Vi sono femminismi che con la loro carica rivoluzionaria sono, in realtà, i fedeli complici del modo di produzione capitalistico. Il capitalismo in questa fase assoluta e apicale è la realizzazione non solo del nichilismo consumistico ma specialmente dell’onnipotenza. Ogni vincolo etico e ontologico dev’essere abbattuto in modo che la mercificazione sia totale e totalitaria. Il valore di scambio dev’essere applicato ai corpi senza la vita della mente. Ogni concetto dev’essere sostituito dal desiderio e dalle identità liquide che accedono al mercato per “assemblare e riassemblare” il corpo e le identità. Non più donne e non più uomini, ma esseri dall’identità precaria disponibili a mutare forma. Il sogno distopico di Donna J. Haraway è tra di noi, si profila minaccioso all’orizzonte nella sua chiarezza reazionaria. Il mercato dei corpi, degli organi è l’ultima frontiera del mercato, rigorosamente per ricchi. Il capitale ha divorato anche la biologia. Si apre un immenso mercato rappresentato dalla disponibilità a mutare forma, per cui identità precarie che si abbeverano ai sistemi medico-scientifici finanziati dal capitale sono il nuovo modello a cui i popoli devono aspirare. Creature metamorfiche e accentrate su identità volatili non possono che essere automi addomesticati, poiché per la Rivoluzione e la Prassi sono necessarie identità stabili e consapevoli del proprio ruolo all’interno del modo di produzione capitalistico. Gli assemblaggi sono solo forme momentanee da usare contro “il maschile” che in tale visione è il simbolo dell’identità stabile e, dunque, da abbattere per la liberazione da ogni residuo patriarcale. L’alternativa è l’onnipotenza cyborg:
“Dunque i corpi non nascono; si fanno (tav. 7). In quanto segni, contesto, e tempo, i corpi sono stati completamente denaturalizzati. I corpi del tardo Ventesimo secolo non crescono dai principi armonici interiori teorizzati nel romanticismo. Né vengono scoperti nell’ambito del realismo o del modernismo. Donna non si nasce, insisteva giustamente Simone de Beauvoir[1]”.
La donna liberata deve ribaltare ogni legge naturale, l’identità come la riproduzione sono rese autonome dai ruolo e dalle leggi biologiche e consegnate alla tecnologia:
“Le ideologie della riproduzione sessuale non possono più facilmente appellarsi a nozioni di sesso non problematico e di ruolo sessuale manifestazioni organiche di oggetti naturali “sani” tipo organismi e famiglie. Come per la razza, le ideologie della diversità umana vanno sviluppate in termini di potere frequenza di parametri e campi di differenze non in termini di essenze, origini naturali o di “famiglie”. Come gli individui, anche la razza e il sesso sono prodotti che il nesso discorsivo di sapere e potere rafforza o indebolisce. Si può ragionevolmente pensare a qualsiasi oggetto o persona in termini di smontaggio e riassemblaggio. Nessuna architettura “naturale” vincola la progettazione del sistema; nondimeno essa è fortemente vincolata. Ciò che conta come “unità”, come uno, è altamente problematico, non un dato permanente. L’individualità è un problema di difesa strategica[2]”.
Antiumanesimo
Per giustificare la morte delle identità e il trionfo delle identità da riassemblare, Donna J. Haraway col suo Manifesto Cyborg fa riferimento all’archeologia dei saperi. Se le identità sono solo pratiche del discorso, se siamo solo parole e testi scritti da un discorso che non ci appartiene, il soggetto deve ricercare la liberazione mediante un individualismo estremo e atomistico. Le donne sono l’avanguardia di tale punta avanzata, sono le liberatrici, in quanto oppresse dagli uomini, e dunque indicano il percorso nell’individualismo estremo organico, nei fatti, al capitale che ha fatto della liquidità un fiorente mercato sostenuto da ogni compagine politica e culturale:
“I confini vengono tracciati disegnando mappe delle pratiche; gli “oggetti” non preesistono in quanto oggetti; sono progetti di confine. Ma i confini si muovono dall’interno; i confini sono complicati. Quello che i confini contengono provvisoriamente rimane generativo, produttore di significati e corpi. Stabilire confini (e prenderne visione) è una pratica rischiosa. L’oggettività non sta per dis-impegno ma per strutturazione reciproca e di solito ineguale, sta per il correre rischi in un mondo dove “noi” siamo permanentemente mortali, cioè non in controllo “assoluto”. In ultima analisi, non abbiamo idee chiare e distinte[3]”.
Nella manipolazione dei corpi non vi sono limiti, non esiste katecon ma solo il desiderio è la guida della nuova liberazione. L’essere è eguale a qualsiasi altro ente, è solo natura dalla forma temporanea, ogni parte può essere sostituita e potenziata. Il disumanesimo è il fine a cui tendere. Ogni opposizione deve saltare, alla fine non resta che l’indifferenziato su cui agire in modo libero e senza limiti:
“L’essere umano, come qualsiasi altro componente o sottosistema, deve essere localizzato in una architettura di sistema le cui modalità fondamentali di funzionamento sono probabilistiche. Nessun oggetto, spazio o corpo è sacro di per sé; qualsiasi componente può essere interfacciato con qualsiasi altro se si riesce a costruire lo standard appropriato, il codice adatto per elaborare i segnali in un linguaggio comune. In particolare, non vi è alcun motivo per contrapporre ontologicamente l’organico, il tecnico e il testuale. Ma nemmeno vi è motivo di contrapporre il mitico all’organico, al testuale e al tecnico. Le loro convergenze sono più importanti delle loro opposizioni residuali. La patologia privilegiata che in questo universo influisce su tutti i tipi di componenti è lo stress, la caduta delle comunicazioni. Nel corpo, si teorizza che lo stress operi “deprimendo” il sistema immunitario. I corpi sono diventati cyborg, organismi cibernetici, combinazioni/aggregati di corpi tecno-organici ibridi e testualità[4]”.
Ecco la nuova oggettività femminista, ovvero la sovrastruttura che apre alla fine dell’Umanesimo, essa constata che il soggetto è sempre situato, è all’interno di una cornice testuale, pertanto non vi è verità, non vi è metodologia per giungervi, tutto è relativo a colui che parla, tutto è solo flatus vocis, non restano che i desideri con il loro sciamare:
“Così, non tanto perversamente, l’oggettività si rivela essere questione di corpo particolare e specifico, e non di quella falsa visione che promette trascendenza di ogni limite e responsabilità. La morale è semplice: solo una prospettiva parziale promette visione oggettiva. Questa è una visione oggettiva che non esclude il problema della responsabilità nei confronti della generatività di tutte le pratiche visive, ma anzi gli si apre. La prospettiva parziale può essere considerata responsabile per tutti i suoi mostri, promettenti o distruttivi che siano. Tutte le narrative culturali occidentali relative all’oggettività sono allegorie delle ideologie che governano i rapporti tra quelli che chiamiamo mente e corpo, distanza e responsabilità. L’oggettività femminista ha a che fare con ubicazioni circoscritte e conoscenze situate, non con la trascendenza e la scissione soggetto/oggetto[5]”.
Ci attende una battaglia culturale per difendere l’umanità dalle false rivoluzioni. Il capitale si è impossessato del linguaggio rivoluzionario e un certo femminismo è l’avanguardia del capitale che muove alla “rivoluzione” perenne, in modo che il capitale trionfi. Restano domande a cui dobbiamo rispondere: che tipo di vita attende l’umanità senza definizione e concetto? Se tutto è assemblaggio di corpi e identità una realtà senza verità non può comportare la giustificazione di ogni violenza? Le domande devono essere poste in modo che ciò che appare come libertà sia letta nei suoi pericoli estremi e quotidiani.
[1]Donna J. Haraway MANIFESTO CYBORG Donne, tecnologie e biopolitiche del corpo, Feltrinelli, Milano, 1995, pag. 142
[2] Ibidem pag. 147
[3] Ibidem pag. 128
[4] Ibidem pp. 147 148
[5] Ibidem pp. 112-112
Fonte foto: IBS (da Google)