Siamo senza dubbio immersi in una nuova fase della storia del mondo in cui un vecchio ordine basato sulla pretesa da parte di una grande potenza imperiale di governare il mondo viene messa in discussione e contestata dalla gran parte dell’umanità rappresentata dal Sud del mondo e da nuove potenze che non accettano le sue regole come Cina e Russia, e che reclamano una nuova configurazione del mondo di tipo multipolare. Le guerre in corso, in Ucraina e non ultima quella che sta coinvolgendo l’intero medio-oriente collegata ai movimenti di decolonizzazione, sono il sintomo e la manifestazione delle difficoltà a trovare, da parte della potenza egemone, nuovi equilibri pacifici condivisi con le aspirazioni dei diversi interessi dei vari popoli e delle varie civiltà che reclamano un loro posto nella storia.
Questo movimento tellurico rimette in gioco i vecchi equilibri geopolitici e pone certamente inedite domande ai popoli, ai governi, alle forze politiche e sociali, anche in Europa e nel nostro paese.
Come dare un nostro contributo, ci si chiede, alla lotta per un mondo multipolare e nello stesso tempo riposizionare l’Italia nello scacchiere geopolitico europeo? Soprattutto per garantire la pace minacciata da un bieco euro-atlantismo guerrafondaio?
Domanda corretta. Più complicate le risposte possibili. Esse implicano una presa radicale di distanza da quello che oggi si configura come “Occidente” e dalle sue pretese egemoniche e coloniali: oltre ad avere la forza e il consenso necessario per praticarle. Penso purtroppo che la classe dirigente italiana, anche e soprattutto quella che fa riferimento alla sinistra storica, ne sia non solo incapace ma in gran parte contraria, intrisa com’è di ideologia neoliberale e dirittocivilista, refrattaria ad accettare modelli culturali e politici che ritengono autocratici e antidemocratici, cioè tutti quelli non occidentalizzati. Al massimo assumono posizioni di neutralità o genericamente pacifiste di fronte a conflitti come quelli che stanno insanguinando l’Europa e il mondo che hanno come posta in gioco proprio il “governo del mondo”. Lo abbiamo visto con la Serbia, in Siria, in Afghanistan, in Venezuela, lo vediamo oggi in Ucraina e nelle rivolte anticoloniali in Africa.
Lo scenario politico nel nostro Paese è certamente devastato. Manca una cultura politica e un pensiero strategico che facciano perno sulla autonomia e indipendenza nazionale, come è stato nel dopoguerra fino alla morte di Moro; manca una visione dell’Europa autonoma dallo spazio egemonico anglosassone e liberata dal servilismo atlantico. Lo spazio pubblico è occupato e fagocitato da una falsa contrapposizione tra centrodestra e centrosinistra, con il supporto decisivo e servile dei media televisivi con i suoi “nuovi sacerdoti” che monopolizzano il dibattito e alimentano una rappresentazione di comodo nella narrazione delle vicende del nostro tempo, escludendo e demonizzando tutte le visioni alternative possibili. Gli intellettuali sono irretiti in una visione politicamente corretta delle vicende politiche e ideali che li portano a non assumere posizioni chiare e nette, alternative alla narrazione dominante. Il ceto politico viene quindi chiamato volta per volta a sfilare nei teleschermi per dimostrare la propria fedeltà alla narrazione mainstream, pena scomuniche o censure.
In questo quadro surreale e orwelliano è privo di ogni dignità oppure assente qualsiasi accenno a posizioni che si discostano dal pensiero politicamente corretto e quando appaiono sono etichettati come conservatori, sovranisti o rossobruni.
Chi non ricorda gli interrogatori inquisitori a cui viene sottoposto un uomo moderato e mite come Giuseppe Conte nelle sue rare apparizioni televisive o le accuse di rossobrunismo ricevute di recente da un “giornalone” come La Stampa?
È chiaro che in queste condizioni è difficile provare ad articolare un pensiero politico alternativo a quello impostoci dal sistema politico-mediatico che ci condiziona e governa.
L’avvicinarsi delle scadenze elettorali diventa poi l’occasione per selezionare, bocciare o promuovere percorsi politici dentro una cornice precostituita e a costruire false alternative e finte contrapposizioni come quella in atto tra la Meloni e la Schlein, oscurando il ruolo di forza di opposizione dello stesso M5S. Cioè dell’unica forza politica che appare, pur con tante contraddizioni, non completamente omologata alla narrazione dominante.
La domanda a questo punto da porsi sarebbe: è giusto pensare, quindi, di preservare il M5S da contaminazioni troppo ravvicinate col PD e suoi corifei? E’ giusto anche pensare di affiancargli un’aggregazione alla sua sinistra per dar vita ad un’area politica autonoma e separata dal PD? Giusto quindi pensare ad un Terzo Polo nel sistema politico italiano che potrebbe comprendere il M5S e un’aggregazione di sinistra che ancora non c’è? Si. Lo sarebbe.
Ma questo Polo alternativo è all’ordine del giorno nell’agenda politica italiana? Avrei dei dubbi seri al riguardo.
Mi augurerei comunque che questo eventuale Terzo Polo, ove fosse realizzabile, aggregasse,oltre il M5S, anche un “polo” ( non necessariamente un partito ) di sinistra che si caratterizzasse per la sua alternatività ai due schieramenti euroatlantici del centro-destra e del centro-sinistra, con un minimo comune denominatore su cui convergere: la fine della subalternità alla NATO e all’egemonismo guerrafondaio anglosassone; la ricerca della pace e della convivenza pacifica con la Russia; instaurare nuovi rapporti di cooperazione paritaria con la Cina e con il Sud del mondo, a partire dai paesi mediterranei; una presa di distanza e una condanna della politica israeliana in Palestina e in Medio Oriente; il sostegno ai movimenti anticoloniali in Africa e nel mondo. In sostanza un suo riposizionamento strategico multipolare rispetto all’attuale collocazione dell’Italia in Europa e nell’Occidente. La convergenza su questi punti non sarebbe comunque scontata in partenza.
Credo che una prima risposta chiara a tal proposito la potrebbe dare proprio Conte, al di fuori da ogni ambiguità che ancora si porta dietro nel rapporto del M5S con il PD. Questa ambiguità ne impedisce il suo decollo e la sua trasformazione in una forza del cambiamento adatta a gestire politicamente questa nuova fase, riprendendo il filo di una strategia che portò l’Italia, sotto la sua Presidenza, ad aderire al progetto della Nuova Via della Seta cinese e alla sua visione multipolare, stracciata ora dal governo Meloni e non a caso.
Una seconda risposta la dovrebbe dare la mini- galassia di sinistra, divisa tra molte tendenze contradditorie e contrapposte.
La stessa proposta di formazione di una lista di sinistra unitaria per la pace in vista delle elezioni europee, obbedisce, ancora, più a logiche di rappresentanza di tipo elettorale che ad una visione strategica, e si scontra con le resistenze tattiche e opportuniste di chi vuole garantirsi un posto al sole all’ombra del PD per il futuro.
Difficilmente quindi una lista unitaria per la pace decollerà e se decolla rischia di essere viziata da seri opportunismi.
Rimane in pista il tentativo della lista pacifista di Santoro che non si presenta però, almeno sino ad ora, come una tappa della costruzione di un Terzo Polo, stante il suo posizionamento competitivo e in parte ostile rispetto al M5Stelle. Sarebbe però interessante se il suo tentativo si qualificasse politicamente in questa direzione, non in competizione con i 5S e capace invece di erodere parti di consenso che il PD ha ereditato immeritatamente dal vecchio PCI. Ma avranno una tale lucidità politica Santoro e i suoi alleati della lista che si apprestano a far nascere?
Nello stesso tempo Conte sarebbe in grado di aprire le sue liste a militanti pacifisti impegnati contro il bellicismo atlantista e il sionismo genocida israeliano, ai movimenti meridionalisti contro l’autonomia differenziata, ai ceti sociali colpiti dalle sciagurate politiche europee, superando così il suo “cittadinismo” come significante vuoto? Mi augurerei di si. Questa eventuale scelta aprirebbe spazi interessanti di cooperazione con i 5S, almeno nel breve e medio termine e penso che andrebbero coltivati e praticati.
La proposta di Sandro Valentini di promuovere e organizzare un movimento politico autonomo dal basso capace di mantenere aperta la prospettiva del socialismo e che sappia anche dialogare oggi con Conte, sarebbe certamente utile se si inserisse in questo quadro. In assenza di tali condizioni è difficile pensare, però, ad aggregazioni significative per impedire una deriva dei 5S verso il PD, che non siano solo testimoniali.
Che fare in tal caso?
Se fossimo in Germania non avrei dubbi a schierarmi con la BSW di Sarha Wagenknecht con il suo programma di sinistra nazional-popolare, o con la France Insoumise di J.L. Mélenchon in Francia.
Ma siamo in Italia e questo spazio antisistemico è parzialmente occupato dal M5S, una formazione politica significativa che risente dell’impronta populista originaria che non è erede della storia del comunismo e del socialismo, come lo sono in Francia e Germania la France Insoumise e la BSW; e non ha nel suo DNA l’obiettivo di una società socialista, anche se questo non è un discrimine che possa impedire rapporti di collaborazione. Quindi un eventuale sostegno a Conte, in termini da chiarire, si comprenderebbe, in questo caso, solo come opportunità politica tattica in favore di una forza non completamente omologata come possono essere i 5S, senza però avere una sua valenza strategica, ma utile comunque a tenere aperta una dialettica democratica nell’asfissiante sistema politico nazionale.
Rimarrebbe quindi tutta aperta la prospettiva strategica della rinascita di una nuova e autonoma forza neosocialista rinnovata nella teoria e nella ideologia, antiliberale e antiliberista, profondamente e coerentemente ancorata al multipolarismo come nuovo orizzonte di civiltà e di convivenza dell’umanità.
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