Non avrei mai immaginato nella mia vita che mi sarei trovato
nella condizione di concordare anche
solo per un nano secondo con un personaggio inquietante e sgradevole, oltre che
pericoloso, come il presidente argentino Milei. Incredibile ma è accaduto.
Milei ha deciso di cancellare il
reato di femminicidio dall’ordinamento giuridico argentino sulla base di un
assunto semplicissimo e di assoluto buon senso, e cioè che uomini e donne sono
uguali e che la vita di una donna non vale più di quella di un uomo. Principio,
peraltro, scritto nero su bianco, pur se in forma diversa, anche sulla nostra
Carta Costituzionale. Inserire il reato
di femminicidio nel codice penale comporta inevitabilmente un aggravio di pena
per chi commette un tale reato altrimenti non avrebbe nessun senso inserirlo, perché
sarebbe sufficiente – come secondo me è – il reato di omicidio. Un simile
provvedimento, chiesto a gran voce in questi giorni dalla senatrice Valente del
PD, entra necessariamente in rotta di
collisione con il principio di eguaglianza sancito dalla nostra Costituzione.
Qual è il postulato ideologico
che sta dietro ai sostenitori e alle sostenitrici (la “sinistra”, più o meno
tutta, e il femminismo) di tale scempio giuridico?
Secondo costoro le società (capitaliste)
occidentali sarebbero tuttora dominate dalla cultura patriarcale che porrebbe
gli uomini in una condizione di assoluto dominio sulle donne. Al punto tale che
queste sarebbero considerate alla stregua di meri oggetti di cui si può disporre
a piacimento, financo ad ucciderle. Ed è
proprio la cultura patriarcale di cui la nostra società sarebbe intrisa che
armerebbe la mano degli uomini i quali, sentendosi (iper)protetti da un
contesto che in tutto e per tutto gli è a favore (va bè, tiremm innanz…), si
sentirebbero autorizzati ad ammazzare le donne. Da qui la richiesta di inserire nel codice
penale il reato di femminicidio (con relativo aggravio di pena ed eliminazione
di ogni attenuante rispetto ad un “semplice” omicidio), sulla base dell’assunto
per il quale il principio di eguaglianza sancito dalla Costituzione non sarebbe
sufficiente dal momento che nella realtà concreta le donne sarebbero discriminate
in quanto tali, cioè in quanto appartenenti al genere femminile. Insomma una
sorta di “discriminazione positiva” (come nel caso delle quote rosa) applicata
al codice penale. In buona sostanza, se un tale postulato ideologico divenisse
legge, un uomo che ammazza una donna si fa l’ergastolo senza sconti, mentre se
ammazza un altro uomo o se è una donna ad ammazzare un uomo o un’altra donna (cose
che accadono più frequentemente di quanto si pensi, se soltanto l’orchestra
mediatica ne parlasse) scattano tutte le attenuanti del caso. Anche laddove una
donna uccidesse un bambino tale reato sarebbe comunque considerato meno grave
rispetto all’omicidio di una donna da parte di un uomo. E in effetti è già così
da tempo; gli infanticidi vengono sempre derubricati solo e soltanto come
fenomeni di natura psicopatologica così come gli omicidi di uomini da parte
delle donne vengono trattati con molta maggiore indulgenza da parte degli
organi competenti (in questi casi scatta immediatamente l’ordine di scuderia
mediatico e la donna che uccide un uomo, marito o compagno o chi altri, lo ha
fatto per difendersi o per reazione alle violenze subìte). Chiunque abbia
voglia di indagare potrà constatare (e noi lo abbiamo fatto), dati alla mano,
che per gli stessi reati gli uomini vengono condannati a pene molto maggiori
rispetto alle donne. Incredibile ma vero, anche in questo caso.
Ora, al di là dell’evidente
delirio di una tale narrazione ideologica che rende a mio parere superflua ogni
spiegazione, diventa però necessario riportare qualche numero e qualche
percentuale.
Il totale dei “femminicidi” veri
e propri (ammesso che tale assunto sia valido e che un uomo uccida “una donna
in quanto donna”), cioè donne uccise in ambito familiare da mariti, compagni,
padri o fratelli, ammonta mediamente a non più di 30/40 casi ogni anno, in
termini percentuali circa lo 0,15% su 100.000 (centomila) persone. Quasi la
metà degli autori di questi delitti si toglie la vita subito dopo, gli altri
vengono condannati all’ergastolo o a pene non inferiori ai trent’anni. Mai
visto uno schiavista o un kapò nazista che si sono suicidati per il senso di colpa
dopo avere frustato fino alla morte schiavi o gasato presunti “esseri inferiori”, cioè (quelli sì) considerati
meri oggetti di loro proprietà, ma lasciamo stare…
Tutte le altre donne che vengono
ogni anno uccise, mediamente intorno al centinaio o poco più, vengono uccise in
frangenti che nulla hanno a che vedere con il “femminicidio” vero e proprio
(rapine, sequestri, questioni ereditarie, ecc. ecc.). La narrazione mediatica
però considera tutti questi come “femminicidi” dimenticandosi peraltro (si fa
per dire…) che il 20% circa del totale delle donne uccise sono a loro volta
uccise da altre donne (non so come classificare e considerare questi “omicidi”,
boh..). Tutto ciò in considerazione del fatto che ogni anno vengono uccisi mediamente
il triplo degli uomini rispetto alle donne, in larghissima parte uccisi da
altri uomini, il 90% circa, e il rimanente da donne. Naturalmente esiste poi un’altra
forma di violenza che è quella senz’altro più grave perché agita sui più inermi
e i più fragili, cioè i minori e gli anziani. Quest’ultima è agita in larga se
non preponderante misura dalle donne, non perché più “cattive” degli uomini,
naturalmente, ma perché più di questi ultimi sono a contatto con bambini ed anziani.
Eppure questa forma di violenza che da un punto di vista etico è sicuramente la
più grave non salta alle cronache, non viene elevata a fenomeno sociale nè
tanto meno a fenomeno mediatico. Se lo fosse l’intera impalcatura ideologica
femminista in base alla quale la violenza è maschile per definizione, si squaglierebbe
in un nano secondo.
Ogni anno solo in questo paese sono circa dalle cento alle centocinquantamila le coppie che si separano. Se il postulato femminista in base al quale gli uomini commettono “femminicidio” perché non riescono a tollerare la libertà e l’autodeterminazione delle donne fosse vero, dovremmo assistere solo in questo paese al massacro di migliaia di donne ogni anno uccise da bruti che le considerano meri oggetti di loro proprietà. Se tanto (la narrazione femminista) mi dà tanto, saremmo di fronte ad una sorta di ecatombe del genere femminile (invito a rileggere i numeri e le percentuali che ho poc’anzi riportato).
Ora, in termini quantitativi, il
dato più grave è l’uccisione di uomini da parte di altri uomini. Perché questo
non viene elevato a fenomeno mediatico? La vita degli uomini vale forse di
meno? Evidentemente sì, perché la vita degli uomini è considerata
sacrificabile, al contrario di quella delle donne, e la loro morte violenta non
costituisce un problema e passa sotto silenzio, viene considerata come un fatto
scontato. Ma non lo è affatto. Della violenza agita sui minori e sulle ragioni
per le quali non emerge mediaticamente ho già parlato. La sola violenza che
sale alle cronache è quella subìta dalle donne. Perché? Lascio la domanda volutamente
senza risposta lasciando che, come vuole la maieutica, ciascuno fornisca la
sua. E’ altresì necessario aggiungere che quelle cifre e quelle percentuali (infinitesimali)
di donne uccise sono assolutamente fisiologiche per un paese di circa sessanta
milioni di abitanti. Nessun sociologo e statistico serio eleverebbe quelle
percentuali a fenomeno sociale se non fosse per il martellamento sistematico a
cui siamo sottoposti H24 e che lo ingigantisce oltre misura per ragioni
ideologiche e politiche. E’ ovvio che anche una sola persona uccisa, donna o
uomo che sia, è una tragedia, ma pensare di eliminare del tutto ogni forma di
violenza è pura utopia.
Sulle ragioni per cui questa
questione è stata artificiosamente trasformata in una emergenza mi sono
pronunciato più volte e non ci torno se non per ribadire che quella delle donne
contro gli uomini è la più subdola delle guerre orizzontali, seppur camuffata
sotto le bandiere della emancipazione e della liberazione delle donne.
Tornando a noi, ciò che è sconvolgente è che da un personaggio squallido, orrendo, come Milei – un ultra liberista, uno che getterebbe la gente sul lastrico pur di servire gli interessi del capitale, un filo sionista, uno scendiletto degli americani, uno che fino a qualche decennio fa sarebbe stato un sostenitore delle più brutali dittature militari sudamericane – ci tocca ascoltare parole di buon senso. Non da un giurista, non da un esponente o da un intellettuale democratico o della Sinistra, ma da un losco figuro come Milei.
A questo siamo arrivati. A questo ci ha portato l’attuale “sinistra” e il suo carrozzone ideologico politicamente corretto. E’ stupefacente per quanto desolante. Per lo meno per me.
Fonte foto: ANSA (da Google)