E’ accaduto ieri, negli ultimissimi minuti della lezione di filosofia in una classe quarta del liceo dove insegno da circa un mese. Sto spiegando Galileo Galilei e, naturalmente, il discorso finisce per attualizzarsi in ragione della vicenda che lo ha visto, suo malgrado, protagonista in particolare per quanto riguarda gli inevitabili rapporti fra la scienza (e la tecnica) e l’etica, la filosofia e la politica.
Emergono, dunque, spontaneamente, temi quali ‘l’eugenetica, l’eutanasia, la clonazione, le cellule staminali e infine l’utero in affitto, anticamera – aggiungo io – dell’utero artificiale.
Esprimo la mia opinione e dico che per me l’utero in affitto – altrimenti chiamato “maternità surrogata”, per renderlo più accettabile – è una forma di mercimonio, di mercificazione dell’umano, perché penso che tutto ciò che ha a che vedere con l’amore, gli affetti, i sentimenti, la vita, la sessualità debba essere tenuto lontano e al riparo da qualsiasi logica mercantile e strumentale.
A quel punto c’è una specie di levata di scudi di una gran parte della scolaresca, non tanto nei miei confronti quanto nei confronti di una ragazza (che condivideva la mia posizione) che aveva osato dire che un figlio è un dono e non può essere venduto. La ragazza viene letteralmente subissata da quasi tutte le altre che le impediscono praticamente di proseguire.
Una ragazza ad un certo momento mi chiede: ”Prof., ma se una non vuole avere figli, che male c’è a darlo via?” Le rispondo che può darlo in adozione, tanto più che oggi una donna è libera di lasciare il figlio appena partorito in ospedale, non si capisce però perché dovrebbe venderlo”. C’è una bella differenza, mi pare, ma evidentemente è una differenza che noto io, non tanti/e altri/e.
A quel punto un ragazzo interviene e dice con estrema naturalezza:” Bè, ma in fondo darlo in adozione o venderlo è più o meno la stessa cosa, che cambia?” Gli rispondo che non è affatto la stessa cosa perché un conto è darlo in adozione e un altro è venderlo. Al che lui risponde: “La madre che si presta alla maternità surrogata continua o può continuare ad avere un rapporto con il figlio biologico anche dopo averlo affidato (venduto…) ai nuovi genitori”. Obietto che, a mio parere, una donna che sceglie di vendere un figlio non credo che sia poi così intenzionata a mantenere un rapporto con quello. E poi, se anche fosse, una volta cresciuto, cosa potrebbe raccontargli o raccontarle, che lo ha venduto ad altri per 50.000 euro? E sai che bella scoperta per lui o per lei sapere che sono figli di una madre che li ha venduti? Meglio risparmiargli il trauma, a quel punto, non credo che sia psicologicamente di conforto per nessuno venire a sapere che tua madre ti ha venduto per soldi, pochi o tanti che siano stati.
Un’altra obietta invece che in questo modo, cioè vendendolo, la madre sa a chi va in adozione il figlio (sic!), non a gente sconosciuta ma a persone fidate, affidabili…
Sono letteralmente basito…suona la campanella e il dibattito si chiude. Ma ho intenzione di proseguirlo perché sono curioso di vedere quali saranno gli sviluppi anche perché non ho avuto modo (eravamo alle battute finali della lezione) di sottoporgli una serie di riflessioni che proporrò alla prossima occasione. E cioè:
1) Una coppia (etero, gay o lesbica, è ovviamente del tutto irrilevante) che compra un figlio si rende, a mio parere, colpevole di un atto molto grave di mercificazione (sia della donna che lo partorisce che del figlio). Infinitamente più grave se questa “transazione” avviene “in favore” (ai danni…) di una donna povera o poverissima di un paese del terzo mondo. Ovvio che mettere in mano ad una donna povera dell’India o del Bangladesh l’equivalente di quello che guadagnerebbe in una vita intera di lavoro e di sfruttamento, significa metterla nella condizione di non poter rifiutare. Siamo quindi di fonte ad una nuova e cinica forma di colonialismo che non a caso si è costretti a camuffare anche dal punto di vista semantico e simbolico;
2) Una donna occidentale benestante, che sceglie consapevolmente di prestarsi a questo tipo di transazione per mere ragioni di profitto – al contrario di quella donna povera di cui sopra che è una vittima di tale processo – si rende colpevole di un grave atto di mercificazione, a mio parere, in questo caso, molto più della coppia che compra;
3) Se vendere un figlio non è mercimonio ma un atto di libertà, ne dovremmo dedurre che anche vendere il proprio corpo, cioè prostituirsi non è una forma di mercificazione ma un atto di libertà (ovviamente non sto parlando delle prostitute sfruttate, vittime della criminalità organizzata, ma di quelle che lo fanno per libera scelta). Di conseguenza se consideriamo un atto di libertà vendere il proprio corpo per denaro, lo deve essere anche quello di chi compra quel corpo. Da rilevare che le stesse parti politiche (liberal, ma anche radical, siano essi conservatori o “progressisti e di sinistra”) che sostengono la “maternità surrogata” sono concordi invece nel vittimizzare (non si capisce il perché dal momento che è una libera scelta) le prostitute (parliamo sempre di quelle che lo fanno per scelta e non di quelle cadute nella rete della criminalità) e nel demonizzare i “clienti”. La contraddizione è palese ma tant’è;
4) Si è sempre insistito (giustamente), anche da una parte consistente del femminismo, sul fatto che la relazione fra madre e figlio comincia già da quando questo è nel suo grembo, fin da quando inizia la gestazione. Ora sembra che tutto questo non esista più, un neonato può essere venduto una volta partorito né più e né meno di come si vende un oggetto al supermercato, e questo viene interpretato come libertà.
Tornando a noi, la cosa che più di altre mi ha lasciato letteralmente stupefatto è constatare come le narrazioni ideologiche dominanti siano in grado di costruire di sana pianta un vero e proprio immaginario psichico.
Per lo meno a giudicare dalla loro primissima e veemente reazione, è come se queste ragazze avessero visto nella mia posizione (e in quella di pochissime altre) non una critica all’ideologia capitalista che arriva ormai a mercificare non solo l’agire umano ma l’umano stesso, bensì un attacco alla loro libertà personale. La libertà anche di vendere il proprio figlio, di fatto considerandolo come un oggetto (anche se forse, data la loro giovane età, voglio sperare, non se ne rendono neanche conto). Come considerare, del resto, in altro modo, un essere umano venduto ad altri esseri umani? I proprietari di schiavi compravano e vendevano schiavi con assoluta disinvoltura, appunto perché non li consideravano degli esseri umani ma degli oggetti di loro proprietà. Il paragone potrà sembrare iperbolico e molto probabilmente lo è ma la sostanza mi pare la stessa.
E’ evidente, dunque, come l’ideologia capitalista sia riuscita a stravolgere anche il concetto di libertà declinandolo secondo i suoi parametri.
Scriveva Karl Marx in “Miseria della filosofia”(lo leggerò alle mie studentesse e ai miei studenti): “Venne infine un tempo in cui tutto ciò che gli uomini avevano considerato come inalienabile divenne oggetto di scambio, di traffico, e poteva essere alienato; il tempo in cui quelle stesse cose che fino allora erano state comunicate ma mai barattate, donate ma mai vendute, acquisite ma mai acquistate – virtú, amore, opinione, scienza, coscienza, ecc. – tutto divenne commercio. È il tempo della corruzione generale, della venalità universale, o, per parlare in termini di economia politica, il tempo in cui ogni realtà, morale e fisica, divenuta valore venale, viene portata al mercato per essere apprezzata al suo giusto valore”.
Parole profetiche.