Le elezioni europee
hanno segnato un passo in avanti verso la “non politica”. I leader vincenti o
presunti tali ammiccano con i media, le pose da star si succedono, ma in tutto
questo “apparire”, nessuna parola sul dato che manifesta la sconfitta della
politica. Meno del 50% dei cittadini sono andati alle urne. Metà e oltre della
popolazione ha disertato la cabina elettorale. Il risultato è straordinario,
malgrado gli appelli della TV di Stato, malgrado 48 ore di tempo per votare,
malgrado le europee siano state affiancate alle amministrative in non poche
città, nelle quali il numero degli aspiranti a “sistemarsi” con la politica o a
integrare il proprio reddito sia mastodontico e inquietante. Si voleva celare
il disastro antropologico e umano in cui versiamo da decenni, ma non è stato
raggiunto. Da destra come da sinistra i leader – termine che andrebbe
cancellato, dove vi è un leader non c’è partecipazione, ma un capo con comparse
al seguito – si proclamano entusiasti della vittoria su numeri che esprimono
una porzione minimale dei votanti e che vengono rappresentati come se fossero
numeri reali e totali. Siamo dinanzi al nominalismo dei numeri, ovvero la
percentuali dei vincenti non corrisponde alla realtà; i numeri possono mentire
se sono astratti dalla totalità dei votanti. Si continua a ignorare la realtà.
La violenza ha tante forme: ridimensionare o ignorare la diaspora dal voto è
una forma di violenza. La politica è tale se porta i cittadini al voto, in
questo caso avviene il contrario. La gente ha compreso, anche, che le decisioni
non sono prese dalla politica ma dagli apparati economici e burocratici, e tutto
avviene di conseguenza.
Più della metà della
popolazione non ha rappresentanti, è fuori della politica, non si sente parte
di nessuna comunità: locale, nazionale ed europea.
L’essere umano è un
animale sociale e politico, queste elezioni dimostrano la verità perversa in
cui siamo. L’Unione europea non ci ha reso cittadini partecipanti, ma sudditi
disperati che giudicano la politica un affare di comitati. Dall’altra parte
della barricata il mondo dei precari, dei migranti, non più emigrati o
immigrati, ma uomini e donne dalla identità patria e comunitaria fluida, ed
ancora, coloro che sono costretti a lavorare, in epoca di automazione, più di
quarant’anni. Nell’Europa dei diritti e delle libertà si lavora e si è poveri.
Si lavora e non ci si può curare. Insomma il male di vivere è in Europa, è in
Italia. Europa patria per ricchi che si annoiano con crociere e viaggi al
seguito. Si è cittadini per censo. Il
taglio ai diritti sociali e il trionfo della ipertrofia dei diritti individuali
con l’esaltazione dell’io metamorfico e senza fondamento quale modello del
nuovo cittadino europeo non convince e non porta la gente alle urne. Il 50% e
oltre che non è andato a votare, si può immaginare, vuole giustizia, lavoro, servizi
pubblici, la pace e meno individualismo. In tempo di guerra non andare a votare
significa che non si vuole la guerra, su questo si tace naturalmente.
Su tutto troneggia un
sentimento di sfiducia assoluto e un clima depressivo, perché chi non va a
votare non ha speranza e non si sente parte di nulla, è un atomo le cui urla di
dolore nessuno ascolta.
I leader sono tutti presi dalla politica dello spettacolo e dal trionfo numerico che risponde e corrisponde al niente. L’Europa che non c’è con le comunità devastate dal liberismo è tra di noi, su queste macerie c’è una civiltà da ricostruire, è una missione per eroi dell’etica in un’epoca di indifferenza disperata. Questa è un’epoca che necessita di piccoli e grandi eroi che con la loro passione civile riportano nel deserto del “niente” la vita politica. Bisogna ricostruire una rappresentanza politica e una cultura della partecipazione tra gli innumerevoli che chiedono, pongono domande, ma non hanno risposte. Sulle macerie bisogna segnare un solco che riporti il potere politico al servizio al popolo, alle comunità e alle famiglie senza le quali non vi è comunità. Il rispetto per le individualità tutte presuppone la cura formativa ed etica che non può che avvenire nelle comunità: famiglia, scuole, sanità, comuni ecc. aggredite da decenni di contro-riforme. Naturalmente ci vogliono idee, motivazione e azione politica che durino tutto l’anno sui territori e sulla rete. Poche persone motivate possono ottenere risultati prodigiosi, perché il popolo dei senza voce e dei senza rappresentanti cerca serietà e verità. C’è da ricostruire la civiltà della politica e per questo c’è bisogno di studio, ho in mente durante la campagna elettorale i leader che proclamavano di studiare poco, ma ottenevano ottimi risultati, ma senza cultura non c’è consapevolezza e non c’è prassi. Riprendiamo a fare cultura e a scommettere sul futuro, ricominciamo a parlare per concetti e non per slogan o parolacce, il percorso è lungo e impervio, e niente assicura il risultato finale, ma avremo vissuto da esseri umani e nel rispetto della nostra natura sociale, politica e non violenta.
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