Se la soppressione dei diritti diventa norma legittima
In merito alla ultima sentenza della Consulta sui licenziamenti del jobs act
Una recente sentenza della Consulta sostiene la piena legittimità dei licenziamenti collettivi effettuati secondo i dettami del Jobs Act. Aveva ben poco senso sperare in un parere diverso da quello emesso con la sentenza n. 7/2024, che in sostanza conferma l’impianto della famigerata legge sul contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti con licenziamenti monetizzati in base alla anzianità di servizio.
La Corte d’appello di Napoli aveva deliberato a suo tempo la illegittimità della norma che disciplina i licenziamenti collettivi parlando esplicitamente di violazione dei criteri di selezione della forza lavoro in esubero e contestando il mancato reintegro giudicato non rispettoso dei principi costituzionali.
La Corte costituzionale chiamata a pronunciarsi sulla illegittimità costituzionale ha sostanzialmente respinto le argomentazioni della Corte di Appello ricordando che l’indennizzo offre soluzioni adeguate in caso di licenziamento.
Sono trascorsi anni dalla approvazione del Jobs Act e gli effetti sono visibili con indennizzi erogati ai licenziati precludendo loro la possibilità di un reintegro, cause del lavoro che in caso di sconfitta vedono scaricate le spese di giudizio sul lavoratore ricorrente, la norma del Governo Renzi non è mai stata messa in discussione dai governi successivi e men che mai da quello del centro destra.
Il jobs act mirava non solo a disincentivare le cause del lavoro ma a favorire i licenziamenti collettivi e oggi la Corte Costituzionale ne conferma l’impianto asserendone la legittimità anche rispetto ai principi della Costituzione. L’indennizzo economico come misura compensativa esclude pertanto ogni possibilità di reintegro al posto del quale arriveranno pochi spiccioli specie per quanti hanno minori anni contributivi.
E’ del tutto evidente la disuguaglianza di trattamento tra lavoratori “anziani” e “giovani” in base alla data di assunzione, chi è stato assunto dopo il 7 marzo 2015 avrà solo l’indennizzo economico al contrario di chi, assunto prima di questa data, potrà beneficiare del reintegro, eppure per la Corte tutto è lecito e non verrebbe violato quel principio di eguaglianza di trattamento sancito dalla Carta.
Con la riconversione industriale in nome della digitalizzazione e della svolta green si annunciano milioni di licenziamenti, basti pensare che nel Pnrr tedesco si parla per i prossimi anni di oltre 5 milioni di esuberi compensati da soli 3,5 milioni di nuovi posti di lavoro. I prossimi licenziamenti in Italia potranno avvenire senza reintegro e disinnescando sul nascere eventuali contenziosi legali; i padroni se la caveranno con una indennità che va da un minimo di sei a un massimo di trentasei mensilità.
La Corte rimanda poi al legislatore il compito di una sostanziale e complessiva revisione della materia il che fa presagire anche una estensione ai lavoratori anziani del jobs act e norme ancora più inique di quelle vigenti, il tutto nel nome della legittimità di provvedimenti che i padri costituenti avrebbero, senza alcun dubbio, contestato e cancellato. Sarà anche per questo motivo che l’intenzione del governo Meloni è quella di cambiare la Carta Costituzionale dopo averla svuotata di tutte le prerogative e i principi avanzati in termini sociali. Una desertificazione evidente del diritto in materia di lavoro resa possibile dai governi di centro sinistra e da quanti li hanno sostenuti giudicandoli impropriamente alternativi a una destra padronale e reazionaria.
Per completezza rinviamo al testo della sentenza
https://www.lentepubblica.it/wp-content/uploads/2024/01/pronuncia_7_2024.pdf
Fonte foto: Collettiva (da Google)