Sembrerebbe, finalmente e fortunatamente, che la parabola di una delle più importanti “influencer” italiane – sto ovviamente parlando di Chiara Ferragni – stia giungendo al tramonto, naufragata sugli scogli dell’ormai famoso scandalo del “pandoro Balocco”.
Il punto ora, a mio parere, non è tanto quello di sfrucugliare in una vicenda di cui sono già emersi i contorni squallidi e dalla quale in maniera maldestra quanto ipocrita la protagonista cerca di smarcarsi, quanto chiedersi come sia possibile che una totale e assoluta nullità come Chiara Ferragni possa essere diventata una sorta di icona mediatica in grado di condizionare l’opinione di milioni di persone che hanno contribuito a renderla ricca oltre che famosa.
La risposta, per la verità, è molto semplice. Chiara Ferragni – come altre e altri personaggi come lei – è il prodotto di un contesto sociale e culturale mostruosamente impoverito e degenerato. Un imbarbarimento culturale avvenuto contestualmente ad un processo di mercificazione di ogni spazio e di distruzione di ogni forma di coscienza politica e sociale.
Ma chi è il cosiddetto “influencer” e qual è la sua funzione?
E’ un personaggio – spesso creato in laboratorio – che capisce e cavalca le tendenze culturali e ideologiche dominanti e le veicola al grande pubblico, attraverso un linguaggio verbale e non verbale e alcune particolari modalità di comunicazione facendole apparire – e questa è l’astuzia – addirittura come “trasgressive” rispetto all’ordine sociale dominante, quando in realtà sono del tutto allineate e coperte a quest’ultimo. Per capirci, un Fedez e un Rosa Chemical che mimano in diretta al festival di Sanremo un rapporto sessuale omosessuale (o non) o una band come i Maneskin che, conciati nei modi più stravaganti e ululanti le loro fesserie pseudo musicali, gridano “fuck Putin” durante un concerto in California, oppure ancora le “Femen” che si spogliano in una chiesa (meglio ancora se una chiesa russa) sono la più clamorosa manifestazione di questa falsa trasgressività finalizzata a costruire consenso attorno al sistema dominante.
Il trucco per lo più riesce – non a caso è uno dei capolavori di manipolazione mediatica, ideologica e culturale dei nostri tempi – tranne quando i protagonisti si lasciano travolgere dall’entusiasmo, diventando preda di un delirio di onnipotenza dovuto al successo che, come sappiamo, può dare alla testa e spingere a commettere errori; esattamente ciò che è successo a Ferragni.
E’ la fine del suo percorso e del suo successo personale? Non lo so, tendenzialmente non credo, ma questo è in ogni caso del tutto irrilevante. Perché “morta”, metaforicamente parlando, una Ferragni, se ne fa un’altra, tale e quale, magari anche più perfezionata (del resto dagli errori si impara e ci si perfeziona…).
Ma ancora una volta la vera questione che si pone è un‘altra e di difficilissima soluzione, e cioè: come prosciugare il brodo di coltura che crea questi personaggi? O meglio, come (quanto meno) arginare quel processo di imbarbarimento culturale e di distruzione di ogni coscienza sociale e umana in corso senza sosta da decenni? Come provare ad invertire la rotta?
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