Il dibattito pubblico di qualche mese fa fu animato dalla vicenda dell’orsa JJ4 che nei boschi della Val di Sole in provincia di Trento ferì a morte un uomo che in quel territorio si era addentrato per svolgere attività di allenamento sportivo.
Mentre il solerte presidente della Provincia Autonoma di Trento si affrettava ad emanare un’ordinanza di abbattimento dell’ignara “criminale” (provvedimento poi stoppato dal TAR) si è venuti a conoscenza che quell’animale non era in quella località (a non molta distanza dei centri abitati) a causa di chissà quale straordinaria migrazione dovuta ai cambiamenti climatici, ma perché li vi “risiedeva” abitualmente da diciassette anni.
Nel 1996 infatti venne deciso, attraverso l’implementazione di un piano di ripopolamento dell’orso bruno (https://grandicarnivori.provincia.tn.it/L-orso/Storia-sull-arco-alpino/Il-Progetto-di-reintroduzione-Life-Ursus) che quell’habitat naturale dovesse ri-accoglierlo, dato che in quel territorio la sua presenza è ampiamente documentata nei secoli scorsi e la sua repentina sparizione è stata determinata dall’azione delle popolazioni stanziali poiché in forte contrasto con i loro interessi di carattere economico e sicurezza.
Una scelta quella del ripopolamento dell’orso bruno, a detta dei suoi ideatori, a favore nostro (Homo sapiens) come suo (Ursus arctos).
E questo in funzione del principio naturalistico della biodiversità, definita scientificamente come “coesistenza in uno stesso ecosistema di diverse specie animali e vegetali che crea un equilibrio grazie alle loro reciproche relazioni”.
Sarebbe stato opportuno, anche come parziale risarcimento ad Andrea Papi, lo sfortunato appassionato runner che perse la vita in quello stramaledetto 5 aprile, che il dibattito pubblico che ne conseguì nelle forme della polarizzazione, si fosse evoluto invece in una presa di coscienza collettiva su un tema che è tutt’altro che specialistico e confinato nell’ambito della etologia animale e delle problematiche ambientali, ma etico-politico: la generazione del conflitto tra soggetti diversi come portato e conseguenza della determinazione di squilibri indotti.
Ci provo facendo un capitombolo ma rimanendo…seppure in forma metaforica, in ambito naturalistico.
La scena è un seminario tenuto nell’ottobre scorso al Collegio d’Europa, un istituto indipendente di studi europei post-universitari fondato nel 1949 con sede a Bruges in Belgio e a Varsavia in Polonia, presieduto da Federica Mogherini.
“L’Europa è un giardino nel quale tutto funziona ed è la migliore combinazione di libertà politica, prosperità economica e coesione sociale che l’umanità è stata in grado di costruire.
Il resto del mondo non è esattamente un giardino. La maggior parte del resto del mondo è una giungla e la giungla potrebbe invadere il giardino.
I giardinieri dovrebbero occuparsene…ma non proteggeranno il giardino costruendo muri: un bel giardinetto circondato da alte mura per impedire l’ingresso della giungla non sarà una soluzione perché la giungla ha una forte capacità di crescita e il muro non sarà mai abbastanza alto per proteggere il giardino.
I giardinieri…devono andare nella giungla.
Gli europei devono essere molto più coinvolti con il resto del mondo, altrimenti quest’ultimo ci invaderà, in modi e mezzi diversi.
Siamo persone privilegiate, ma non possiamo pretendere di sopravvivere come un’eccezione.
Deve essere un modo per sostenere gli altri che affrontano le grandi sfide del nostro tempo”
Chi ha pronunciato queste illuminanti frasi?
Josep Borrell: Alto rappresentante dell’Unione Europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza, nonché ex-presidente del Parlamento europeo dal 2004 al 2007, nonché ministro del governo spagnolo agli affari esteri, Unione europea e cooperazione dal 2018 al 2019.
Socialista, membro del PSOE (Partido Socialista Obrero Español)
Un discorso stupefacente, non solo per lo spericolato azzardo metaforico in epoca di politicamente corretto di stretta osservanza (a ridosso dell’evento gli sono piovute accuse di neo-colonialismo culturale da parte di molti ambienti diplomatici del cosiddetto terzo-mondo) ma per il contenuto politico e la visione dell’altro da sé che ha messo in campo in modo brutale, seppure edulcorata dalla metafora “green”.
Non è stata una gaffe quella di Mr. Borrell.
Tutt’altro.
Quella visione è esattamente ciò che sorregge il programma di globalizzazione neoliberista che ha preso il via circa trent’anni fa dopo la caduta del muro e che ancora oggi, nonostante i segni evidenti di una sua pericolosissima parabola discendente (per il rinculo che sta determinando) continua ad essere alimentato dal carburante dell’ideologia a cui anche la sinistra (socialdemocratica) a cui appartiene Borrell ha partecipato a raffinare.
La metafora giardino-giungla messa in campo da Borrell in questo senso è perfetta e calzante, se si considerano i presupposti storico-culturali che hanno portato alla nascita dell’elemento architettonico del giardino (e poi del parco urbano) come simulacro di una natura artificiale plasmata e governata dall’azione umana (progettazione-realizzazione-cura) a servizio delle logiche e finalità dell’urbanesimo ottocentesco/novecentesco: rigenerazione dei cittadini dall’alienazione operata dalla vita urbana.
Ma contrariamente a quanto è accaduto all’orso bruno in Trentino, Borrell chiarisce in modo inequivocabile che non c’è in programma nessun intervento di salvaguardia della “biodiversità”.
Vero il contrario.
Parafrasando, l’Orsa JJ4 va addomesticata ed abituata a vivere in un ambiente costruito da noi per lei e dovrà imparare ad adattarsi e a farlo proprio.
Aderendovi soprattutto culturalmente, ancor più che per soddisfazione dei propri bisogni.
Solo così la pacifica e prospera convivenza tra “noi” e “loro” potrà essere garantita.
I “giardinieri” (i diplomatici) rappresentano per Borrell gli emissari dell’esportazione del modello in cui “tutto funziona ed è la migliore combinazione di libertà politica, prosperità economica e coesione sociale che l’umanità è stata in grado di costruire”
Parole, va ricordato, proferite nel pieno dello svolgimento del conflitto “Russo/Ucraino-NATO” ancora in pieno e sanguinoso svolgimento e che di quel programma di assimilazione/omogeneizzazione rappresenta un esempio delle nefaste conseguenze a cui può portare.
Una guerra che ha evidenziato, pur sopraffatta ed oscurata da una martellante propaganda mediatica cobelligerante, di quale variegata strumentazione dispongano i giardinieri del sistema liberal-democratico.
Dalle forbici alle motoseghe, a seconda della resistenza incontrata.