Lunedì 8 marzo i Centers for Disease Control and Prevention (CDC) hanno reso pubblico la prima guida per le persone vaccinate. Si afferma che i vaccinati potranno togliere le mascherina e tornare alla normalità senza distanziamento. I non vaccinati dovranno conservare mascherina e rispettare il perenne distanziamento. La ragione scientifica non è chiara. Normalmente chi non è vaccinato non è un pericolo per i vaccinati. La documentazione scientifica insegna che i virus mutano a causa dei vaccini, pertanto le varianti saranno il prodotto della campagna vaccinale, a cui le multinazionali del farmaco risponderanno con vaccini da “inoculare” nel mercato. Il nuovo ciclo produttivo con il biopotere conseguente è, ormai, lapalissiano. Nel ciclo produttivo medicale vi è un’eccedenza rispetto al lucro che bisogna far emergere, vi è un disegno politico che ammicca al passato e vuole riprodurre nuove logiche di dominio con il consenso dei nuovi sudditi. Definire gli spazi ed i reticolati per la categoria dei non vaccinati ed aggiungere ad essi lo stigma del segno (mascherina) di riconoscimento con pubblico disprezzo è la riproduzione di una tragica verità storica che l’Europa ha già conosciuto: la stella gialla per gli ebrei. Il biopotere inventa nuove categorie su cui esercitare il potere e scaricare la pubblica aggressività. Si può immaginare che qualora ciò fosse attuato i non vaccinati potrebbero diventare la causa di ogni male da utilizzare in ogni frangente di crisi. Le contraddizioni sociali hanno trovato un colpevole su cui scaricare la causa di ogni male. Si ottiene, dunque, un doppio risultato si costringe i resistenti ad entrare nel mercato del farmaco “liberamente”, e nel contempo gli ultimi resistenti sono oggetto di una marginalità socialmente codificata. Il potere diviene dominio e saggia la sua onnipotenza verificando la passività degli stessi. Questi ultimi dopo decenni di individualismo supportato da una formazione specialistica sono incapaci di decodificare le derive in atto, pertanto il potere ritiene di poter procedere dopo i pass ed i treni per i soli vaccinati per un ultimo salto verso una nuova forma di segregazione, la quale non necessita, al momento di confini o reticolati geograficamente codificati e strutturati, ma il confino è più insidioso e violento, forse, in quanto è interno. La logica della gradualità nell’introdurre provvedimenti di esclusione è stata ampiamente utilizzata in tutti i regimi definiti “totalitari”. Si immagini una persona non vaccinata perennemente con la mascherina e distanziata oggetto degli sguardi di disapprovazione ed isolata. Si mette in atto un meccanismo di distruzione dell’altrui vita e personalità pur lasciandolo in vita. La sua parola è nulla, la sua identità sociale semicancellata, colpevolizzata con ragioni pseudoscientifica a cui religiosamente i nuovi sudditi credono. In un’epoca di precarietà ed emigrazione, chiunque non voglia vaccinarsi è costretto ad essere, inoltre, separato dai suoi affetti ed isolato nella nuova realtà, in cui è costretto a vivere. La violenza si moltiplica e la si coglie solo se si passa da ordini astratti ad un sapere concreto e materiale.
Partigiani della contemporaneità
La nuova inquisizione è tra di noi ed ha l’aspetto modernissimo della medicina non più al servizio della persona, ma del mercato. La colpa di coloro che potrebbero portare la nuova stella gialla, non sul petto, ma sul volto è aver messo in discussione le verità del mercato delle multinazionali del farmaco. La nuova colpa non è di tipo etico, ma inceppare il consumo, osare non essere massa, ma assumere una posizione personale senza nuocere a nessuno.
Si festeggia e si ricorda ogni anno la fine dei totalitarismi, ma è solo propaganda, perché si vuole orientare lo sguardo nel passato, in modo che non si colgano le derive totalitarie nel presente con le indebite pressioni per anestetizzare il senso critico. I nuovi partigiani, di cui abbiamo necessità, sono coloro che si battono per rendere evidenti le dinamiche in corso con le sue conseguenze. Si osannano i partigiani del passato per presentare il tempo odierno come “il migliore dei mondi possibili”, necessitiamo di partigiani che svelino la verità dell’esattezza dei mercati e delle scienze destrutturando criticamente i miti annessi. I nuovi partigiani hanno il dovere di informare e comunicare con ogni mezzo i pericoli in corso. Essere partigiani, oggi, è più difficile che in passato, poiché il partigiano, come suggerisce la parola deve schierarsi, scegliere, separarsi dall’informe per dare il suo contributo civile per trasformare il dominio gerarchico in potere di tutti, ovvero in sana e comunitaria partecipazione. Il partigiano ha il compito di ricucire le divisioni e le fratture orizzontali che la verticalizzazione del dominio produce con i “nuovi saperi” finalizzati all’atomocrazia depressiva ed aggressiva.
La Rivoluzione di Danilo Dolci
Danilo Dolci[1] dimenticato dalla cultura ufficiale, ci ha donato nei suoi innumerevoli scritti e poesie la necessaria differenza tra dominio e potere: il primo è gerarchizzato e si fonda sulla logica della trasmissione dei comandi e dei saperi senza mediazione razionale e comunitaria, mentre il secondo appartiene a tutti. Il potere è possibilità diffusa e comunitaria che ha come principio primo la comunicazione maieutica, ovvero il mettere in comune, in modo che ciascuno possa trasformare in atto le proprie potenzialità nella vita comunitaria, la quale è prassi politica, poiché in essa si decide della vita di ciascuno senza escludere nessuno. La vera Rivoluzione auspicata da Danilo dolci è la demassificazione mediante lo sviluppo delle personalità in un clima di positiva dialettica sociale che non esclude il conflitto, il quale è capace di segnare positivamente la vita interiore di ogni cittadino. Il conflitto dialettico è il fondamento della comunicazione maieutica, poiché il confronto implica una tensione che conduce verso l’universale concreto e partecipato. In un momento fosco e dubbio per la nostra democrazia ricordare un “partigiano” come Danilo Dolci può essere occasione per riflettere sul senso della politica sepolta da scandali e violenze:
Chi si spaventa quando sente dire
“rivoluzione”
forse non ha capito.
Non è rivoluzione
tirare una sassata in testa a uno sbirro,
sputare addosso a un poveraccio
che ha messo una divisa non sapendo
come mangiare;
non è incendiare il municipio
o le carte in catasto
per andare da stupidi in galera
rinforzando il nemico di pretesti.
Quando ci si agita per giungere
al potere e non si arriva
non è rivoluzione, si è mancata;
se si giunge al potere e la sostanza
dei rapporti rimane come prima,
rivoluzione tradita.
Rivoluzione è distinguere il buono
già vivente, sapendolo godere
sani, senza rimorsi,
amore, riconoscersi con gioia.
Rivoluzione è curare il curabile
profondamente e presto,
è rendere ciascuno responsabile.
Rivoluzione
è incontrarsi con sapiente sapienza
assumendo rapporti essenziali
tra terra, cielo e uomini: ostie sì,
quando necessita, sfruttati no,
i dispersi atomi umani divengano
nuovi organismi e lottino nettando
via ogni marcio, ogni mafia.
Poema umano” (1974)
Rivoluzione è cura del presente, responsabilità verso il presente ed il futuro, aprirsi a dimensioni che pongano in tensione realtà apparentemente separate. Rivoluzione è scoprire la verità senza la quale nessun movimento di profonda trasformazione può esserci. Ogni partigiano lavora per la Rivoluzione anche quando la storia sembra fare pericolosi giri di boa e tornare indietro. Siamo tutti implicati nella Storia, la quale è di tutti. L’esperienza partigiana ha visto la partecipazione di persone appartenenti a realtà ideologiche diverse, perché quando il pericolo è vicino, la salvezza necessita della partecipazione di tutti, ognuno ha il suo compito per impedire nuove regressioni sociali.
[1] Danilo Dolci (28 giugno 1924 Sesana, Slovenia – 30 dicembre 1997)