“Odio i rassegnati”

Le parole di Albert Libertad[1] sono un monito per il presente e per il futuro. Il suo anarchico grido “Odio i rassegnati” ben si adatta alla contingenza presente. Sembra si sia oscurata la critica sociale con la partecipazione politica .

Il ritrarsi da decenni di una diffusa cultura socialista e comunista spingono verso la conservazione e, specialmente, verso la rassegnata indifferenza. La cultura comunitaria e di sinistra non coincide necessariamente con un partito o con un movimento, essa è stata un atteggiamento culturale trasversale ad ogni forza politica e sociale. Il grande rinnovamento delle forze politiche è avvenuto mediante la cultura della prassi critica. Essa era ed è un processo di trasformazione interiore che viveva nell’agire sociale, in tal modo l’attività critica poneva in analisi dati, usanze e rappresentazioni delle informazioni. La teoria e la prassi in una relazione osmotica consentiva l’emancipazione e la resistenza al feticismo delle merci e dei dogmi del liberismo.

Con il ritrarsi della cultura critica di ascendenza hegelo-marxiana la conservazione è divenuta indifferenza, in molti casi l’indifferenza è diventata complice rassegnazione.

Il dissenso resta diffuso e carsico, ma è internamente logorato dall’individualismo e dal fatalismo. L’individualismo è la vera arma del capitalismo nel tempo attuale, è un’arma di distruzione di massa e di popoli. La regressione sociale e la reazione sono sostenute dal tarlo della cultura del leader e del selfie.

La deriva narcisista frammenta le forze di opposizione, le lega ad un personaggio carismatico, pertanto l’impianto ideologico è debole, e dove vi è non diventa cultura condivisa. Si elemosina il cono di luce della società dello spettacolo con l’effetto finale della sconfitta generale.

Le divisioni dei partiti antisistema trovano la loro ragione principale nel calcolo personale, nell’ingenuo delirio di essere i condottieri che devono portare il popolo fuori dalla caverna del neoliberismo. Il culto e l’idolatria del leader è parte della generale deriva dell’incultura del selfie, si cerca l’affermazione personale e non certo la collaborazione comunitaria. Il progetto politico non è mai associato ad un singolo ma ad una elaborazione comune generale.

La cultura di sinistra e comunista è stata cultura di emancipazione, in quanto i dibattiti nelle sezioni di partito erano attività quotidiana, e specialmente, l’impegno di milioni di uomini e donne anonimi prevaleva sul leaderismo. Spazzata via con il crollo del comunismo reale la cultura della partecipazione, l’individualismo rassegnato e curvato al solo calcolo immediato non poteva che produrre la cultura dell’adattamento resiliente sollecitato e sostenuto dalle forze della conservazione, le quali sono trasversali e attraversano la destra come la sinistra parlamentare. Il vuoto di ogni fondamento veritativo non può che essere l’humus che moltiplica in modo esponenziale l’effetto del disimpegno e della rassegnazione. L’irrazionale frammenta le istanze culturali delle nuove forze politiche e sociali consapevoli della profonda caverna in cui siamo.

Nel mito della caverna Platone pone l’antro in profondità, al punto che lo schiavo liberato deve effettuare un percorso accidentato per uscire dalla stessa. Siamo nella caverna, in cammino verso l’uscita, per cui la rassegnazione diffusa dei sussunti non deve intimidirci né farci disperare. Devono risuonare le parole dell’anarchico Albert Libertad, il quale orfano, povero e semiparalizzato ha continuato a lottare fino alla fine della sua breve esistenza, probabilmente ammazzato dalle forze di polizia durante una manifestazione. “Odio i rassegnati” di Albert Libertad è meno conosciuto di “Odio gli indifferenti” di Antonio Gramsci, ma in un momento storico in cui il fatalismo sembra prevalere, le sue parole siano con noi e con tutti nei giorni che verranno:

 

“Odio i rassegnati!
Odio i rassegnati, come odio i sudici, come odio i fannulloni.
Odio la rassegnazione! Odio il sudiciume, odio l’inazione.
Compiango il malato curvato da qualche febbre maligna; odio il malato immaginario che un po’ di buona volontà rimetterebbe in piedi.
Compiango l’uomo incatenato, circondato da guardiani, schiacciato dal peso del ferro e del numero.
Odio il soldato curvato dal peso di un gallone o di tre stellette; i lavoratori curvati dal peso del capitale.
Amo l’uomo che esprime il suo pensiero nel posto in cui si trova; odio il votato alla perpetua conquista di una maggioranza.
Amo il sapiente schiacciato sotto il peso delle ricerche scientifiche; odio l’individuo che china il suo corpo sotto il peso di una potenza sconosciuta, di un X qualsiasi, di un Dio.
Odio tutti coloro che cedendo ad altri per paura, per rassegnazione, una parte della loro potenza di uomini non solamente si schiacciano, ma schiacciano anche me, quelli che io amo, col peso del loro spaventoso concorso o con la loro inerzia idiota.
Li odio, sì, io li odio, perchè lo sento, io non mi curvo sotto il gallone dell’ufficiale, sotto la fascia del sindaco, sotto l’oro del capitale, sotto le morali e le religioni; da molto tempo so che tutto questo non è che indecisione che si sbriciola come vetro… Io mi curvo sotto il peso della rassegnazione altrui. Odio la rassegnazione!
Amo la Vita.
Voglio vivere, non meschinamente come coloro che soddisfano solo una parte dei loro muscoli, dei loro nervi, ma largamente soddisfacendo sia i muscoli facciali che quelli dei polpacci, la massa dei miei reni come quella del mio cervello.
Non voglio barattare una parte dell’oggi con una parte fittizia del domani, non voglio cedere niente del presente per il vento dell’avvenire.
Non voglio curvare niente di me sotto le prole Patria — Dio – Onore. Conosco troppo bene il vuoto di queste parole: spettri religiosi e laici”.

I rassegnati vivono come pezzi di lava sulla luna, la nota immagine di Fichte deve indurci a pensare la rassegnazione ed i suoi effetti. Resta al soggetto  la fatale decisione:  vivere da sussunto in catene o spezzarle, a noi la scelta…

 

[1]Albert Joseph, detto Libertad (Bordeaux 24 novembre1875 – Parigi 12 novembre 1908)

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Fonte foto: da Google

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