Lo scontro Nappi-Fusaro: due forme della via edonistica al potere
L’apparizione sulle pagine di una rivista nota per la sua vis polemica di alcuni articoli della pornostar napoletana Valentina Nappi e le risposte piccate del filosofo (è lecito definirlo tale?) Diego Fusaro, oltre a testimoniare il degrado a cui siamo giunti, rappresentano – a mio avviso – uno degli snodi attorno cui il potere oggi gioca e cioè quello del rapporto (da sempre forse centrale) tra corpo e “realizzazione”, tra immagine e repressione, visibile ed invisibile, tra ciò che è lecito ed illecito, tra autentica liberazione e falsi miti di emancipazione.
Ma andiamo con ordine: molti sono rimasti un po’ perplessi dal leggere sulle pagine di Micromega alcuni spunti di riflessione, per la verità alquanto discutibili ed opinabili, della giovane pornostar napoletana Valentina Nappi sulla natura del potere odierno e sulla necessità di non impedire lo sviluppo del capitalismo (per meglio dire, dell´ iper capitalismo finanziario contemporaneo) in quanto unica forma di “emancipazione” dai lacci e dai lacciuoli di un fascismo (che vive però solo nella sua testa) ancora in grado di frenarne le spinte progressive, auspicando viceversa il ritorno “salubre” ad un nuovo edonismo tutto da vivere e da conquistare; una filosofia alquanto individualistica e per l’appunto neo edonista che Fusaro a parole e dall’alto della sua posizione di privilegiato ricercatore del San Raffaele, smonta come una delle forme alienanti e reificanti con cui il sistema oggi gestisce, per dirla con il linguaggio di Foucault, corpi e coscienze, trasformando giuste istanze di liberazione in illusorie trame di astratta emancipazione. Giustissimo e aggiungo necessario; solo che lo stesso Fusaro ha abbracciato in toto da parecchio tempo forme e modalità di riproduzione della sua immagine e del suo successo care a quello stesso main stream e di quella circolarità “desiderante” e reificante dei corpi e dell’utilitaristico eros, essenza stessa dell’iper capitalismo in cui viviamo e in cui siamo immersi.
Al di là della qualità e della natura del dibattito che ha sfiorato punte di autentica poesia (con tanto di insulti e minacce di evacuare in faccia al proprio interlocutore), ciò che mi ha colpito è il luogo, cioè il contesto in cui tutto ciò si è svolto. Dato che il pensiero non è qualcosa di astratto ma vive e nasce come riflesso, prodotto del movimento reale e come “risposta” alle spinte della società, analizzare per quali vie e in che contesti esso operi e attraverso quali forme venga diffuso, non è questione di poco conto.
Questo non significa che chi fa la pornostar non abbia diritto di avere una tribuna adeguata alle sue idee né che non abbia diritto di esprimersi; ci mancherebbe. Il problema è capire come e in che modo si arrivi a scrivere su una delle riviste più importanti d’Italia e con una storia che non si può negare, togliendo magari spazio e possibilità a chi magari ha studiato i temi suddetti (capitalismo, storia politica e sociale, uso dei corpi e loro eventuale liberazione) molti anni e ha dottorati e post dottorati, decenni di ricerca e di insegnamento tali da poter suffragare non solo con le boutades da bar (alcuni pensano che i testi della Nappi abbiano alle spalle un ghost writer peraltro non brillante) ma con autentica consapevolezza e padronanza temi di non facile analisi e riproduzione\divulgazione scritta.
Il fatto incontrovertibile ed inquietante di vivere nella società dello spettacolo in cui ognuno potrà avere i suoi 15 minuti di celebrità e che livella a tal punto la qualità intellettuale e di azione degli uomini, permette a personaggi come la Nappi, la quale ha come unico “merito” quello di avere intrapreso una carriera pornografica e di vantarsi del suo neo edonismo anarcoide (in cui fare ciò che si vuole e rincorrere a piacere i propri impulsi sessuali è l’unica via per l’emancipazione) e di ritrovarsi perciò catapultata in una dimensione in cui il suo porsi, per cosi dire, al di là di ogni moralismo (e perciò di ogni moralità?) e di ogni “forma” conformemente riconosciuta dal perbenismo come tale, le permetta di dire e fare ciò che vuole, rappresentando addirittura una sorta di Sibilla cumana post moderna, a cui tutto è permesso e concesso; anche blaterare e sparare a zero su fenomeni molto complessi e citare autori e temi che non riesce assolutamente a padroneggiare. Ma il problema non è la Nappi in sé (per usare un linguaggio hegeliano); il problema grave, a mio avviso, è che la sua opinione da bar o da salotto erotico di chi ha sempre le spalle coperte e spara sul mondo (tipico di tutto l’idealismo soggettivo e oggettivo da Kant in poi per lo meno), venga considerata degna di essere pubblicata non per i suoi titoli e meriti ma per il semplice fatto di essersi – è proprio il caso di dirlo – spogliata di tutti gli orpelli sociali e moralistici, di essere una ragazza disinibita e vogliosa di sesso e di quel coito anonimo “riproducibile” all’infinito e replicabile “senza spirito né anima” (mi scuso se uso un linguaggio idealistico) in cui i corpi anziché essere liberati sono sempre più vittime di un sistema che li mercifica e li rende scambiabili, comprabili sul mercato virtuale della pornografia mondiale e di aprire un dibattito sulle sue stravaganti analisi sulla necessità di non frenare un sistema (che ha prodotto una delle crisi più gravi che l’umanità abbia mai visto) per fargli sprigionare (come?) tutte le sue potenzialità (??) di ribellione e di sovversione anti-moralistica.
Ciò che non ha capito, o che è difficile farle capire, è che il suo presunto neo-edonismo, la sua ansia di liberazione dei corpi dal moralismo imperante da secoli in Italia – una battaglia non solo sacrosanta ma sempre più urgente per una reale soddisfazione dei singoli e per un’ effettiva parità dei sessi – non è altro che l’accettazione attiva (in quanto attivamente operante in esso) oltre che passiva (indifferenza nei confronti di ciò che può produrre nella coscienza degli uomini) di un sistema come quello iper capitalista odierno in cui l’anarchia delle pulsioni erotiche sul mercato e la coito crazia imperante sono due elementi fondanti la sua pervicace resistenza e riproducibilità.
Il sistema cioè ha bisogno di puntare tutto sulla deresponsabilizzazione e sulla disumanizzazione dell’uomo storico, di renderlo puro soggetto-oggetto di piacere vano e vacuo, di smorzare in sé ogni traccia di resistenza e ribellione, di alternativa possibile, di utopia concreta, di coscienza attiva e profonda di essere un prodotto storico determinato capace di conquistare con il dubbio e lo studio il suo spazio orizzontale e la sua crescita intellettuale verticale, di acquisire criticamente le coordinate entro cui nascere, crescere e svilupparsi, attraverso cui comunicare con il mondo, entrare in contatto con gli altri (senza averne paura né rigetto) dialogando con la società in cui vive e in cui si trova ad operare, connettendo le sue esigenze con quelle della comunità; viceversa il neo edonismo anarcoide che svende e ricrea abilmente il desiderio reificato e già alla nascita inquadrato nella logica del massimo profitto e la “disinvolta” sessualità sui banchi evanescenti ed intercambiabili del mercato mondiale, non lotta contro il sistema (come ci si poteva illudere negli anni ’60 all’epoca della rivoluzione “sessuale”[1]) ma viceversa non fa che alimentarne le spinte disumanizzanti, di disgregazione etica e morale generale, di deresponsabilizzazione totale nei confronti del Sé e dell’altro (la Nappi auspica come modello la ragazza “ribelle” che a scuola sta con i piedi sul banco masticando una gomma; accidenti che ribelle di cui avere paura!!), di triste assenza di desiderio di crescita e di realizzazione in un mondo che è – nonostante le analisi “geniali” di Sartre e di gran parte dell’esistenzialismo del Novecento – e continua ad essere la “casa” precipua dell’uomo. Ed è per questo che combattiamo, per far si che – avrebbe detto Bloch – <<l’uomo ritorni a ruotare su se stesso[2]>>.
E’ giusto, come asserivo prima, rivendicare una spinta erotica e un ritorno ad una sana e creativa fantasia sessuale come crescita matura ed equilibrata dell’uomo storico, cosa c’è di più culturale dell’eros e della sessualità come antidoto a quelle pulsioni di morte, per dirla con Nietzsche e Freud, che dilagano nel moderno e che pongono le basi di quel nichilismo\relativismo decadente e pessimista\naturalista (le cose sono cosi da sempre e non ci possiamo fare nulla) in cui siamo immersi e che ci rende più deboli e impauriti, senza punti di riferimento né modelli di alternativa possibile alla trasformazione, ma tutto ciò non deve essere confuso con la triste riproposizione di un individualismo egoista, anzi egotista vecchio di secoli che si erge attraverso la ricerca di un piacere infinito\indefinito scambiabile-intercambiabile ed impersonale che mina alla radice la possibilità oltre che la capacità di ricostruire una dimensione sociale e politica di concreta liberazione dei corpi e della sessualità e con esse dell’umanità intera.
Per corroborare la nostra tesi, ci vengono in aiuto alcuni passi illuminanti di Ernst Bloch, grande marxista “umanista” del secolo scorso, che riflettendo sull’accento umanistico, soggettivo posto dal giovane Marx all’atomismo di Epicuro, addirittura indicando l’atomistica epicurea come <<compiuta scienza naturale dell’autocoscienza[3]>> nei confronti del meccanicismo atomista di Democrito in cui il soggetto-uomo cessa di avere qualsiasi funzione attiva nella sua composizione, ne sottolinea però anche l’aspetto astratto, idealistico e perciò individualista dell’uomo, dell’umanità edonista in quanto elemento estraneo al mondo, che si pone – con la sua ricerca edonista – al di fuori del consesso umano, delle sue necessità, esigenze e processi:
“<<In Epicuro dunque, scrive Marx nella sua dissertazione, l’atomistica, con tutte le sue contraddizioni, è svolta e compiuta come scienza naturale dell’autocoscienza, la quale è un principio assoluto nella forma dell’individualità astratta, fino all’estrema conseguenza, e cioè fino alla sua dissoluzione e alla sua cosciente opposizione, all’universale. Per Democrito, invece, l’atomo è solo l’espressione generale obbiettiva della stessa indagine empirica della natura>> “
Marx dunque elogia Epicuro per aver introdotto nell’atomistica il fattore “energetico”, di azione per cosi dire “soggettiva” nel movimento degli atomi (il famoso clinamen) a differenza di Democrito, il quale restava su posizioni meccanicistiche. Poco oltre Bloch aggiunge:
“Questa è la differenza rispetto a Democrito affermata da Marx. Il quale, in verità respinge energicamente il mero privatizzarsi di questo fattore soggettivo nell’etica epicurea come un atomismo per cosi dire a-sociale, in quanto un comportamento del genere isola gli uomini e li rende incapaci di un attivo intervento (clinamen, inclinazione) sull’ambiente.”
E poco oltre, entra nel cuore del problema connettendo l’epicureismo edonista e astrazione individualista, diremmo oggi coito crazia (ricerca e riproposizione constante di un coito impersonale e de responsabilizzante) e spersonalizzazione disumanizzante nel puro cielo dell’edos, ponendo un forte monito a tutta l’umanità:
“Il tenersi al di fuori del mondo non aiuta né gli uomini né il loro peculiare essere nell’esistenza: “l’individualità astratta è la libertà dall’esistere, non già la libertà nell’esistere, non consente di splendere nella luce dell’esistere […]. Nonostante il falso isolamento della libertà che egli sostiene se intesa solo come “individualità astratta”, alla mera luce della “lampada del privato”, la libertà non raggiunge la sua essenza”.
Così come Marx criticò l’etica epicurea, pur lodandone l’attenzione verso il fattore soggettivo rispetto al meccanicismo democriteo, in quanto espressione della decadenza della Polis greca e del “riflusso nel privato”, così come il filosofo di Treviri rivendicò la necessità di riconsiderare la libertà dell´ uomo nel suo impulso a dedicarsi al mondano, “non già nell’astratto, isolato distacco da esso”, introducendo – asserisce Bloch – il pensiero filosofico (e dunque critico) nel mondo, in un mondo che è da mutare ed è mutabile, così anche noi pensiamo che la “purificazione della realtà” sia attuabile solo per mezzo della critica filosofica, cogliendo nel miope ed infantile neo-edonismo della Nappi non solo l’espressione di una disumanizzazione reificante (il corpo umano cosa e riproducibile come coito non interruptus, neanche più come desiderio-sesso) ormai generale ma la necessità di riconnettere dialetticamente – al di là della sua astratta coito crazia mercantile – la liberazione sessuale dell’uomo al piano del movimento reale e storico, politico ed economico in cui vive, anzi in cui tenta di sopravvivere.
Con Marx, siamo convinti che il neo edonismo di ieri e di oggi, non sia altro che il tentativo di radicalizzare l’atomismo individualista già ampiamente presente nella società civile capitalistica, di incrementare (magari anche inconsapevolmente) la spersonalizzazione dell’uomo in un massa anonima di consumo desiderante (ricordiamo le “macchine desideranti” di Lacan), e di parcellizzazione de-responsabilizzante delle forme di vita e del lavoro; c’è dunque un legame visibile tra l’atomismo umano prodotto dal consumismo di beni e piaceri (in cui i due elementi spesso si rimandano uno all’altro) e l’attuale precarizzazione, frammentazione dei processi sociali e lavorativi; il soggetto unico e determinante è l’Ego astratto dai processi storici reali che agisce e idealmente pone se stesso come alfa e omega di ogni operazione funzionale al proprio arricchimento personale e personificante, agente che subisce (pur essendone il promotore) la trasfigurazione del rapporto causa-effetto (come base di ogni conoscenza oggettiva) con il feticcio “minoritario” – indicato già da Adorno ne “La dialettica dell’Illuminismo” del 1947 – dello stimolo-reazione; convertire la necessità di comprendere per trasformare il mondo cogliendone le possibilità in divenire all’interno delle sue contraddizioni, con l’ansia di essere protagonisti di un universo visivo e linguistico in cui dettare la propria “legge” e privata visione del mondo a cui tutti, nessuno escluso (ricordate il monito “integralista”, senz’appello contro “le fighe di legno” della Nappi), devono conformarsi; la liberazione dunque si trasfigura in astratto conformismo ai dettami del “libero” mercato; in questo la Nappi e Fusaro sono due facce di una stessa medaglia. Per questo fanno finta di litigare. In realtà non sono altro che due galli in uno stesso pollaio, due “luci” che lottano per accaparrarsi il maggior numero di pubblico possibile, di visibilità possibile in un palcoscenico in cui ormai tutti sono soggetti astratti senza alcuna realtà, atomi spuri che parlano da soli, un soggetto senza IO (un Io in quanto prodotto di una relazione uomo-storia, uomo-società), immaginandosi forieri di un pubblico e di una coscienza ormai irrimediabilmente smarrita. Uno spettacolo, a mio avviso, da disertare.
Per concludere possiamo dire che il neo edonismo della Nappi e la “finta” critica moralistica (non morale né etica) di Fusaro (che a parole si oppone a un sistema, ad un main stream che lui stesso alimenta e attraverso cui si alimenta, non riuscendo neanche a scalfirne le premesse e gli effetti esiziali sull’umanità reificata dallo scambio capitalistico e dalla sua valorizzazione generalizzante che riduce tutto a merce vendibile sul mercato, compresi i corpi, le menti, i desideri, il sesso, ecc.), vanno esattamente nella direzione indicata dal potere, un potere che “reprime permettendo”, che si radica annichilendo le coscienze, le passioni e la possibilità concreta degli uomini di agire come individui e come comunità, che opprime donando falsa ed illusoria libertà di fare ciò che si vuole (massima legge dell’individualismo borghese o dovremmo dire come Preve post borghese ma pienamente capitalistica), libertà – come detto prima con Marx – dall’esistere e non nell’esistere, estraneità dal mondo invece che concreta individuazione e lotta in esso per la sua trasformazione.
Il potere vuole e propugna questo edonismo consumista e “pulsionale”, infantile\adolescenziale per il proprio “riconoscimento” (un riconoscimento che non passa però dal travaglio doloroso e “qualitativo” del negativo hegeliano ma dalla pura ed astratta riflessione di una coscienza “minoritaria”, pulsionale, pinguemente rappresentativa in, con e per se stessa), che de responsabilizza i rapporti e che riconduce le sensibilità umane, i loro desideri e progetti di comprensione-trasformazione, al piano subdolo dello scambio edonistico e senza impegno dei piaceri pigri e universalizzanti della coito crazia dominante. Un potere che nasce e si riproduce – per dirla con Foucault – dall’anarchia incontrollabile dell’impulso sessuale e dalla pura e semplice soddisfazione di un coito senza volto né identità, senza storia, senza passato né futuro, in una costante e lubrica coito crazia in cui i soggetti storici (che operano attivamente e cioè coscientemente nella società e nella storia pienamente coscienti dei loro limiti e contraddizioni cosi come delle loro possibilità rivoluzionarie) svaniscono trasfigurati dai loro desideri reificati e vendibili-scambiabili sul mercato delle pulsioni anonime, in cui l’uomo da soggetto di piacere diviene oggetto del piacere, annichilendo de facto la propria precipua dimensione storico-sociale di ente che vive nel mondo per trasformarlo[4].
Laddove c’è anarchia del mercato vi è anarchia delle pulsioni sul mercato; laddove si ricostruisce una linguaggio e una dimensione sociale comune entro cui riattivare quell’umanesimo reale di cui parla Marx, quell’umanesimo dell’agire e dell’azione di cui credo ci sia un disperato bisogno per combattere la passività e la stagnazione di un Io che riproduce perennemente se stesso come “macchina desiderante”, come puro atomo di desiderio sottratto alla storia e alla dialettica concreta con l’altro (che poi siamo noi), là vi può essere l’intenzione di superare lo scambio reificante della valorizzazione del capitale e porre le premesse per una concreta liberazione dei corpi e della sessualità-conoscenza, dell’agire pratico del mondo di un uomo non più scisso tra un desiderio alienato irrealizzabile ed una vita sempre più oggettivamente invivibile.
[1] La pornografia in quegli anni ha svolto, senza dubbio, un ruolo di svelamento e di apparizione di mondi e desideri repressi e insondabili nel quadro del perbenismo ipocrita borghese; laddove c’era ancora una morale borghese da difendere da parte del potere; un potere che oggi non ha più bisogno di “difendere” nulla ma anzi che reprime e gestisce il bios delle popolazioni – per dirla con Foucault – permettendo ciò che non lo tocca né lo scalfisce ma che lo alimenta aumentando la massificazione consumistica e conformistica dei suoi “sudditi”, alienati e reificati nel proiettare in mondi alienati e reificati (il porno in primis) i propri desideri, bisogni e fantasie accettando passivamente il fatto di non poterli vivere e realizzare (nel rispetto ovviamente delle prerogative della convivenza umana) sul piano, per dirla con Freud, del principio di realtà. Ciò non fa che aumentare a dismisura la frustrazione di dover vivere nel purgatorio del principio astratto di piacere; un piacere virtuale e per ciò inoffensivo sebbene molto remunerativo per il sistema, che “reprime” permettendo al mercato di crescere a dismisura senza liberare forze ed energie magari pericolosi per il suo processo di sviluppo. Il sesso, non scordiamolo mai, è la massima espressione di umanità, in quanto ricambio organico uomo-natura, dell’uomo stesso; padroneggiare e controllare questo bios è per il potere fondamentale; ricordiamo ciò che disse lo stesso Foucault; “è più facile controllare e gestire chi è malato che chi è sano”.
[2] Cit. da E. Bloch, Karl Marx, il Mulino 1972
[3] Bloch, ivi
[4] E’ impossibile qui fare la storia della pornografia e del suo “significato” sociale. Il punto è capire come il porno, tanto decantato dalla Nappi come via di “liberazione” e di anarcoide gestione di sé, non è altro che una delle forme (forse quella più subdola e perniciosa) di gestione del bios e dei suoi impulsi; il potere cioè, che reprime permettendo, utilizza la falsa ed illusoria fruizione-utilizzazione pornografica per instillare nelle masse represse (anche sessualmente) un’anch’essa falsa ed illusoria liberazione; come se bastasse la fruizione “libera” (perché in realtà permessa da un potere, ripetiamo, che reprime permettendo) del porno per godere di una libertà sessuale e corporea in realtà tutta da costruire e da conquistare nel reale, nei rapporti tra i sessi, nella società, nella politica e nell’economia, ecc. Inoltre, il porno produce una soggettività pura e astratta, una pura e semplice “macchina desiderante”, un soggetto (identificato dal piacere e dalla sua voglia di soddisfarlo) senza IO, cioè senza produzione di identità mediante il rapporto concreto tra il sé e l’altro, tra sé e la società e la storia; una pura soggettività senza movimento reale, senza autoproduzione di sé in relazione dialettica con l’altro. Ed è precisamente in questo contesto di pure identità soggettive senza storia né dialettica storica che si muove e si riproduce quel falso mito di liberazione che si chiama porno. Ed è in questo contesto che la Nappi pontifica senza rendersi conto dell’alienazione e della sottomissione totale (altro che emancipazione) del desiderio e dei bisogni sessuali (sempre connessi al piano della razionalità e della coscienza) che l’iper capitalismo produce, creando un conformismo “alternativo” che nasconde ed altera le reali e sacrosante necessità d’emancipazione psico-fisica che ribollono nella società. Inoltre, il porno in una società che vive e vegeta nello scandalo e nell’o-scenità come asseriva Carmelo Bene, davvero non scandalizza più nessuno; non fa più vedere ciò che è proibito o invisibile, nascosto alla vista del perbenista “borghese” classico ma certifica l’essenza di ciò che è già presente e che si riproduce costantemente sotto i nostri occhi, è cioè lo specchio del nostro quotidiano alienato e reificato. Uno specchio che non libera più ma incatena ancor di più. A mio avviso, uno scandalo che non scandalizza più nessuno si chiama conformismo.