L’intervista di Matteo Renzi di domenica 30 novembre a La Repubblica è significativa – ritengo più dell’esercizio di propaganda fatto da Mentana – e vorrei provare a commentarla al di là della polemica politica e delle mie negative opinioni personali sul personaggio.
Mi pare dica quattro cose di rilievo:
- Il sindacato, cioè la CGIL, “guardi a Lama ovvero alla tradizione ‘concertante’ piuttosto che al conflitto”;
- Si può prospettare un intervento pubblico sulla siderurgia (ILVA-Taranto e AST-Terni);
- Critica alle privatizzazioni dell’epoca D’Alema;
- PD partito di centro – del turarsi il naso – è possibile stare fuori a sinistra.
Se mettiamo da parte lo scenario retorico, “il dire dal fare”, che domina da 25 anni la politica post-democratica e le battute su Grillo, con cui si rimuove la “questione sociale”, c’è materia interessante.
Anzitutto il Sindacato: concordo sul fatto che contro Monti e la Fornero doveva già iniziare il conflitto, concordo, con opposta valutazione, con l’accenno storico del sindacato sbracante di Lama.
Dopo di che emerge il vetusto giudizio sull’immaturità del capitalismo italiano legato alla tradizione del PCI (maggioritaria e amendoliana) per il quale si dovrebbe attenuare il conflitto per favorire la modernizzazione di un capitalismo arretrato e corporativo.
La seconda questione, pubblicizzazione\privatizzazioni (2 e 3): mi pare evidente un’autocritica al fondamentalismo “privatizzante” o un attacco alla confusa stagione di politica economica di D’Alema ma anche di Prodi.
Condivido l’approccio e rilevo come questo recupero di “statalismo” non sia in linea con tutte le altre uscite “renziane”.
Infine il Partito, la sua direzione: mi pare anche qui, con non poche ragioni, che Renzi snidi i “sinistri”, cioè li stimoli ad andarsene, se davvero hanno altre idealità, benché ricordi loro – come avrebbe fatto Antonio sul cadavere di Cesare – l’inevitabile destino fallimentare sul piano elettorale.
Osservazioni finali: Renzi – via Napolitano – mantiene il concetto di “modernizzazione” della struttura produttiva, che è stata la rovina non solo del PCI (in Italia) ma del marxismo (istituzionale). Peccato che nel frattempo cioè dagli anni 50, cioè 60 anni fa, non solo c’è stato il neo-capitalismo (frutto del keinesismo e includente le masse) ma siamo ora ad una fase iper-matura – dopo il saccheggio liberista – di conversione alla rendita finanziaria dell’imprenditoria.
L’Entente cordiale tra Renzi e Squinzi o è un bluff oppure è l’ennesimo intervento emergenziale per sorreggere l’occupazione sotto ricatto della Confindustria, della corporazione più conservatrice, che è l’unica persona giuridica (e fisica) attualmente pienamente assistita dallo Stato.
Per aprire interventi pubblici “nazionali” occorre litigare assai più seriamente di quel che sta facendo con l’Europa, cioè con la Germania che questi interventi li fa ma li impedisce, imperialisticamente, agli altri.
Infine, l’operazione centrista di Renzi può certo portare voti per manifesta inesistenza della sinistra ed estinzione del berlusconismo senza aumentare “direzione politica” visto che la crisi economica disgrega il blocco sociale dei ceti medi – suoi elettori – mentre tutte le operazioni di ingegneria elettorale non paiono rapidamente creare un partito presidenziale, un soggetto di governo, e fanno sopravvivere dissenzienti confusi e alleati ricattatori.