Anno di grazia 1414, Giovanni XXIII apre il Concilio di Costanza durante il quale si cerca di ricomporre lo scisma che scuoteva la Chiesa sin dal 1378 (la famosa scissione tra il papato di Roma e quello avignonese). Quattro anni dopo, venne eletto Martino V quale successore “legittimo” alla cattedra di Pietro. Nel 1418, il riformatore Giovanni Hus venne condannato a morte perché riconosciuto eretico.
Cinquecentoquarantasei anni dopo, venne eletto col nome di Giovanni XXIII papa Roncalli, patriarca di Venezia. Nella sua millenaria esistenza, ciò che accade nella Chiesa non avviene mai per caso, men che meno quando si tratta dell’elezione di un papa.
Perché Angelo Roncalli decise di darsi il nome di un papa, anzi di un anti-papa, che convocò un concilio nel quale si doveva risolvere il problema del rapporto tra chiese nazionali (in particolar modo con quella francese, fortemente influenzata dalla corona) e Chiesa universale di Roma?
Profeticamente, papa Roncalli aveva capito che la soluzione temporanea data dal Concilio di Costanza, doveva essere, come dire, “perfezionata” (anche perché, nel frattempo, ci fu la Riforma protestanzte che fu molto più devastante delle proposte di riforma di Giovanni Hus), anche alla luce degli immani problemi che già allora poneva la tecnoscienza (una per tutte: l’incubo dell’olocausto nucleare).
Il Concilio Vaticano II, nel quale Joseph Ratzinger si schierò, almeno così scrivono i suoi biografi, tra i riformatori moderati, si aprì suscitando molte aspettative nel mondo cattolico.
Se papa Roncalli, e poi Giovanbattista Montini (Paolo VI), cercarono di guidare la Chiesa nei decenni più straordinari del XX secolo, dal punto di vista della crescita civile e politica delle masse popolari, tuttavia non riuscirono a frenare il progressivo disincantamento (in senso weberiano) causato dall’incedere dei processi di modernizzazione della società.
Il pontificato di papa Woytila è la summa di questa contraddizione: papa “mediatico” come nessun altro, coriaceo anticomunista (in quanto polacco, antirusso tout-court), fece del Vaticano un crocevia di oscuri traffici finanziari, dove alti prelati e personaggi del mondo finanziario si prodigavano di dirottare fiumi di denaro per finanziare le rivolte antisovietiche (vedi vicenda Solidarnosc) in Polonia e poi in tutto il patto di Varsavia. Gorbacev fece il resto, ahinoi. Passata l’euforia della sconfitta del comunismo, negli anni ’90, comincia una nuova storia anche per la Chiesa di Roma: dopo aver concentrato tutte le sue energie per raggiungere quel risultato (con l’aiuto tutt’altro che disinteressato di quelle agenzie che oggi lavorano contro la Chiesa stessa), ora si trova sola: il potere mondano non solo non ha più bisogno del suo magistero spirituale, ma la trova un ingombrante residuo del passato che deve essere rimosso o piegato alle sue esigenze. L’ultimo Woytila ebbe questo sentore, giacché negli ultimi scritti definiva il comunismo un nemico che la Provvidenza aveva posto dinanzi alla Chiesa perché potesse mostrare tutta la sua potenza spirituale.
La drammaticità del pontificato di Benedetto XVI è tutta qui: qual è il ruolo della Chiesa in un mondo che le ha sostanzialmente voltato le spalle? Benedetto, nomen omen, propose una Chiesa più riflessiva, benedettina appunto, concentrata sul lavoro e sulla preghiera, più umile e meno mondana. Umiltà che non rinunziava a certi segni passatisti (come l’uso della mozzetta, ad esempio) che rievocavano antiche glorie di infallibilità. Ma il punto è che quel disegno – ne fosse consapevole o meno – era destinato alla sconfitta perché è mancata una riflessione corale all’interno della Chiesa stessa. Voglio dire che la raffinata riflessione teologica di Ratzinger aveva bisogno di gambe per camminare, e dubito che settori ultratradizionalisti come i lefebvriani sarebbero stati capaci di cogliere tutte le implicazioni della sua riflessione. Per non parlare dei “modernisti” che, per usare una espressione cara a Bergoglio, vogliono una chiesa “ospedale da campo” che metta i cerotti sulle ferite spirituali del popolo di Dio offeso dalla modernità.
Le sue dimissioni, ingravescente aetate, vanno collocate in questo contesto. Il problema, prima ancora che di diritto canonico, è filosofico-politico. Qualcuno dice, infatti, che Ratzinger dimettendosi abbia lasciato solo il ministerium (cioè la gestione concreta degli affari correnti) ma conservato per sé il munus petrino. Il munus, infatti, è un dono divino che abilita al servizio concreto nella Chiesa. Si aprono questioni teologiche non di poco conto e confesso tutta la mia inadeguatezza nel districarmi in una materia così complessa. Però un fatto è certo: il dibattito nella Chiesa è aperto, e segna divisioni molto profonde. Per alcuni settori, papa Francesco è un vescono facente funzione di papa, poiché sprovvisto della Grazia conferita dal munus. Grande è il disordine entro le mura del Vaticano e sarà interessante vedere come le due fazioni ricomporranno il conflitto, per il momento latente.
Una volta i comunisti italiani guardavano con attenzione (grazie alle riflessioni di Gramsci e di Togliatti) a quanto accadeva nel mondo cattolico, non foss’altro perché molti comunisti erano anche cattolici. Oggi le masse organizzate dal Pci non ci sono più, dissolte in mille rivoli rivendicativi e regredite sia sul piano etico che politico. Sconvolto il mondo del lavoro, sconvolta la trama relazionale dei soggetti sociali, degradata la trama associativa dei corpi intermedi si è imposto un individualismo di massa anarchico e capriccioso, a tratti narcisistico. Non si può dire che gli agenti del capitale non abbiano svolto in maniera eccellente il loro lavoro di rovesciamento della crisi sulle masse (e questo processo, a chi avesse voluto vederlo, era già evidente dalla fine degli anni ’70)
Ora questa crisi investe la stessa Chiesa cattolica, la quale si trova in una terra di nessuno, indecisa sul da farsi. Almeno questa è l’impressione che ne ricevo. L’ipotesi modernizzatrice di Papa Francesco non convince tutto il mondo cattolico, o quanto meno non convince i settori più tradizionalisti che vedevano in Ratzinger il loro campione.
Una cosa mi ha colpito in negativo del pontificato di Bergoglio: l’immagine trasmessa in televisione di un papa che celebra i riti pasquali (che, ricordiamolo, celebrano il trionfo della vita sulla morte con la resurrezione del Cristo) in solitudine in una piazza resa spettrale da una pioggia insistente, rendeva bene l’idea di una Chiesa che nulla aveva da dire se non ciò che imponevano in tema di “sicurezza” biologica le autorità politico-sanitarie. Furono rimosse persino le acquasantiere dalla chiese per timore del “contagio” e al loro posto comparvero i gel disinfettanti!
A un miscredente fatto e rifinito come il sottoscritto potrebbe importare poco o nulla una cosa del genere. Invece no, perché essere non credenti non significa essere insensibili ai temi della spiritualità e della trascendenza. Per questo motivo, il vedere un papa che subordinava la salute dei corpi alla salute dell’anima ha suscitato in me una specie di spiazzamento. Insomma la vicenda Covid-19 ha rappresentato uno spartiacque anche per la Chiesa. Questa non può ignorare il fatto che la (pseudo?) pandemia è servita anche per mettere in riga una Chiesa che rappresenta l’ultimo ingombrante ostacolo che si oppone al compiersi dei progetti di riprogrammazione antropologica dell’uomo occidentale in chiave antiumanistica, scientista, sulla base degli algoritmi della Intelligenza artificiale, della medicalizzazione della vita e di un ambientalismo malthusiano.
Ratzinger ha dunque posto il problema, ma dubito che dalle parti del Vaticano ci siano teste pensanti del suo livello (e non è un bene!).
Questa sinistra esangue, risibilmente laicista, liberista e dirittoumanista, etichetta come rosso-bruni (in pratica, dicono loro, non si sa bene se siete più fascisti o comunisti) tutti quegli uomini e quelle donne che dinanzi a questa deriva si chiedono come si possa lavorare perché si inverta questo pericoloso processo di espropriazione persino delle basi biologiche dell’individuo. Per questo, io credo, ci sarà una oggettiva convergenza tra settori ideologicamente, culturalmente e politicamente distanti, poiché comune è la battaglia per sconfiggere il mostro transumanista dell’attuale capitalismo finanziario
Fonte foto: Avvenire (da Google)