Il mondo cattolico è un arcipelago estremamente variegato, con forti diversità al proprio interno che rendono problematica una schematizzazione che ne restituisca un quadro completo ed esaustivo: dalla teologia della liberazione al tradizionalismo più rigido, passando dal progressismo dei “cattolici adulti” al cattolicesimo liberale. Tuttavia anche questa prima e generalissima partizione appare insufficiente a render conto di tutto ciò che si muove in quel mondo, attraversato da correnti di pensiero multiformi e non sempre riconducibili ad un unicum.
In questo articolo non mi propongo, e non ne avrei titolo e capacità, di scrivere di questioni teologiche, ma solo di individuare alcune principali linee politiche tendenziali del mondo cattolico progressista e di quello conservatore o tradizionalista. Sulle questioni teologiche, mi limito a constatare, al solo scopo di chiarire il contesto in cui anche le tendenze politiche si inseriscono, che dai testi del vecchio e nuovo testamento, che sono comuni e costituiscono un riferimento costante per tutti, si dipartono linee teologiche divergenti, ognuna delle quali trova , o pretende di trovare nei testi stessi, la propria ragione d’essere. In certo senso anche a ragione, in virtù del fatto che non solo i passaggi biblici ed evangelici sono talvolta chiari e inequivocabili, talaltra invece ambivalenti, e dunque diversamente interpretabili, ma anche perché la Chiesa cattolica nella sua storia millenaria, sia pure entro un quadro concettuale che l’ha portata a discostarsi dal comunitarismo delle origini fino ad accettare i presupposti culturali del capitalismo, non ha mai abbandonato le istanze etiche e morali che la contraddistinguono, con ciò condannandosi ad una irrisolvibile ambivalenza. Emblematica è la discussione sul denaro, la ricchezza, e sul prestito a interesse (o usura) che ha segnato per secoli la storia della Chiesa.
Credo si possa affermare che non esiste un momento preciso di svolta nelle concezioni teologiche rispetto a tali questioni. L’usura è sempre stata fermamente condannata dalla Chiesa che, tuttavia, in parallelo allo sviluppo del capitalismo, ha cercato di adattare la sua dottrina alle nuove realtà emergenti con progressivi distinguo e concessioni che hanno derubricato da illegittime a legittime alcune pratiche. Si è trattato, mi pare, di uno slittamento progressivo in parallelo coll’affermarsi della Chiesa Istituzione e con pratiche, al suo interno, largamente compromesse proprio con ciò che, almeno in teoria, era condannato, come dimostrano i costanti e allarmati pronunciamenti conciliari. Il punto è, però, che quelle sempre ribadite condanne convivevano con l’emergere di una concezione della ricchezza, del suo senso e della sua funzione, mi riferisco in particolare a Sant’Agostino che tanta parte ha avuto nella storia del cristianesimo, intrinsecamente contraddittoria rispetto allo spirito comunitario delle origini. In questo contesto, la Chiesa ha finito inevitabilmente per divenire parte attiva nel processo di progressiva trasformazione in senso capitalistico della società medievale: l’affermarsi dell’economia urbana aperta che soppiantò quella curtense e rurale bastante a se stessa, il progressivo sviluppo dell’economia monetaria, dei commerci e delle pratiche connesse; insomma tutto ciò che pure era destinato a minarne l’influenza spirituale e concreta sul modo di vivere delle persone. Se svolte tenendo sempre presente il dettato divino, quelle pratiche erano considerate in sé benefiche e suscettibili di aumentare la ricchezza sociale complessiva. Molto faceva dunque dipendere dalle rette intenzioni degli operatori economici, anche quando la forza dei processi in corso portava ad allontanarsi dalla radicalità dei testi evangelici, dal dono, dalla gratuità, dalla comunione dei beni necessari, ossia da una concezione comunitaria del vivere insieme. Quella radicalità ha piuttosto tentato di conservarla, diciamo, a latere; col costante richiamo al dovere della carità e del dono per alleviare le condizioni dei poveri da un lato, e dall’altro con l’invito a innestare nell’economia capitalistica in formazione comportamenti etici e morali quali correzioni delle storture che si andavano evidenziando. Un tentativo, insomma, di fungere da freno allo spirito del capitalismo ed alla nuova antropologia umana che quello spirito implicava, o meglio di volgerlo in positivo dotandolo dall’esterno di un’etica e una morale che di per sé gli sono estranei. Da qui quell’ambivalenza a cui accennavo sopra.
Si può dire che nei secoli successivi e fino ai nostri giorni (Dottrina sociale della Chiesa) il canovaccio non è cambiato nella sostanza. L’esigenza di una autentica comunità viene sempre ribadita, ma rimane sempre sullo sfondo nel momento in cui si accettano come naturali i presupposti del capitale e dell’economia politica che da esso nasce. Non si può non osservare, d’altronde, che come sosteneva anche Werner Sombart, il capitalismo non è nato in ambiente protestante (anche se, certamente, quell’ambiente ha costituito un eccellente humus di sviluppo), ma in ambito cattolico (si veda l’articolo citato in nota 1), in particolare a Firenze e con l’apporto decisivo del pensiero economico francescano. Ciò sembrerebbe dare ragione a chi, lo vedremo, sostiene la piena compatibilità fra cristianesimo e capitalismo, ma il punto è che già all’epoca della Firenze dei banchieri la radicalità di alcuni passi evangelici era sfumata in favore di idee che non vedevano più nella ricchezza materiale e nel denaro, e nella conseguente concezione dell’uomo come homo faber dedito (anche) ad arricchirsi, la negazione del messaggio di Gesù.
“[…] dov’è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore>>Mt (6.21). Ed ancora, riferendosi ai gigli nei campi << non lavorano e non filano» Mt (6.25) Lc (12.25) ; «Non affannatevi dunque dicendo: Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo?» Mt (6.31)”
Significativo, a proposito di quel che dicevamo sopra, quanto afferma il principale documento varato dal Concilio Vaticano II, la Gaudium et spes:
“Dio ha destinato la terra e tutto quello che essa contiene all’uso di tutti gli uomini e di tutti i popoli, e pertanto i beni creati debbono essere partecipati equamente a tutti, secondo la regola della giustizia, inseparabile dalla carità. Pertanto, quali che siano le forme della proprietà [grassetto mio] adattate alle legittime istituzioni dei popoli secondo circostanze diverse e mutevoli, si deve sempre tener conto di questa destinazione universale dei beni. L’uomo, usando di questi beni, deve considerare le cose esteriori che legittimamente possiede non solo come proprie, ma anche come comuni, nel senso che possano giovare non unicamente a lui ma anche agli altri. Del resto, a tutti gli uomini spetta il diritto di avere una parte di beni sufficienti a sé e alla propria famiglia. Questo ritenevano giusto i Padri e dottori della Chiesa, i quali insegnavano che tutti gli uomini hanno l’obbligo di aiutare i poveri, e non soltanto con il loro superfluo”.
Sembra quindi di capire che, ribadito il diritto di ognuno ad avere quanto gli serva per sé e la propria famiglia, non importino tanto le forme della proprietà (privata, collettiva, comunitaria), quanto le rette intenzioni degli uomini, e che la “destinazione universale dei beni” possa attuarsi in ogni assetto socioeconomico. Non si può non osservare, però, a) che in questo modo perdono d'importanza i processi storici e le cause che li hanno determinati b) che si trascura l'impatto che le diverse forme della proprietà hanno sugli uomini stessi, non solo e non tanto in termini puramente economici, ma soprattutto in termini di concezioni antropologiche ed anche relativamente alla percezione di sé in quanto persone e dei propri obbiettivi nel mondo. Pensarsi insomma come <> in cerca di autovalorizzazione (com’è nel capitalismo giunto alla sua fase assoluta che ha rimosso ogni precedente limite e ostacolo soggettivo e oggettivo al processo di valorizzazione del valore), non è la stessa cosa che pensarsi membro di una comunità solidale, fine della quale è anche il riprodursi in quanto comunità. Già Aristotele, poi ripreso anche da Marx, avevano chiaro il fatto che la “ricchezza” e la sua ricerca indiscriminata (ciò che Aristotele definisce Crematistica) sono i fattori che hanno disgregato e distrutto tutte le antiche comunità.
La discussione e le divisioni nel mondo cattolico si inseriscono in questo contesto dando inevitabilmente luogo, quando si scenda dalla teologia alla politica, ovvero alle scelte sulle questioni sociali e di politica internazionale, a uno scenario variegato e talvolta sorprendente.
I CATTOLICI PROGRESSISTI
Il lettore troverà sul web molti siti di movimenti classificabili come genericamente progressisti , e su wikipedia una storia, per una volta abbastanza attendibile, delle loro origini e delle istanze che li accomunano che, in estrema sintesi, sono: un atteggiamento diverso rispetto alla morale sessuale tradizionale della Chiesa (inclusa l’accettazione dell’omosessualità e del transessualismo), la richiesta di democratizzazione all’interno della Chiesa (comprese l’ordinazione sacerdotale femminile e di uomini sposati), l’impegno per la giustizia sociale e per l’ambiente.
Non essendo possibile in questo breve spazio una disamina puntuale di essi, mi limiterò ad indicarne, anche tramite esempi che ritengo emblematici, i tratti politicamente più problematici e contraddittori, scusandomi fin d’ora per le parzialità in cui sicuramente incorrerò.
Tenendo a mente lo scopo di questo articolo riassunto nel titolo, il punto fondamentale da sottolineare è, in genere, l’ambivalenza rispetto al capitalismo, del quale si stentano ad afferrare i nessi interni che legano i diversi ambiti della vita sociale e politica, il senso della sua evoluzione dalla precedente fase dialettico/borghese a quella attuale “assoluta” in cui si è finalmente liberato dai precedenti vincoli e impedimenti per pienamente accedere al suo begriff, ossia al suo unico scopo e fine, la valorizzazione del valore o, per dirla con le parole di Marx, la mercificazione universale.
Questo mancato riconoscimento ha importanti conseguenze e ricadute. La critica, anche durissima, rimane più sugli effetti che sulle cause, più sul piano culturale (mi verrebbe da dire sovrastrutturale, ma quello del rapporto fra struttura e sovrastruttura è tema complesso anche in ordine a quanto sosteneva Marx) piuttosto che sul nucleo forte del capitalismo. Ne discende che , rimanendo esso in ombra, si generano numerosi equivoci e contraddizioni .
Sul piano antropologico, non è in discussione il giudizio verso gli orientamenti sessuali e la giusta esigenza di non discriminazione delle persone, qualsiasi siano quegli orientamenti (con l’ovvia eccezione della pedofilia). Tuttavia ciò che non si afferra è che la dissoluzione di ogni forma solida e di ogni distinzione che pure si dà in natura, e che costituiscono di per sé un ostacolo al libero e fluido scorrere delle merci , sono anch’esse un portato necessario del capitalismo planetario e assoluto. Il sociologo Zigmut Baumann definiva molto opportunamente la modernità capitalistica una società liquida, priva di qualsiasi punto di riferimento e come tale infinitamente adattabile alle sempre mutevoli esigenze dei mercati. I concetti di padre e madre, maschio e femmina, e dunque la differenza sessuale, non sono costrutti culturale o scelte soggettive a la carte, ma hanno il loro fondamento solido nel corpo sessuato, anche quando l’orientamento sessuale va verso il proprio sesso piuttosto che verso l’altro. Al contrario, in quanto si nega l’evidenza di una natura umana che interagisce con la cultura, sono invece costrutti culturali le pretese che le distinzioni che hanno sempre accompagnato l’umanità fin dai suoi albori, non abbiano più alcun significato e senso.
Sul piano politico , che maggiormente ci interessa in questa sede, è indicativo quanto possiamo leggere, ad opera del suo fondatore Don Franco Ratti, sul sito del Mocova (Movimento Concilio Vaticano secondo)
“ Mi rombano nel sangue le parole di Gesù: Ogni ricchezza puzza di ingiustizia. I poveri siano i vostri amici, non le vostre vittime (Luca16,9). Insomma, in altri termini: condivisione capitalistica. [corsivo mio]. I capitalisti devono ricordare anche le parole di Paolo: Dio vi da tutto con abbondanza, perché siate generosi (2 Corinzi 9,11). Mi sento americano sin nelle ossa, perché l’America dei Kennedy è stata la madre di quei valori, che hanno nutrito da sempre il mio spirito e la mia mente: libertà e liberazione, democrazia, polifonia delle culture, dialogo” . Ed ancora “A questo capitalismo da anticristo dobbiamo opporre una democrazia rivoluzionaria, inedita non nei principi ma nelle applicazioni e nelle soluzioni, infinitamente più vasta e radicale dell’attuale. Globale come il capitalismo, capace di governarlo e d’orientarlo, aprendolo ai poveri, promossi finalmente co-soggetti capitalistici.”
E’ significativo il richiamo entusiasta ai valori propugnati da Kennedy e dai liberal statunitensi, che tanto illusero le generazioni dell’epoca ma che in nulla intaccarono il sistema. Basti qui ricordare l’invasione di Cuba e la guerra in Vietnam, che proprio i Democratici statunitensi vollero. A parte questo, la confusione non potrebbe essere maggiore, perché le parole di Luca e le pratiche delle prime comunità cristiane, come risulta chiaramente dagli Atti degli Apostoli, non erano affatto una condivisione capitalistica, locuzione di per sé contraddittoria dal punto di vista filosofico e logico, quindi impossibile, ma il suo contrario. Erano forme di associazione comunitaria, dove i beni venivano messi in comune affinchè ognuno potesse usufruirne.
Significativo è anche l’accenno alla invocata rivoluzione democratica, globale come il capitalismo, per orientarlo e governarlo aprendolo ai poveri. Ora, trascurando il paragone col concetto di internazionalismo proletario che aveva altre e più solide basi che tuttavia non ne hanno impedito la sconfitta, il pensiero va immediatamente alle moltitudini di Toni Negri, con la differenza che per quest’ultimo esse costituirebbero il nuovo soggetto rivoluzionario, mentre invece per il Mocova, più modestamente, i poveri dovrebbero aspirare ad essere considerati co-soggetti capitalistici. Cosa che, paradossalmente, è proprio il capitale a realizzare nel momento in cui promuove l’autovalorizzazione come unico orizzonte di vita, o per dirla con le parole di Jacques Camatte, trasforma ogni soggetto in una particella di capitale.
Non si tratta di ironizzare o di negare le buone intenzioni, né di negare la validità di alcune forti critiche alle politica imperialistiche e coloniali dell’Occidente sviluppato, ma di capire che mantenersi su un facile umanitarismo generico con pretese astrattamente universalistiche, a) alimenta l’illusione, tipica dei movimenti no-global, che l’auspicata globalizzazione dei così detti diritti umani (sempre visti nel loro lato individuale piuttosto che su quello sociale), sia scindibile da quella economica e giuridica, ovvero dall’immane processo di omologazione universale sotto il segno del capitale a cui stiamo assistendo, per fortuna non senza resistenze. b) non contribuendo ad afferrare la natura dei problemi, disarma psicologicamente e spinge questo tipo di progressismo cattolico ad avallare ogni politica del liberalcapitalismo, anche le guerre, ipocritamente attuate proprio dietro lo schermo dei diritti umani.
Sullo stesso sito possiamo infatti leggere che “ Per amore del popolo kosovaro e serbo, per amore della pax europea e mondiale, Milosevic andava fermato. Filoamericanismo il mio? No, ho sentito e giudicato semplicemente nello Spirito, anticipando il giudizio della Storia.”
C’è poi un altro dato comune di altrettanta rilevanza nei gruppi cattolico-progressisti, legato all’identificazione fra capitalismo , patriarcato e oppressione femminile. Da qui un netto slittamento, sotto l’etichetta dell’uguaglianza di genere e dell’emancipazione femminile, verso l’auspicio di una sorta di rediviva società matriarcale , di per sé considerata più equa, solidale, libera e giusta, in relazione alle specifiche caratteristiche di genere attribuite a femmine e maschi.
E’ così che sul sito http://www.cdbitalia.it/2018/04/20/lecofemminismo-in-italia-di-b-pavan/, possiamo leggere che le risposte alla domanda “ cosa c’era prima dell’ebraismo, prima del monoteismo, prima del patriarcato?” per Beppe Pavan della Comunità di base Viottoli di Pinerolo
“Le abbiamo trovate, quelle risposte, in libri di donne, soprattutto, in incontri con donne studiose, in convegni sulle culture matriarcali/matrifocali/matrilineari… […] Una rapida scorsa ai titoli di queste lotte ci rende immediatamente evidente che anche noi uomini e il mondo intero avremmo tutta la convenienza a cooperare per farle “vincere”: riconversione dell’industria delle armi, scuola, cultura del rispetto, antropocentrismo della sinistra, ordine simbolico della madre, nuclearismo, misoginia, globalizzazione, dittatura dell’economia… […]Le domande, allora, intorno a cui continuiamo a scambiarci pensieri e parole sono: sta davvero crescendo nel mondo il consenso intorno alle modalità femminili/femministe di praticare la politica con modalità ecologiche, cioè la cura della casa comune? L’economia capitalista e la finanza speculativa ora dominano e dirigono la politica, e tutto questo è pratica maschile […] Come fare perché ai posti di governo arrivino donne e uomini “trasformati”, capaci di avviare, assieme alle donne, pratiche politiche di cura della vita? […] abbiamo schematizzato il possibile percorso in questo modo: la prima condizione fondamentale è “scalfire la cultura dell’aggressività e del dominio”. Questo rende possibile, a donne e uomini, “riequilibrare le relazioni tra i generi” e diventa possibile praticare insieme una “politica della vita”. Restiamo convinti/e che le donne, da sole, non ce la faranno: troppo forte e violenta resta la cultura maschile dell’aggressività e del dominio “.
Si impongono alcune rapide considerazioni: a)Esiste un interessato equivoco circa il concetto di patriarcato, identificato tout court col dominio sociologico maschile. Erich Neumann, ha chiarito che l’aspetto sociologico è solo quello più apparente e superficiale, potendo coesistere con un matriarcato psichico nascosto e molto profondo dove sono le donne ad esercitare il vero potere (tipiche le società del meridione d’Italia dominate dall’archetipo della Grande Madre, ivi incluse le associazioni criminali, come argomenta Silvia di Lorenzo in La grande Madre Mafia) . Per lo stesso Neumann, il patriarcato ha voluto semplicemente significare la fine del controllo esclusivo femminile sulla prole, anche se poi ci sono state sue versioni oppressive. b) Come ho già affermato il begriff del capitalismo è la valorizzazione del valore, e da questo punto di vista gli è del tutto indifferente il genere sessuale. Se la sua fase fordista era più inclinata verso il maschile, quella attuale lo è di più verso il femminile, dal momento che la tecnica rende sempre meno indispensabili (se non in circostanze eccezionali ma per niente infrequenti) lavori in cui sia essenziale la forza fisica, il coraggio e la capacità di assumersi rischi e privilegia, al contrario, doti di cui anche le donne sono dotate al pari e più degli uomini. c) quella di società matriarcali pacificate e solidali è una favola indimostrata e indimostrabile. Al contrario, prima che il patriarcato si facesse portatore di un diritto valido erga omnes, quindi almeno formalmente oggettivo e non discriminante, valeva il matriarcale diritto di sangue, dove torti e ragioni, dunque la giustizia, erano calibrati sull’appartenenza al clan con tutte le conseguenze del caso, come ci raccontano i miti. d) Infine, l’attribuzione di caratteri sessuali specifici, negativi quelli maschili e positivi quelli femminili, oltre ad essere smentita quotidianamente dal comportamento delle donne di potere e dal crescere di fenomeni di violenza femminile in parallelo col venir meno della protezione culturale loro tradizionalmente accordata, si configura come una sorta di inaccettabile razzismo, in forza del quale agli uomini non resterebbe, per essere ammessi al consesso civile, che essere sottoposti ad un processo di rieducazione, e ovviamente e logicamente sotto direzione femminile.
I CATTOLICI TRADIZIONALISTI
Se sul piano teologico esiste in questo arcipelago una comune e decisa avversione al modernismo, ed in primis alle idee di Papa Francesco, su quello politico le cose sono assai più complicate e, mi sembra, ben messe in evidenza da Francesco Agnoli in un articolo dal titolo emblematico e di cui mi avvarrò in questa esposizione insieme ad un mio pezzo su Il Covile che allarga la questione dal mondo cattolico tradizionalista in senso stretto al mondo genericamente definibile come conservatore (mondi peraltro abbastanza ampiamente sovrapponibili), e di cui riporterò alcuni brani che mi sembrano opportuni.
Per Agnoli si può affermare che esiste una divisione fondamentale all’interno del tradizionalismo cattolico, che pure complessivamente guarda politicamente a destra, fra un’ala occidentalista e un’ala antioccidentale (con riferimento ai valori o disvalori di cui l’Occidente di oggi, identificato con gli USA, sarebbe portatore), o meglio ancora, dice Agnoli, un’area europeista-tradizionalista. Come già si può osservare da questa prima classificazione, le divergenze teologiche, che pure esistono, non sono il discrimine principale. Entrambi i gruppi sono consapevoli, e non potrebbe essere altrimenti, che esiste il problema della scristianizzazione, con la differenza che gli uni mettono l’accento su fattori esogeni come l’immigrazione islamica portatrice, scrive il prof. Roberto de Mattei sulla rivista Radici Cristiane, “di una religione e di una cultura estranea alla nostra storia e alle nostre tradizioni”, mentre gli altri evidenziano anche fattori endogeni, ossia la rinunzia alle proprie radici e tradizioni culturali cristiane in nome di un “relativismo morale e religioso che dissolve ogni ordine oggettivo di valori […] “.
Facile osservare, mi sembra, che quei fattori endogeni di scristianizzazione sono concomitanti col tramonto del capitalismo fordista e l’affermarsi del capitalismo finanziario e globalizzato. Esiste un motivo storico preciso per il quale è valsa l’equazione cristianesimo = conservatorismo = Occidente capitalistico. Consiste nel fatto che per un lungo periodo c’è stata una convergenza fra le tre entità. In negativo, come interesse comune a contrastare la «rivoluzione» comunista vista come il pericolo principale e in nome della quale mettere la sordina o minimizzare gli elementi di incompatibilità che erano già visibili. Ma anche in positivo, laddove l’universalismo cristiano è stato il fattore che ha creato le condizioni per uscire dalla società castale, e laddove la difesa della proprietà privata e dello stato nazionale, della famiglia tradizionale e della libertà di educazione, di uno Stato non invadente, di uno stile di vita sobrio e di una certa etica e morale sessuale, erano funzionali alla fase industriale e produttiva del capitalismo ma anche valori culturali condivisi sia dalla borghesia, classe egemone, sia dalle altri classi sociali, quantunque ad essa contrapposte sul piano economico.
Sennonchè il capitalismo è diventato transnazionale in economia e progressista, ossia assolutamente relativista, edonista e individualista, sul piano culturale. Nel suo movimento alla ricerca continua di nuove occasioni di auto valorizzazione, il capitale ha saturato ogni spazio della vita umana, finora rimasto estraneo al meccanismo del valore. La vita stessa, dal concepimento alla morte, è stata mercificata, come sostenne il marxista eretico Preve, ma come si può leggere anche in tanta letteratura cattolica. È accaduto quindi che quelle istanze che lo limitavano, anche il sistema di valori del cristianesimo e della vecchia borghesia che pure gli erano funzionali in una sua fase, sono diventate un ostacolo al suo pieno dispiegarsi. Se ciò vale per gli individui, invitati con ogni mezzo ad abbandonare stili di vita consolidati per approdare a un consumismo fine a se stesso e irrazionale, come vide lucidamente Pier Paolo Pasolini in anni non sospetti, vale anche per alcuni istituti sociali comunitari, quali la famiglia e il matrimonio fra uomo e donna, e la responsabilità educativa dei genitori. Vale infine anche per gli stati nazionali, la cui sovranità territoriale può limitare la libera circolazione dei capitali e delle merci.
Ne discende che la convinzione del recentemente scomparso ideologo neoconservatore cattolico Michael Novak (cui fu affidata da Bush la missione di convincere il papa della legittimità della guerra all’Irak nel 2003), secondo il quale la superiorità del capitalismo rispetto agli altri sistemi economici non risiede solo nel fatto che economicamente è il più efficiente, ma anche nel fatto che, se lasciato libero di funzionare senza intralci , include in automatico forme di (auto)disciplina dei comportamenti umani, si è rivelata falsa, o quanto meno largamente superata.
Si può affermare anzi il contrario. Il capitalismo realmente esistente , allo scopo di valorizzare il valore , ha fatto proprie tutte le istanze libertarie del sessantotto (incluse droghe e sesso), rigiocandole contro l’antica borghesia e la Chiesa (ma anche contro la cultura popolare del proletariato) , risacralizzandole in religione dei diritti umani in nome di una apparente libertà.
La differenza fra le due ali del tradizionalismo cattolico si gioca quindi su due piani connessi: sul giudizio circa gli esiti del capitalismo e sulla definizione del concetto di Occidente. Per gli occidentalisti, ad esempio Marco Respinti, Europa e America sono un’unica entità culturale in termini di Kultur e Civilization, ed anche se la civiltà occidentale è nata in Europa, questa «è definita in realtà piú dalla cultura sviluppata da quel luogo che non quel luogo in quanto tale». Ma non solo, perché quella cultura irradiata nel mondo si sarebbe sedimentata in particolare negli USA, il cui popolo sarebbe piú attento ai valori religiosi di quello europeo. Agli Stati Uniti, quindi, si assegna il compito di “riportare dal nuovo al vecchio mondo i tratti salienti della cultura europea, che in Europa hanno subito plurisecolari oltraggi”. Sarebbe “il quinto viaggio di Cristoforo Colombo”, come scrive Giovanni Cantoni, il fondatore di Alleanza Cattolica. La tesi di un Occidente sostanzialmente unitario sul piano culturale, ha come conseguenza pratica l’esigenza di una strategia altrettanto unitaria sul piano politico, ed al bisogno militare, sia di fronte al pericolo islamico, sia di fronte a modelli di civilizzazione sostanzialmente diversi sul piano storico e culturale, come quelli russi e più ancora cinesi. E ovviamente tale strategia che non potrà non essere a guida USA.
Sul fronte opposto a quello di Respinti si pone Franco Cardini, per il quale il concetto di Occidente è variabile nel tempo (Oswald Spengler lo identificava con l’Europa e solo dopo la prima guerra mondiale è stato ampliato fino a ricomprendere altri paesi e popoli coniando il termine di civiltà occidentale). Ne discende che quando si parla di Europa e Occidente, occorre sempre riferirsi al momento storico in cui avviene la discussione, poiché quei concetti potrebbero essere intesi in senso diverso in un futuro, o diversamente concepiti riguardo al passato. In particolare Cardini dissente dalla tesi della continuità fra cristianesimo e Occidente moderno per come si è sviluppato oggi, in particolare negli USA, tesi nella quale scorge l’idea errata che la nuova, vera Cristianità sia l’Occidente egemonizzato dalla superpotenza statunitense e dalle lobby multinazionali, e sostenuto dall’asse atlantico della Magna Europa che avrebbe nel continente europeo la sua Grecia votata alla bellezza e alla storia e negli States la sua Roma vigile sull’ordine e sulla pace nel mondo. Per Agnoli, la tesi di Cardini che nega la spinta religiosa come ispiratrice della politica estera americana e sostiene il sempre minor coinvolgimento del Settentrione del mondo in problematiche seriamente religiose, ha un buon fondamento, e la “riesportazione dei tratti salienti della cultura europea nella vecchia Europa per aiutarla a ritrovare le radici dell’ordine” non rappresenterebbe altro, in pratica, che l’americanizzazione del vecchio continente.
Al contrario degli occidentalisti, i tradizionalisti europeisti vedono nell’evoluzione in senso liberista sganciato da ogni ancoraggio etico e religioso del mondo occidentale, “il principale fattore di disgregazione anche morale della società e di cancellazione di ogni suo carattere cristiano”, nonché l’avvento di un turbo capitalismo che tendenzialmente mira a cancellare di fatto gli Stati nazionali e azzerare le identità culturali dei popoli. Un tipo di civiltà che, in quanto si ritiene il vertice massimo delle conquiste etiche e civili, per Cardini non solo non è emendabile, ma tende ad imporsi alle altre tradizioni culturali presenti nel mondo o, quando applica il concetto di tolleranza, lo concepisce come paziente attesa di loro maturazione affinché accedano alla concezione individualistica propria dell’Occidente liberalcapitalista. Gli stessi diritti umani vanto dell’Occidente ma dei quali si tende ormai a disconoscerne le origini cristiane, anzi ad attribuirgliene di opposte, proprio per questo motivo stanno degenerando nel loro contrario. Assunti come orizzonte privilegiato da Onu e Ue, elevati a nuova religione, moltiplicati di numero, vengono alla fine relativizzati, indeboliti e usati come arma contro il cristianesimo. Sta di fatto che da queste differenze scaturiscono anche approcci politici molto diversi. Se gli occidentalisti ripongono negli Stati Uniti la speranza di una ricristianizzazione della vecchia Europa e in virtù di ciò appoggiano gli interventi militari americani nel mondo, o addirittura li auspicano, per gli euro- tradizionalisti ciò va in senso esattamente opposto.
La Chiesa Cattolica
Per quanto riguarda la Chiesa, un intervento chiarificatore fu quello nel 2004 dell’allora cardinale Ratzinger , a torto, secondo il mio parere, definito conservatore o peggio oscurantista.
Per Ratzinger “La chiesa sostanzialmente non può riconoscersi nella categoria dell’Occidente». Sarebbe sbagliato storicamente perché Cristo è nato in una terra all’incrocio fra Europa, Asia e Africa, e questo ha conseguenze sulla sua essenza interna. Sarebbe sbagliato empiricamente perché il Cristianesimo è presente in tutti i continenti, seppure con minoranze di riconosciuta forza morale. Sarebbe infine sbagliato teologicamente perché la Chiesa dovrebbe essere «il fatto che non è legato a una cultura determinata ma aiuta l’esodo dal carcere di una cultura e la comunicazione fra le culture”. La Chiesa “unisce le culture e allo stesso tempo ne rispetta le diverse ricchezze” , nelle quali sono individuabili elementi comuni ; “ pensiamo all’idea del Tao nel mondo cinese, del Dharma nel mondo indiano: concetti che presuppongono che l’uomo si trovi in un ordine del cosmo, che gli indica come vivere, e che precede le nostre decisioni.”
Ora, poiché la categoria Occidente in ogni sua accezione, dal punto di vista delle strutture socioeconomiche è sinonimo di liberalcapitalismo, ne discende che i tradizionalisti occidentalisti sbagliano nel continuare a identificare il cristianesimo con l’occidente e quindi col liberalcapitalismo.
E’ questa una consapevolezza che si va lentamente facendo strada nel mondo cattolico tradizionalista, e in modo più profondo e radicale che non nel cattolicesimo progressista. E’ un fenomeno che può apparire sorprendente se continuiamo a ragionare con le categorie di cento o anche solo cinquant’anni orsono, ma che possiede, a ben vedere, una sua forte logica che rimanda al comunitarismo del cattolicesimo delle origini, intrinsecamente incompatibile col capitalismo e altrettanto distante dalla nuova religione dei diritti umani, che non avevano bisogno di essere proclamati, enumerati, accresciuti di numero ogni giorno, perché già incorporati nella concezione comunitaria stessa e ancorati semplicemente al diritto naturale piuttosto che, come ritiene Habermas, all’improbabile e sempre transeunte diritto costituzionale.
E’ così che Luigi Copertino può scrivere un saggio dal titolo emblematico “L’incompatibilità fra capitalismo e cattolicesimo” . Copertino sostiene che “lo spirito del capitalismo si identifica con l’individualismo “ e come tale è contrario “all’etica sociale comunitaria” del cristianesimo. Non solo riprende le critiche marxiane alle teorie economiche classiche di Smith e Ricardo, argomentando che il filosofo di Treviri ha messo a nudo le loro incongruenze partendo dal loro stesso impianto concettuale, ma spinge la sua critica alle concezioni neoclassiche di Haiek e Von Mises che definisce come “una serie di tautologie senza alcun fondamento empirico né riprova sul piano dell’esperienza. Un piano sul quale piuttosto trova ampie smentite storiche […] pura astrazione, un tentativo di sistematizzare analiticamente quello spirito individualista e contrattualista dal quale è nato il capitalismo”. “Per essi il mercato è immune da qualsiasi presupposto riconducibile al contesto religioso e quindi di civiltà. Sfere separate e da tenere tali […]. Tale approccio cela l’accettazione dell’idea che il mercato sia un tutto onnicomprensivo rispetto al quale ogni altra dimensione dell’essere è sovrastrutturale, e che pertanto esso sia regolato da leggi naturali ovvero da un ordine etico-normativo immanente ritenuto sempre e comunque benefico e pertanto intangibile”. Dunque, i cattolici per il mercato che credono nell’esistenza delle leggi naturali dell’economia potranno aderire all’etica cristiana, ossia adempiere i loro doveri verso i poveri “solo dopo essersi arricchiti, seguendo quelle leggi” . “Poco importa se, per arricchirsi, il cristiano […] deve porsi in concorrenza invece che cooperare con il prossimo, ovvero perseguire amoralisticamente l’interesse individuale ed auto centrico” nella convinzione che alla fine, “per l’imperscrutabile volontà della mano invisibile” il mercato genererà ricchezza e felicità universali.
Anche se nel contesto complessivo del saggio Copertino ricade talvolta in quell’ambivalenza che connota la Chiesa e la sua dottrina sociale, non si può non dargli atto della positività del suo sforzo di mettere a nudo le incongruenze del liberalcapitalismo e della sua deriva nichilista, e quindi di far riflettere il mondo cattolico, anche in considerazione di un altro concetto che tiene a sottolineare, peraltro un inevitabile classico del pensiero cattolico. “Non è il mercato – scrive – a creare il Politico perché questo non è una marxiana sovrastruttura ma è la dimensione umana alla quale anche il mercato è subordinato e che a sua volta è subordinato al Sacro” , là dove credo si debba sottolineare in primo luogo il concetto di autonomia del politico dall’economico, una vera eresia per il pensiero liberale, che non può non avere importanti conseguenze, appunto, sul piano politico e innanzi tutto geopolitico. Conseguenze che il suo maestro Don Ennio Innocenti, così sintetizza , dopo aver sottolineato che la rivoluzione del sessantotto in “apparenza fu comunista ma l’esito è stato il nichilismo in salsa neoliberista”.
Gli Stati Uniti “Nel Congresso del 1765 e nella Dichiarazione del 1775 si attribuirono una missione, un destino, un traguardo, che implicava un manicheismo politico,”, tradottosi poi “in quell’atroce razzismo, classismo e bellicismo capitalista, che ha portato finalmente all’egemonia mondiale del ’900”. Per Innocenti gli Usa, sin dal XVIII secolo hanno imposto la loro tutela sull’intera America latina, umiliata da interventi di “inaudita violenza” e sfruttata “dalla strategia liberalcapitalista sotto copertura democratica”
Ed ancora “L’esercizio della funzione troppo pretenziosa di polizia mondiale e a profitto del dollaro — dopo aver provocato, per mezzo della speculazione dei banchieri, il disumano sfruttamento del mondo con due grandi crisi finanziarie — segna alla fine del secolo l’inizio di un lungo e perdurante declino. La fine dell’imperialismo USA è scientificamente annunciata in concomitanza con il crollo di quello sovietico, mentre perdura l’influsso universale della gnosi spuria […]”
Note:
1) Si veda https://www.ilcovile.it/scritti/COVILE_B_506_DSC_1.pdf
2) Ne riporto alcuni in ordine sparso, che vanno dalle comunità di base ai gruppi di omosessuali e lgbt
https://cesnur.com/gruppi-del-dissenso-cattolico-progressista/ dove sono elencati alcuni di questi gruppi
http://www.cdbitalia.it/ il sito delle diverse comunità di base sparse sul territorio
https://www.gionata.org
https://religo.it
https://www.maschileplurale.it/info/ in cui si legge significativamente <>. Ma su questo torneremo.
3) “Venne infine un tempo in cui tutto ciò che gli uomini avevano considerato come inalienabile divenne oggetto di scambio, di traffico, e poteva essere alienato; il tempo in cui quelle stesse cose che fino allora erano state comunicate ma mai barattate, donate ma mai vendute, acquisite ma mai acquistate — virtú, amore, opinione, scienza, coscienza, ecc. — tutto divenne commercio. È il tempo della corruzione generale, della venalità universale, o, per parlare in termini di economia politica, il tempo in cui ogni realtà, morale e fisica, divenuta valore venale, viene portata al mercato per essere apprezzata al suo giusto valore”. (Miseria della filosofia, Cap. I §1, 1847, M. ha 29 anni.)
4) Come del resto nella Dottrina sociale della Chiesa, come evidenziato nell’articolo ricordato in nota 1.
5) http://www.mocova.it/guerra-e-terrorismo/
6) http://www.mocova.it/pacifici-ma-non-pacifisti/
7) Per una discussione più approfondita sul concetto di matriarcato e ginecocrazia, si veda http://www.uominibeta.org/articoli/eterismo-versus-demetrismo-femminismo-libertario-versus-femminismo-moralista/#more
8) E. N., Storia delle origini della coscienza, Roma, Astrolabio MCMLXXVIII
9) Si veda https://www.linterferenza.info/in-evidenza/donne-mafia-criminalita-organizzata-un-rapporto-impensabile/
10) https://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=2011 “Tradizionalismo cattolico, fra Europa, Occidente e Islam
11) https://www.ilcovile.it/scritti/COVILE_841_Ermini_conservatori.pdf
12) Si tratta di una conversazione con Ernesto Galli della Loggia su «Storia, politica, religione» organizzato
dal «Centro di orientamento politico» e pubblicata su Il Foglio del 27 e 28 ottobre 2004.
13) Nella discussione Ratzinger non nega che la Chiesa abbia avuto comportamenti politici contraddittori, ma, aggiunge << c’è «una differenza sostanziale fra l’espropriazione fatta dal laicismo, laddove i costumi
tradizionali sono stati semplicemente distrutti come irrazionali, senza però che si sia data una risposta alla ricerca di senso, e la visione cristiana, che ha almeno cercato di non distruggere semplicemente ma di assimilare l’essenza delle
religioni che, secondo la nostra convinzione, era in attesa di una risposta.>>
14) https://www.maurizioblondet.it/lincompatibilita-tra-cattolicesimo-e-capitalismo-di-luigi-copertino/
15) Le citazioni provengono dal libro di Copertino, Il confronto con la gnosi spuria secondo Ennio Innocenti, Sacra Fraternitas Aurigarum Urbis, 2018, che, col pieno avallo di Ennio Innocenti, riassume la sua pluridecennale opera. Se ne può leggere una recensione in https://www.ilcovile.it/scritti/COVILE_B_475_Gnosi_spuria.pdf
epa05077727 Pope Francis (2-R) speaks during the traditional Greetings to the Roman Curia, at the Vatican, 21 December 2015. EPA/ALBERTO PIZZOLI/POOL