Il Partito Democratico dall’avvento della Seconda Repubblica si è assunto la funzione di architrave per la stabilità del sistema governato dai mercati. Ha sostituito la Democrazia Cristiana nella centralità istituzionale. Con un paradosso. La DC era percepita (e spesso lo era) come forza conservatrice, mentre il PD come forza progressista (e non lo è). Ma in realtà la prima si poneva il problema dello spirito sociale della Costituzione mentre il secondo opera solo per proteggere il vincolo esterno e la Costituzione economica sovranazionale incentrata sul principio di concorrenza.
Questa centralità dona al PD un particolare dono. Di natura esoterica. Assegna purezza e dignità alle altre forze politiche, ma solo quando accettano di essergli devote ancelle.
Così il M5S e la Lega, al governo in coppia, incarnavano un pericoloso sentimento populista ma con la propria aggiunta si trasformano in forze popolari, certo rozze, ma comunque capaci di arricchire il dibattito.
La stessa Lega imbrigliata nel centro-destra viene considerata una forza razzista, egoista che sfrutta le suggestioni dei sentimenti più retrivi della popolazione, ma in una logica di unità nazionale diventa compagine credibile, espressione dei ceti produttivi.
I grillini contro il PD sono dei dilettanti allo sbaraglio, spesso ingenui complottisti. Ma in una dinamica da centro-sinistra, con un’improvvisa giravolta, assumono le vesti di partito cardine del progressismo.
Renzi segretario di partito un innovatore, fuori dal partito un bullo.
Forza Italia passa dall’essere un partitino privato al servizio di un porco despota a garante della liberaldemocrazia mondiale. E anche gli ex fascisti sono tali quando sbraitano ma – come accadde negli anni ’90, quindi quando servono – improvvisamente fondamentali in uno spirito di riconciliazione nazionale.
Insomma il PD ha una proprietà magica. La sua vicinanza genera cigni maestosi.