Ora che la polvere del 4 Dicembre si è posata, e gli attori si sono riposizionati, proviamo fare qualche considerazione di natura previsionale. Il risultato referendario segna un passaggio di fase di enormi dimensioni. Il voto popolare, con una partecipazione molto alta ed un risultato molto netto, mette un argine inequivocabile al tentativo di svuotare i meccanismi democratici, relegandoli a mera forma, per allinearli alla verticalizzazione del potere economico, che ha svuotato le tradizionali forme di tutela giuslavoristica conquistate nei Trenta Gloriosi. Si tratta, in una accezione specifica al nostro Paese, della stessa marea che, dalla Brexit a Trump, dice no ad uno svuotamento di sovranità popolare prodotto da decisioni tecnocratiche prese fuori dai confini nazionali, in nome di una globalizzazione vissuta come nemica.
In questo senso, le penose analisi che tendono a spostare il senso del No al referendum in direzione di un voto anti-Renzi, piuttosto che sul merito della riforma, non cambiano di nulla il senso politico e storico di quello che è avvenuto: Renzi è stato l’alfiere delle politiche volute dai poteri neo-liberisti globali, il senso della sua sconfitta è quello di un No a tali poteri. I dati dell’Istituto Cattaneo sono chiari: il No prevale nelle fasce reddituali più basse, fra i giovani delle generazioni che rischiano l’azzeramento, nelle zone a più alt presenza di immigrazione, dove più forti si avvertono i pericoli di spiazzamento sociale, lavorativo ed identitario prodotti dalla globalizzazione.
A poco vale anche la rivendicazione renziana del 41% come voto da giocarsi alle politiche. Dentro quel 41%, c’è stata tutta la parte più o meno protetta (o che si ritiene tale) della società italiana, ivi compresi voti in uscita da Forza Italia: alcune analisi contabilizzano, a seconda della città, un voto per il Si di elettori di Forza Italia compreso fra il 20% ed il 40%. Ci sono voti centristi (che pure un 3-4% valgono, in quell’area Monti è rimasto solo a votare per il No). E ci sono persino spezzoni di voto grillino attratti dal populismo anti-Casta utilizzato dallo stesso Renzi in campagna elettorale. Lo spot del 41% serve unicamente per finalità di battaglia politica interna e pre-congressuale dentro il Pd, come fiche per sostenere la presunta forza politica di una componente renziana traballante ed a rischio di defezione.
Cosa succederà adesso? In un Paese che rischia forte di ritrovarsi sotto commissariamento per la crisi bancaria in atto, la scommessa di Renzi è chiara: un Governo-fotocopia del precedente, guidato da un esponente poco carismatico ed abituato a fare il numero due, con i due guardiani del rignanese Boschi e Lotti appostati a garantire che Gentiloni non si prenda troppi margini di autonomia. Questo Governo, nelle intenzioni di Renzi, deve obbedire e morire al momento giusto: obbedire salvaguardando le riforme renziane e scrivendo una legge elettorale prossima al vecchio Mattarellum (dove gli oppositori interni, con Renzi ancora segretario che scrive le liste elettorali, dovrebbero contendersi la quota proporzionale per sopravvivere, mentre i renziani avrebbero la parte del leone in quella maggioritaria, a loro più consona per poter continuare a propalare una idea di politica plebiscitaria ed individualistica). E morire presto, idealmente entro aprile o al massimo entro giugno, per consentire al fiorentino una possibile rivincita elettorale, e far slittare il referendum sul Jobs Act. Nel frattempo, con la sua posizione di segretario, impedirà un Congresso anticipato del Pd, come da richieste della Sinistra Dem, e regolerà i conti interni direttamente nella composizione delle liste elettorali alle politiche.
Tale scommessa potrebbe avere successo nella misura in cui il principale oppositore, il M5S, sta gravemente franando, con danni di immagine ancora non facilmente quantificabili, nella dubbia gestione della vicenda di Roma. Che mette a nudo i limiti di un Movimento senza regole interne e senza selezione di classe dirigente, nel quale una penetrazione di segmenti della destra storica romana, guidata da personaggi molto ambigui, ha prodotto una esperienza amministrativa sin qui fallimentare. La Raggi ha un solo modo per salvarsi: farsi di fatto commissariare dai vertici del M5S, accettando ciò che a Palermo, con l’accordo con Grillo che faceva fuori il mini-Direttorio romano era riuscita ad evitare, ed azzerando la sua autonomia politica. Il danno di immagine e la spinta a fare coalizioni tipica del Mattarellum, che dovrebbe spingere il M5S ad apparentamenti con altre forze politiche del tutto estranei alla sua natura (anche una alleanza con la Lega di Salvini appare improbabile, le due forze politiche competono su bacini elettorali simili) potrebbero produrre, alle politiche, una specie di nuova “Santa Alleanza” fra forze “sistemiche” coalizzate contro gli “antisistema”. Per dirla tutta, un riproposizione di Nazareno, con il Pd, i centristi, Forza Italia e, forse, leghisti “governisti” in uscita dal lepenismo di Salvini (difficile immaginare che Maroni possa continuare ad accettare un posto all’ombra del Matteo leghista). Ed ovviamente piantine arancioni, portate in dono dai Re Magi che andranno dietro a San Pisapia (e non saranno pochi nella quota assessorile della ex SEL), per dare una improbabile copertura a sinistra al progetto.
Evidentemente, ma questo il Matteo rignanese non lo ha ancora metabolizzato, non sarà lui a guidare il progetto. Uno sconfitto è uno sconfitto, e non ha le forze mediatiche e finanziarie di un Berlusconi per risollevarsi. Ad oggi, a guidare come candidato premier questa Santa Alleanza potrebbe essere Franceschini, una specie di Letta più dinamico in grado di mettere insieme, con un profilo centrista e pacificatore, tutte le diverse anime di questa coalizione di sistemici.
Tale Santa Alleanza avrà quindi ottime chance di vittoria, a fronte degli antisistema divisi e, per parte grillina, umiliati da ciò che, a Roma, si prospetta come un fallimento. La Sinistra Dem non avrà, credo, la forza (forza d’animo e morale) per rompere e uscire dal Pd (anche e confido in un minimo di iniziativa di D’Alema, ma non ci giurerei). Dopo il voto politico, le sarà offerta una mini-compensazione al Congresso. Renzi, a quel punto, si accontenterà di fare il capocorrente (ha già, fra il serio e il faceto, annunciato che si candiderà al Senato) ed un segretario di pacificazione, in grado di dare rappresentanza sia ai renziani che ai Sinistri, sarà scelto fra pallide comparse, come Cuperlo o Rossi. Sinistra Italiana dovrà riprendere il suo cammino, in una posizione inizialmente certo non molto buona, ma perlomeno ripulita dalle fazioni più governiste, che man mano sentiranno – anche fra molti fuoriusciti del Pd – il richiamo del potere.
Ci sono solo alcuni elementi di ostacolo a questo disegno: il ritorno alle urne potrebbe non essere rapido, se l’accordo sulla nuova legge elettorale non dovesse chiudersi subito sul Mattarellum. E certo il fatto che il Parlamento riceverà le motivazioni della decisione della Consulta, e quindi potrà lavorare alla nuova legge elettorale, solo a febbraio, non aiuta. A quel punto, il voto finisce per slittare a Settembre, come minimo. Consentendo ai Cinque Stelle di riassestare i danni romani ed essere competitivi anche da soli. Ma non c’è da farsi illusioni: i Cinque Stelle, anche se vincessero le elezioni e ricevessero l’incarico per fare il nuovo Governo, si autoaffonderebbero, pur di non governare un Paese che, probabilmente, nei prossimi mesi finirà sotto la cappella del commissariamento della Trojka via la crisi bancaria e il ricorso all’Esm. E che quindi dovrà affrontare una nuova fase di dura austerità. I grillini non dimostrano certo di essere sufficientemente rivoluzionari da rompere con i vincoli europei. Lo stesso referendum sull’euro da loro proposto è una pagliacciata inefficace e propagandistica, utile per non assumersi una responsabilità politica diretta. Dopo l’autodafè grillina, l’incarico di governo verrebbe quindi comunque dato ad un esponente della Santa Alleanza. Un altro scenario è che il lepenismo di Salvini, che si dice favorevole al Mattarellum, quindi alle coalizioni, possa virare verso più miti consigli e più facili approdi berlusconiani (un po’ come il celodurismo in doppio petto e grisaglia di Bossi) e quindi far vincere un nuovo centrodestra, relegando il Pd, in pratica, verso la sua estinzione. Ma credo che tale scenario sia poco probabile: il Pd è l’architrave del sistema, nessuno permetterà di relegarlo fuori da posizioni di Governo.
In sostanza, quindi, lo scenario più probabile, anche in vista di un possibile commissariamento per ricorso all’Esm, è quello di un voto anticipato estivo, che dia vita ad un nuovo Governo di larghissime intese, dalla destra agli arancioni pisapiani, imperniato ancora su un Pd traballante ma mantenuto unito da un gioco di candidature e compensazioni congressuali, possibilmente guidato da Franceschini. Quanto può resistere un simile assetto nella tragedia sociale legata al possibile commissariamento della Trojka? Quasi niente. il problema è che non c’è certo una Syriza in grado di fornire una possibile alternativa. Andiamo vero giorni molto tristi e spaventosi.