Neonata dentro la busta della spesa


Le cronache riportano sommessamente del caso della neonata marocchina trasportata in Italia, a Torino, da due coniugi del Marocco in una busta della spesa. La neonata è stata venduta dalla madre biologica ai due coniugi che a loro volta, si può ipotizzare, siano mediatori per un’ulteriore e danarosa vendita. Il fatto di cronaca non pare aver suscitato particolare scandalo. In un contesto in cui si consuma il genocidio  palestinese e nel contempo si ipotizza di trasformare Gaza in una nicchia di lusso per benestanti e poco o nulla accade, la vicenda della neonata marocchina è solo un dettaglio di cronaca. La sostanziale normalità con cui  è stata accolta la notizia è il sintomo della deriva europea. Indifferenti verso il genocidio palestinese e similmente verso una neonata trattata come una merce, ridotta a prodotto biologico e posta in una busta della spesa. In macro e in micro la violenza è la medesima. La violenza capitalistica riduce ogni vivente a merce, pertanto i processi empatici sono ormai in progressiva estinzione. Gli esseri umani sono “pezzi” da usare o da eliminare. L’Europa conosce solo la guerra di conquista e persegue campagne per il riarmo, pertanto la vita è “niente”. Si vive in una realtà in cui il mercato determina il pensiero e il sentimento. Lo scandalo etico è la radice della prassi politica, esso si genera prima di tutto, se si sente “il dolore” delle vittime. Se dinanzi alla riduzione  a “oggetti” di innocenti impossibilitati a difendersi   e da usare come “fondi di investimento” nulla accade, è evidente il declino etico e politico dell’Occidente. 

L’empatia suscita la protesta razionale e la traduce in concetti e in azione. Il nichilismo che ammorba l’Europa guerrafondaia è prima di tutto uno stato di “anomia dei sentimenti e del sentire”. Decenni di addestramento all’individualismo e al culto egolatrico hanno desertificato la carica emotiva ed emozionale senza la quale non vi è pensiero critico. Quest’ultimo non emerge improvviso, non è calcolo, ma è ascolto nel corpo vissuto della presenza dell’altro. Il prossimo abita nel corpo vivente di colui o colei che lo accoglie. Da tale dinamica si configura il pensiero. Nel nostro occidente i corpi sono solo strumenti da esposizione. Sono curati nelle forme ed esposti per la seduzione. Il corpo è ridotto ad anatomia da porre in vetrina, pertanto non è veicolo di vita, non crea legami, ma è un corpo turrito e chiuso in sé. Corpo vuoto, dunque, senza emozioni e senza attenzione verso l’altro, pertanto non c’è pensiero. Il nuovo totalitarismo ha plasmato i corpi svuotandoli della loro intenzionalità sociale, in tal modo il pensiero muore e, dunque, tutto è possibile. Ogni crimine legale o illegale può essere trasformato in “plusvalore”. Il totalitarismo liberista ha la sua tranquillità in questo lavoro di annichilimento del corpo vissuto ormai ridotto a manichino da svestire o vestire. Il pensiero è solo calcolo dei rischi per gli investimenti personali. In tale cornice la desertificazione sembra essere totale e nel deserto dei sentimenti e dei pensieri tutto può accadere. Ogni vita può essere maciullata dal sistema di mercificazione.

La madre della bambina probabilmente è  anch’ella una vittima. Non sappiamo nulla di lei, ma sappiamo che nessuna madre benestante ha mai venduto il proprio sangue e la propria carne. La madre potrebbe essere stata turlupinata, in questi contesti al “male non c’è limite”. Le violenze si moltiplicano: a una madre in condizione di indigenza è stata sottratta la figlia e alla figlia trasportata  nella busta della spesa è stata sottratta la madre. Si è spezzato un legame ontologico e naturale; la violenza del capitale è in questa scissione che produce solo dolore e morte.

La neonata era destinata a coppie europee, le quali  mostrano il loro “fare e agire” coloniale. L’Africa è ancora il continente dove l’occidentale può permettersi tutto e senza problemi.  I potenziali compratori non sarebbero stati mai genitori, perché può essere tale solo colui e colei che ha “il senso profondo della vita”. I mediatori come contemporanei Caronte hanno portatato la bimba sul vecchio continente, per i rischi affrontati sicuramente anche loro speravano nell’affare, tanto più che erano i “custodi” della “merce”. In questi passaggi la bimba bisognosa di cure e di essere riconosciuta e amata come “persona” ha vissuto la violenza della negazione. Non sappiamo gli effetti sul suo sviluppo emotivo e cognitivo. In questo moltiplicarsi di violenze che assumono forme diverse l’esito finale con l’arresto dei mediatori e la liberazione della neonata da tale sistema di annichilimento non consola, poiché per un caso fortunatamente smascherato, innumerevoli altri, probabilmente, hanno raggiunto l’obiettivo. Se  il caso non suscita scandalo ma pare relegato a una questione unicamente giuridica e di legalità, ciò è causato dal declino della maternità e della paternità, non più valori e archetipi della cura e della generatività, ma sono ormai semplici espressioni fonetiche in declino.

Anche nel deserto fioriscono fiori, vi è vita, sta a noi riconquistare le briciole di vita che giacciono sul fondo dei nostri corpi e delle nostre menti, da tali depositi di senso dobbiamo trarre le energie per ritrovare il “senso dello scandalo etico” dinanzi ad episodi apparentemente minori per sentire e pensare più fortemente il nostro tragico tempo storico che ha fatto dell’indifferenza il suo paradigma malvagio. La progettualità politica deve confrontarsi anche con i casi di cronaca, essi svelano in modo più netto la verità del capitalismo.

Immaginiamoci  il mondo pensato dalla bimba tra qualche anno o decennio, il dolore di essere stata venduta e trasportata come una merce da celare in una busta della spesa con annessi pericoli per la sua sopravvivenza, la accompagnerà sempre. Ci sono dolori che non possono passare, essi diventano “il pungolo nella carne lacerata”. Un sistema sociale che produce simili casi non è riformabile. Ogni essere umano negato nella sua dignità di persona porta con sé un “dolore” che può eroderlo fino alla morte.  Le violenze non si esauriscono nel gesto immediato, ma restano nello spirito. Fermarsi a pensare e a immaginare, al di là della descrizione del fatto di cronaca, delle implicazioni di tale episodio è fondamentale per emanciparci dall’indifferenza e per entrare nella vita. Senza immaginazione etica non riusciremo a risvegliare l’umanità prigioniera nella gabbia d’acciaio del capitalismo, che malgrado i condizionamenti, continua inestinguibile a persistere. È la nostra speranza e la nostra forza.

Fonte foto: Avvenire (da Google)

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