della manodopera locale,
dallo scambio ineguale tra i capitalisti autoctoni e quelli provenienti dai
centri imperialisti e dalla creazione di una classe sociale dipendente dagli
aiuti che agisce da vera e propria quinta colonna. Non perché la USAID impone
le proprie idee, ma perché cerca le persone con le idee giuste, le promuove e
le finanzia affinché possano diventare egemoni in patria e meglio servire gli
interessi stranieri.
Se le cose stanno
così, perché Trump e Musk hanno deciso di chiudere o quantomeno ridimensionare
questa agenzia? Sono forse diventati anti-imperialisti? No. Semplicemente gli
aiuti allo sviluppo erogati tramite questa agenzia non sono più così efficaci
nel mantenere il dominio internazionale a stelle e strisce. E questo per varie
ragioni. In primo luogo, per quanto sia l’agenzia più
importante, la USAID gestisce il 60 percento di tutti gli aiuti che partono
dagli Stati Uniti. In secondo luogo, l’ammontare totale degli aiuti erogati dal
2001 ad oggi è oscillato tra lo 0,7% e l’1,4% delle spese federali totali, una
cifra decisamente minore rispetto all’epoca della guerra fredda (nell’anno
fiscale 1963, l’assistenza internazionale ammontava a circa il 4,7% delle spese
federali totali). In terzo luogo, nello stesso arco di tempo, si
è assistito ad una progressiva privatizzazione degli aiuti. Se nel 1970 il
governo metteva il 70 percento dei fondi destinati ai paesi in via di sviluppo
e solo il restante 30 percento proveniva dai privati (per lo più sotto forma di
investimenti diretti esteri), oggi la tendenza è diametralmente opposta.
Secondo l’indice globale di filantropia
dell’Università dell’Indiana, nel 2020 dai programmi governativi sono arrivati
solamente il 13 percento degli aiuti mentre da fondazioni, aziende, organizzazioni
non profit e altre fonti filantropiche private sono arrivati il 18 percento
degli aiuti, col restante 69 percento proveniente dalle rimesse degli
immigrati. Se poi si considerano gli investimenti diretti esteri, l’ammontare
degli aiuti pubblici è ancora minore. In quarto luogo, prendendo in
considerazione anche le forniture militari, gli aiuti di stampo civile
finiscono col rappresentare solamente il 21 percento del totale erogato.
Tutto questo significa
che le risorse ad uso civile provenienti dalla USAID non sono più così
rilevanti come un tempo e quindi sono meno capaci di influenzare il corso degli
eventi e possono essere tagliate o dirottate verso gli ambiti maggiormente
funzionali al mantenimento dell’egemonia statunitense. Oramai da parecchi anni,
infatti, gli Stati Uniti non sono più un paese esportatore di merci e creditore
nei confronti del resto del mondo, bensì importatore e debitore. Ciò significa
che promuovere progetti che dietro il paravento della cura delle malattie o
dell’accesso all’acqua potabile favoriscano la vendita di farmaci o di acciaio
non è più un interesse generale della classe dominante ma soltanto di una sua
parte. Per non collassare, l’economia USA ha bisogno di continuare a succhiare
senza sosta risorse dal resto del mondo e per farlo c’è crescente bisogno di hard power, non di soft power. Con la crisi, non c’è tempo per promuovere progetti che
riequilibrino la bilancia dei pagamenti nel lungo periodo tramite le
esportazioni di merci e di capitali; nel mondo multipolare che avanza serve
finanziare soltanto ciò che meglio garantisce l’ininterrotto afflusso di
capitali: vale a dire il riarmo.
La chiusura della USAID, dunque, è un fatto interno alla classe dominante, che indebolisce la componente più melliflua del blocco imperialista composta dagli ipocriti che dietro i nobili ideali della cooperazione e dello sviluppo promuovono gli interessi delle grandi aziende transnazionali e dei paesi che le ospitano. A noi il compito di smascherare il motivo di questo attacco per attrezzarci all’innalzamento dello scontro che inevitabilmente ne consegue.
Fonte foto: Wikipedia (da Google)