La montagna delle roboanti
dichiarazioni del Governo sulle pensioni ha prodotto una realtà diametralmente
opposta: Meloni non ha abrogato la Fornero, come promesso ai suoi elettori, ma
ne sta consolidando l’impianto. Questa è la realtà che si evince dalla Legge di
Bilancio 2025, fatta da un Governo di destra in perfetta continuità con gli
esecutivi che l’hanno preceduto.
Dove sta allora la
differenza rispetto al passato? È sufficiente avanzare promesse elettorali – poi
smentite nell’azione di Governo – e continuare a riscuotere consensi elevati
anche quando sono evidenti la incoerenza e gli interessi di fondo, e il potere
di acquisto dei pensionati continua a calare?
Se guardiamo al livello
della spesa pensionistica, l’incremento avutosi nel 2024 è ascrivibile soprattutto
all’aumento dell’inflazione[1], ma
la nostra forza lavoro è avanti con gli anni e continua a invecchiare. Rinviare
di pochi anni l’uscita dalla produzione ha un impatto immediato sui costi
previdenziali ma rimanda solo il problema, oltre a determinare condizioni di
vita peggiori dovute al dilatarsi degli anni lavorati (dopo oltre 40 anni di
contributi versati). E in prospettiva, tra part-time incolpevole e buchi
contributivi, con le regole vigenti come pensiamo di risolvere il nodo
previdenziale di quanti avranno un assegno pensionistico basso?
In realtà sembra che si stia facendo di
tutto per affossare la previdenza pubblica: le aliquote contributive a carico
datoriale non aumentano dal 1996[2]e
da anni i datori vengono esentati dal pagamento di vari contributi, col
risultato di impoverire non solo le pensioni di domani ma il welfare in
generale.
In questo contesto, le modifiche di fine anno al sistema
previdenziale hanno prodotto due risultati: hanno innalzato l’età utile per
andare in pensione, accanendosi sugli istituti di pensionamento anticipato, e hanno
previsto aumenti dei trattamenti previdenziali minimi inferiori all’inflazione
cumulata negli anni più recenti.
Le varie
forme di pensionamento anticipato sono solo deroghe all’applicazione integrale
della Riforma Fornero: se vuoi andare in pensione uno o due anni
prima, in cambio avrai una consistente riduzione del valore della pensione (sia
per gli anni di anticipazione del trattamento, sia per quella futura, a causa
dei minori contributi versati nel frattempo). Il prolungamento di un anno di
Quota 103[3],
Opzione Donna[4] e
Ape sociale[5]non
rappresenta quindi un avanzamento sociale, ma solo gentili concessioni che i
diretti interessati pagheranno di tasca loro…
Rinviamo a
quanto scritto in passato proprio sulla sostituzione di Quota 103,
avvenuta con la Finanziaria di un anno fa: «Per la prima volta è stato
introdotto un tetto massimo sul valore nominale della pensione percepita (per i
soli anni di anticipo, ovviamente), che non poteva essere superiore alle
quattro volte l’assegno sociale[6] [Nel 2023 l’assegno sociale corrisponde a poco più di 500 €/mese] (…). Per accedere al pensionamento anticipato, dunque,
i percettori di pensioni lorde di poco superiori ai 2000 € dovrebbero accettare
un’ulteriore decurtazione dell’importo»[7].
E se
non vuoi accedere a Quota 103 perché le decurtazioni della pensione sarebbero
troppo elevate? Per il Governo puoi restare al lavoro accumulando più
contributi, naturalmente! In questo caso si possono versare i contributi dovuti
direttamente in busta paga (cosa per altro già prevista dalla precedente
normativa[8]),
restituendoli esentasse[9].
Alla fine chi resta al lavoro percepirà un assegno comunque più basso di quello
che avrebbe avuto prima delle ultime leggi: sia i casi di pensionamento
anticipato che quelli di prosecuzione volontaria del lavoro, quindi, vengono
penalizzati.
Con Opzione Donna invece cosa avviene? Medesimi
scenari, se pensiamo che per accedervi viene applicato il sistema contributivo a tutti gli
anni lavorati[10].«Il Governo attuale aveva già limitato la platea
delle beneficiarie durante lo scorso anno [per il 2023] e questa volta ha
deciso di innalzare l’età minima di accesso (da 60 a 61 anni, con 35 di
contributi) [per il 2024]»[11]. Per il 2025 tutto rimane
invariato, ma nel 2026 cosa succederà? Silenzio assoluto dagli scranni della
Maggioranza.
La pensione anticipata contributiva prevedeva
un minimo di 64 anni di età e 20 di contributi, oltre al raggiungimento di un
livello minimo lordo della pensione pari ad almeno 2,8 volte l’assegno sociale,
a patto che si andasse in pensione col sistema contributivo e non con quello
misto. «Il limite sull’assegno imponeva ai lavoratori più poveri di rimanere al
lavoro per più tempo, anche oltre i 64 anni + 20, per superare tale soglia, e
consentiva allo Stato di ridurre la massa delle pensioni anticipate che, come
detto, convengono sempre meno». Su tutto ciò, purtroppo, lo scorso anno il
Governo ha peggiorato sensibilmente la situazione:
«- i 20 anni di contributi sono stati agganciati alla dinamica della
speranza di vita, ancora in ripresa dopo il calo del Covid (…). La diminuzione
della speranza di vita dovuta al Covid aveva lasciato inalterati i 20 anni di
contributi necessari per accedere a questa forma di pensionamento, l’età
pensionabile è rimasta la stessa e si sono bloccati gli adeguamenti, al
ribasso, rispetto a una speranza di in decrescita. Meloni, dunque, ha pensato
bene di considerare solo la fase di ripresa della speranza di vita, truffando
così la popolazione per l’ennesima volta;
– il livello minimo lordo di 2,8 volte l’assegno sociale viene aumentato a
3, mentre rimane a 2,8 per le donne con un figlio e scende a 2,6 per quelle che
ne hanno più di uno (sancendo comunque, complessivamente, un netto risparmio
per le casse statali, dato che di pensionamenti a 63 anni con due figli a
carico non ve ne sono certo molti…);
– viene istituito un limite massimo dell’importo pensionistico, pari a
cinque volte l’assegno sociale;
– viene introdotta una finestra di tre mesi di attesa per l’accesso al
trattamento»[12].
La modifica (peggiorativa) introdotta con l’ultima Legge sposta il limite
delle 3 volte l’assegno sociale a 3,2[13], di fatto aumentando gli
anni di lavoro necessari per accedere al pensionamento per le sole fasce di
lavoratori più povere.
E cosa accade invece per i lavoratori entrati in
produzione dal 1° gennaio 1996?
Le loro annualità saranno calcolate solo con il contributivo, ma non sarà
possibile uscire dal lavoro se non al raggiungimento dei 64 anni di età. Se alla
fine l’assegno sarà troppo basso potranno contare sulla previdenza
complementare[14], che
poi si sono pagati direttamente con il proprio Tfr. Ma anche questo ennesimo
furto non ha impedito l’aumento degli anni lavorati: «il requisito sale da 20 a 25 anni di contributi nel
2025, e a 30 anni a partire dal 2030. In altre parole, si potrà andare in
pensione a 64 anni, ma bisognerà aver accumulato 10 anni in più di contributi
rispetto a ciò che serve oggi. (…) [Inoltre] sono esclusi dalla pensione
anticipata tutti i lavoratori che percepirebbero, tra i 64 e i 67 anni, un
reddito previdenziale superiore a 5 volte l’assegno minimo»[15].
Riguardo il“Bonus Mamme”? La platea delle
potenziali beneficiarie si allargherà alle lavoratrici autonome, comprese
quelle che percepiscano redditi d’impresa. E sarebbe comprensibile, a questo
punto, l’introduzione del limite di reddito di 40.000€ su base annua[16],
per quanto introdurre un tetto reddituale non metta mai la forza lavoro al
riparo, per gli anni a venire, da cambiamenti peggiorativi. Tuttavia non sono
ancora stati definiti l’entità dell’esonero contributivo previsto e la maggior
parte delle specifiche attuative: rimaniamo in attesa di un Decreto
interministeriale ad hoc che dovrà arrivare entro trenta giorni.
L’età pensionabile dei dipendenti
pubblici viene equiparata a quella generalmente valida (67 anni). Sarà poi negata la facoltà di risoluzione facoltativa del
rapporto di lavoro per chi avrà raggiunto il diritto alla pensione anticipata
tramite i 40 anni di contribuzione. Dinanzi a una forza lavoro tra le più
vecchie dell’intera Ue, il trattenimento in servizio fino ai 70 anni è l’altra novità
introdotta dalla Legge di Bilancio 2025, pur se consentito nei limiti del 10%
delle possibilità di assunzione e solo col consenso del lavoratore[17]. Ma certezze
sull’immediato futuro non ne abbiamo e quindi la volontarietà potrebbe presto
trasformarsi in obbligo, anche senza voler fare processi alle intenzioni.
Gli assegni
sociali, da corrispondere ad anziani con età pari o superiore a 70 e in
condizioni di disagio economico, sono incrementati di ben 8€, con un aumento di
104€ del livello reddituale massimo consentito per accedervi. Ma del resto è dalla
fine degli anni ’90 (L. 448/1998) che i trattamenti minimi aumentano di poco e
mai in base al reale costo della vita. Ne volete la prova? 20 anni fa erano già
previsti 516,46€/mese per soggetti dai 70 anni in su aventi per reddito un
massimo di 6.713,98€ (L. 448/2001), mentre nel 2025 siamo arrivati a 542,41€
per redditi fino a 7.051,33€.
Fra le disposizioni contenute nella nuova Finanziaria
si trova infine una novità legislativa: per i nuovi iscritti alla previdenza
pubblica (dal 1° gennaio 2025) sarà possibile scegliere di auto-tassarsi (!),
versando all’Inps un’aliquota contributiva maggiorata fino al 2%[18]…
Visto che tanto mancano più di 40 anni al loro pensionamento, tanto vale farci
cassa!
Insomma, ci pare evidente che siano stati disattesi
gli impegni assunti con i cittadini, che la Fornero sia rimasta al suo posto e
che il potere di acquisto delle pensioni medio basse sia in continua erosione,
al pari dei salari.
Ancora una volta il Governo si accorda con Bruxelles. Questa volta per i 7
anni da sorvegliata speciale dell’Italia, previsti al fine di farci rientrare all’interno
dei parametri comunitari del rapporto tra debito e Pil. E visto che l’economia
non cresce e che perfino i dati previsionali vengono rivisti al ribasso, tanto
vale continuare a regalare soldi alle imprese attraverso gli sgravi fiscali e
peggiorare le norme previdenziali per ritardare l’uscita dal mondo del lavoro.
Si acquista solo tempo, scaricando sulla forza lavoro e sui pensionati – gli
stessi che da sempre pagano buona parte delle tasse – i costi della demagogia
governativa.
[1]Cfr. MEF, Le tendenze di
medio-lungo periodo del sistema pensionistico e socio-sanitario. Rapporto n. 25,
Giugno 2024, p. 55.
[2] L’incremento delle aliquote datoriali
è da intendersi come incremento della retribuzione salariale lorda
(sulla scorta di quanto avvenuto in Italia negli anni ’60 e ’70).
[3] L. 207/2024, c. 174.
[4]L. 207/2024, c. 173.
[5] L. 207/2024, c. 175. Nel 2024 Meloni
aveva già innalzato di 5 mesi il requisito d’età per l’accesso (L. 213/2023,
art.1, c. 136).
[6]L.
213/2023, art.1, c. 139, lett. “a”, n. 4.
[7]E. Gentili, F. Giusti
e S. Macera, Pensioni, lavoro e welfare (Parte I), «Machina»,
11/12/2023,
https://www.machina-deriveapprodi.com/post/pensioni-lavoro-e-welfare-i
[8] L. 243/2004, art. 1, cc.12 e 16.
[9]L.
207/2024, c. 161.
[10] L.
243/2004, art. 1, c. 9.
[11]E. Gentili, F. Giusti
e S. Macera, op. cit.
[12]Ibidem.
[13]L. 207/2024, c. 183.
[14] L. 207/2024, cc. 181, 182 e 184.
[15] A.
Curiat, La pensione anticipata prevista in Manovra esplicherà i suoi effetti
nel lungo periodo, «ilSole24Ore», 29/12/2024.
[16] L. 207/2024, c. 219. Soglia che, però,
potrebbe essere abbassata in futuro, trasformando il “Bonus” in uno strumento
accessibile per le sole fasce più povere delle lavoratrici.
[17] L. 207/2024, cc. 162,163,164 e 165.
[18]L. 207/2024, cc. 169 e 170.
Fonte foto: Piazza Borsa (da Google)