Alcuni amici e amiche ci criticano perché sostengono che questo nostro giornale sarebbe un po’ troppo “pesante”, un po’ troppo impegnativo, spesso di non facile lettura, che i temi trattati sarebbero sempre molto seri e che alcuni articoli a volte sono eccessivamente lunghi (questo ultimo aspetto è sicuramente vero specie quando affrontiamo determinati temi di ordine filosofico o sociologico)
Io non sono del tutto d’accordo, per la verità, anche perché ci lamentiamo sempre dell’ “informazione” superficiale, generalista, manipolatoria (e molto spesso vera e propria spazzatura)che non approfondisce, non indaga come dovrebbe, e soprattutto non contribuisce a sviluppare uno spirito critico nelle persone (in realtà è proprio questo il compito che è chiamata ad assolvere…), e allora mi sembra contraddittorio lamentarsi quando c’è qualcuno che prova ad andare in un’altra direzione.
Tuttavia le critiche, specie quando sono animate da spirito costruttivo, sono sempre ben accette, specie quelle dei nostri lettori più affezionati (che cominciano ad essere una folta schiera…). E allora, per una volta (e non sarà l’ultima), voglio affrontare un tema più leggero, di costume, diciamo così, anche se solo apparentemente, perché la questione, in realtà, è molto più seria di quanto si possa pensare e l’affronterò (entrando nello specifico) in un’altra occasione.
Qualche giorno fa il quotidiano francese “Le Monde” (che potrebbe essere paragonato al “nostro” Corriere della Sera), si è contraddistinto per questo articolo particolarmente demenziale in pieno stile politicamente corretto:Football : à l’extérieur, la Lazio de Rome jouera en « chemise noire » dove, per l’ennesima volta, viene riproposto il mantra in base al quale la S.S: Lazio sarebbe una squadra “fascista”. O meglio, i suoi tifosi, come si usa dire a Roma in alcuni ambienti “politicamente corretti e de sinistra” (filastrocca ripetuta anche da quelli che non sanno neanche con quanti giocatori una squadra scende in campo…), sarebbero “tutti fasci”, anzi, “sò tutti fasci”. In questo caso l’alibi per riproporre (per l’ennesima volta) questa demenziale (con tutto il rispetto per la comicità demenziale che è tutt’altra cosa) cantilena politicamente corretta, è stato la scelta del colore, il nero (peraltro una tonalità bellissima, per ciò che mi riguarda), delle maglia con cui la Lazio giocherà quest’anno la Europe League.
Il tasso di delirio raggiunto da quell’ articolo è stato tale che anche l’organo ufficiale nostrano del “Politicamente Corretto”, cioè la Repubblica, non ha potuto fare a meno di pubblicare un articolo critico nei confronti di un simile conato di imbecillità: Le Monde: ”Maglia Lazio ricorda fascismo”. Il club: ”Attacco assurdo”
Addirittura Gorgia Meloni, tifosa romanista e leader di un partito di destra (che non ha certo in antipatia il ventennio fascista) ha scritto un post su facebook o su twitter (non ricordo bene) per stigmatizzare l’articolo di le Monde, da lei stessa definito (giustamente) ridicolo.
Per arrivare a capire la genesi di questo fenomeno (la criminalizzazione e la “fascistizzazione” mediatica della tifoseria della Lazio) dobbiamo però spendere qualche parola.
Facciamo subito una premessa, per sgomberare il campo da equivoci: il tifo più caldo della Lazio, quello della curva nord, ci ha messo indiscutibilmente del suo. Infatti la curva storica dei tifosi biancocelesti, da almeno tre decenni è egemonizzata, ma possiamo anche dire “militarmente” occupata, da un gruppo o da una serie di gruppi di estrema destra neofascista in parte anche legati con la criminalità organizzata (fenomeno quest’ultimo, che riguarda anche altre tifoserie, e in particolare quella del Napoli Calcio).
La cosa che il mainstream mediatico omette però di dire è appunto che lo stesso inquietante fenomeno riguarda pressoché la quasi totalità delle tifoserie organizzate,a partire da quella dell’altra squadra della capitale, cioè la A.S. Roma. Per essere ancora più chiari ed espliciti, ecco il colpo d’occhio che offriva la curva sud romanista in occasione di alcune partite svoltesi in anni recenti:
Potrei continuare a mostrare immagini di questo genere anche perché ce ne sono moltissime e riguardano indistintamente gli ultras di quasi tutte le principali squadre di calcio (compresi quelli della Lazio, ovviamente) e fra questi si distinguono quelli dell’Inter, della Juventus, del Verona, dell’Udinese, del Milan e di tantissime altre squadre (addirittura della ex “rossa” Bologna), più o meno tutti protagonisti di beceri e sistematici comportamenti a sfondo razzista (purtroppo molto spesso violenti) fuori e dentro gli stadi. Ma evito di farlo perché sono anche molto fastidiose, per quanto mi riguarda (spero che non me ne vogliano tutti i miei amici di fede giallorossa – che hanno certamente compreso lo spirito che anima questo mio articolo – per la pubblicazione di queste foto oscene che nulla hanno a che vedere con la loro genuina fede calcistica e quella di tanti altri supporter romanisti).
Resta il fatto che per la vulgata mediatica “i laziali sò tutti fasci”. “Del resto – spiegano i meglio informati – lo dice anche lo stemma ufficiale: l’aquila romana è un evidente richiamo ai simboli dell’Italia fascista” (sic!). Se non fosse che la Lazio è stata fondata nel 1900, cioè più di vent’anni prima dell’avvento del fascismo, da un gruppo di democratici, laici, anticlericali e in alcuni casi di orientamento socialista o socialisteggiante, come il suo fondatore, Luigi Bigiarelli, che addirittura non volle istituire la carica di presidente perché credeva nei valori della fratellanza e dell’eguaglianza universale. Ciò che animò Bigiarelli e gli altri fu infatti la volontà di fondare una polisportiva per permettere a tutti, in special modo a chi non ne aveva i mezzi e le risorse economiche, di praticare lo sport.
La Lazio annoverava fra i suoi tifosi più illustri, grandi personaggi del mondo della cultura come il regista Nanny Loy e il giornalista Sandro Curzi (entrambi di fede comunista), l’indimenticabile Mario Riva (colonna del varietà, della televisione e del cinema italiano dell’epoca), per non parlare, andando ancora più indietro nel tempo, del mitico Carlo Alberti Salustri, in arte Trilussa il quale – va detto, per correttezza – non aveva neanche alternative dal momento che la A.S. Roma ancora non era nata (nascerà nel 1927, in piena epoca fascista).
Ma non c’è niente da fare. La Lazio era, è e resterà la “squadra dei fasci” per definizione, nella stessa misura in cui, mutatis mutandis, i tifosi inglesi sono da sempre stati considerati come i teppisti per eccellenza. Il processo di criminalizzazione nei loro confronti infatti, già in corso da tempo, fu “istituzionalizzato” e sistematizzato dopo la tragedia dell’Heysel (dove morirono circa 35 tifosi della Juventus in seguito al crollo di una tribuna dello stadio vecchio e fatiscente), la cui la vera responsabilità ricade interamente sull’ UEFA che organizzò una partita così importante (una finale di Coppa de Campioni) in un impianto come quello.
Ma ci si dimentica, anche in questo caso, di dire che i campi da gioco all’interno degli stadi inglesi erano privi di ogni recinzione e che il pubblico era a pochi metri dai giocatori e nessun spettatore (tranne rarissimi casi sporadici) si è mai azzardato ad invadere il campo nè tanto meno a tirare una palletta di carta ai giocatori o all’arbitro. In Italia, viceversa, i campi da gioco erano circondati da fossati con tanto di spuntoni di ferro acuminati rivolti verso gli spalti per impedire ai tifosi di fare ingresso in campo, più reparti di polizia in assetto di guerra con cani al seguito. I tifosi inglesi erano spesso rissaioli e ubriaconi, è vero, ma in genere tutto finiva in una scazzottata e nessuno mai faceva uso di “lame”, come invece è accaduto per lungo tempo in Italia.
E’ la potenza dei luoghi comuni, dei “trend”, come si suol dire, che una volta messi in moto, non c’è possibilità di fermare. I luoghi comuni vanno a braccetto con un’altra “legge” fondamentale, quella del capro espiatorio. Ricordo che studiai la teoria del capro espiatorio in un esame di sociologia politica alla università di Roma, e uno degli episodi riportati su un libro di testo per spiegare tale teoria fu proprio la tragedia dell’Heysel, da poco avvenuta.
Il capro espiatorio serve a “mondare” tutti gli altri, a sollevarli da ogni responsabilità. Secondo quello studio (e personalmente condivido questa teoria) è addirittura indispensabile per la società e per i suoi equilibri interni, laddove questa non può permettersi (perché le condizioni non glielo consentono o perché le sue elite “intellettuali” dominanti ritengono che non ci siano o non debbano esserci…) di indagare a fondo quei fenomeni complessi e molto spesso inquietanti da cui è attraversata. Il capro espiatorio è, dunque, una sostanziale rimozione, ritenuta necessaria onde evitare conseguenze più gravi e destabilizzanti che ne deriverebbero da una indagine appena più approfondita dei fenomeni sociali. Nel caso in oggetto, un’ indagine seria dovrebbe porsi il problema di capire le origini del processo di fascistizzazione e della penetrazione della destra estrema neofascista (e della criminalità organizzata) nelle curve e nelle tifoserie (fenomeno che ha assunto da tempo dimensioni molto grandi e gravi) che, a sua volta, altro non è se non la cartina al tornasole di quel processo ancora più ampio di fascistizzazione e di adesione a ideologie e forze politiche xenofobe e/o razziste di sempre più ampi settori popolari e marginali della nostra società.
Ma questo lavoro, come dicevo, oltre ad essere impegnativo, comporta il fatto di mettere mano a questioni assai delicate e scabrose che rischiano di trasformarsi in un boomerang. E allora, perché sollevare il vespaio? Chi ce lo fa fare quando è bello che pronto e impacchettato il capro espiatorio?