Personalmente, e come Network per il Socialismo, si è sempre affermato che la costruzione europea si salva se la Germania decide di assumere un ruolo di leadership complessiva del continente, e non solo dei suoi interessi nazionali. La partecipazione ad un’area valutaria comune, come si è sempre detto, implica, in assenza di meccanismi di trasferimento finanziario a sostegno dei differenziali di domanda aggregata fra aree forti ed aree deboli, un gioco del tipo “follow the leader”, nel quale la convergenza fra parametri macroeconomici necessaria per tenere insieme la moneta unica “costringe” le economie più fragili ad allinearsi al modello economico ed alla direzione delle politiche fiscali dell’area più forte, in termini di Pil, domanda interna e fondamentali di finanza pubblica. Senza tale convergenza, l’area monetaria comune esplode, per vari motivi (speculazione sui debiti sovrani, crisi creditizie asimmetriche, accumulazione di saldi squilibrati nel sistema Target 2 in assenza di un mercato interbancario fluido, insostenibilità sociale e politica, ecc.). Il modello ordoliberista del Paese leader, la Germania, non modificato in misura significativa in questi ultimi anni, ha di fatto ingabbiato l’intera area-euro dentro una austerità suicida, l’impossibilità di usare la mano pubblica per correggere gli squilibri e costruire programmi keynesiani di investimento pubblico e di politica industriale, inducendo le economie a minor livello di competitività dal lato dell’offerta a contenere i propri costi di produzione, innescando una spirale deflazionistica che sta distruggendo l’Europa.
La politica delle destra tedesca ha, di fatto, scaricato il riaggiustamento fiscale legato alla crisi sui partner mediterranei, approfittandone per crearsi un lebensraum industriale, affondando economie manifatturiere tradizionalmente concorrenti, come l’Italia. Ed oggi accarezza, soprattutto con Schaeuble, il progetto di scaricare a mare le economie più deboli, inducendo una rottura pilotata dell’euro, ovviamente pilotata dalla preservazione degli interessi economici germanici.
Di fronte a tale stato di cose, che rende politicamente impossibile rinegoziare la direzione delle politiche economiche europee imposta dai Tratti vigenti, l’ipotesi dell’uscita coordinata dall’euro diventa l’unica possibilità di immaginare un futuro oltre la distruzione sistematica delle nostre società, operata da un modello insostenibile imposto dal Paese leader. Oggi, però, lo scenario politico del Paese leader è in una fase di forte dinamismo. Dopo anni di dominio della Cdu/Csu, il partito socialdemocratico è in vantaggio nei sondaggi, in vista delle elezioni politiche di settembre, con la discesa in campo di Martin Schulz. Schulz fa parte della corrente centrista dell’Spd, da sempre favorevole alla mutazione genetica del socialismo europeo verso i dettami liberisti. E’ stato un sostenitore delle politiche di massacro sociale fatte da Schroeder con Agenda 2010, e nella sua veste di leader politico europeo è stato un alfiere di quel principio di “Deutschland uber alles” che è stato alla base dell’austerità suicida.
Oggi, però, da politico esperto e pragmatico, misura il disastro elettorale e politico del suo partito, e in generale del socialismo europeo, e l’avvitamento della costruzione europea in una crisi forse terminale. La sua proposta programmatica sembra indicare, finalmente, un punto di svolta rispetto all’adesione incondizionata ai principi del socio-liberismo cui la Spd si è attenuta. Il suo programma elettorale è ancora vago, ma in una lunga intervista rilasciata allo Spiegel in questi giorni indica alcuni punti di rottura: una critica ai provvedimenti Hartz IV, in termini di eccessivo allargamento dell’area del precariato, la richiesta di incrementi salariali consistenti per i lavoratori tedeschi, alcuni accenni alla ricostruzione di un welfare pubblico, e l’insistenza con la quale parla di sostegno alle economie più vicine all’exit, come la Grecia e l’Italia, potrebbe indicare una volontà di rivedere, almeno in parte, e comunque sotto l’ombrello della prosecuzione di una disciplina budgetaria rigorosa, gli eccessi di austerità dei Trattati. Interessante, e per certi versi innovativa, l’idea di tassare i robot industriali sulla base della ricchezza che producono, per ridurne la competitività rispetto al lavoro umano.
Non vi è dubbio che l’aumento della domanda interna tedesca sia benefico per una ripresa complessiva delle economie dell’euro-area: crea maggiori spazi per le esportazioni, riduce gli squilibri nei saldi di Target 2, apre spazi per un ammorbidimento delle politiche di austerità sui conti pubblici (se il leader accetta spazi per un maggiore indebitamento interno, anche la tensione speculativa sui differenziali nei saldi di finanza pubblica si riduce). Se poi, anche sotto la pressione delle altre sinistre europee, si dovessero rivedere in senso maggiormente espansivo alcuni aspetti del Six Pack, oppure lanciare un vero pacchetto di investimenti pubblici (oltre il ridicolo ed inadeguato piano Juncker) ed un pacchetto sociale, allora i benefici per l’intera area sarebbero maggiori.
Il punto, però, è il seguente: nello stato di degrado in cui versa l’area euro, tali rimedi sono sufficienti ad evitare l’implosione dell’area? Personalmente non credo. Intanto per motivi politici: per quanto in rimonta, la Spd non potrà governare da sola. Lo spostamento a sinistra di Schulz è ancora troppo moderato, su molti temi (come il sostegno al libero mercato, alla globalizzazione commerciale, al mantenimento del rigore di bilancio, sulla sua parte corrente) per poter realisticamente pensare ad una coalizione rosso-verde fra Spd, Linke e Grunen (che comunque non avrebbe i numeri, allo stato, per fare una maggioranza). L’ipotesi più probabile è il ripetersi di una grosse koalition con la Cdu, con cancellierato in mani socialdemocratiche, che annacquerebbe significativamente i già blandi propositi progressisti espressi da Schulz.
E peraltro c’è da chiedersi se non sia troppo tardi per indurre una ripresa dell’area euro che prevenga il rischio di autodistruzione della moneta comune. L’output gap, ovvero la distanza fra il Pil effettivo e quello potenziale, che misura l’efficienza di utilizzo delle risorse delle economie è, al 2015, negativo per 2,6 punti per l’intera area euro. Per i Paesi più critici, come Grecia, Italia e Spagna, lo scarto negativo è drammatico (con valori, rispettivamente, pari a -13,2; -5,1; -7,6). La Germania è invece in territorio positivo (0,4). Ciò significa che, se già oggi, con le politiche di austerità della Merkel, la Germania è in una condizione potenzialmente inflazionistica in cui la domanda supera il Pil potenziale producibile con i livelli attuali di risorse e produttività, le economie mediterranee sono in una condizione strutturale di deflazione. Pertanto, se le politiche economiche interne di un governo tedesco guidato da Schulz dovessero essere di tipo espansivo, esse aggiungerebbero poco alla condizione attuale di tipo espansivo dell’economia tedesca, e si tradurrebbero, probabilmente, in una più equa distribuzione interna dei frutti di tale espansione (ma a beneficio dei soli cittadini tedeschi) mentre la condizione strutturale di deflazione in cui versa il Sud del continente riceverebbe benefici del tutto marginali, ed insufficienti per produrre effetti sui salari, i consumi e la domanda aggregata.
La sensazione quindi è che il pallido salvatore dell’Europa arrivi troppo tardi, troppo timidamente e, in fondo, forse, senza nemmeno crederci veramente, all’appuntamento con la storia, cioè l’assunzione della responsabilità di Paese-leader a beneficio dell’intera Europa, che la Germania della Merkel ha sempre rifiutato. Certamente, però, la sua azione potrà allungare l’agonia dell’euro, dare qualche residuo argomento di breve periodo alle classi dirigenti socio-liberiste che hanno assecondato il massacro sociale fatto con la moneta unica, per sopravvivere qualche mese, forse qualche anno in più. Danneggiando quindi la necessità di un dibattito serio ed urgente sull’uscita dall’euro. Alla fine il libraio di Hehlrath, con la passione per la birra e la politica, avrà fatto danni ulteriori, senza riuscire a raddrizzare la barca.