Sì, siamo tutti antifascisti, ci mancherebbe. L’ingiusta detenzione della compagna Salis in Ungheria atterrisce tutti coloro i quali hanno speso l’esistenza per combattere il fascismo in ogni sua forma: vecchia e nostalgica nei raduni di Predappio, liberista tra le giunte in mimetica del Sudamerica o ammodernata nella civilizzazione dei battaglioni di guerra ucraini. E tutti ci sdegniamo per le condizioni inumane della detenzione, per i guinzagli, le manette ai polsi e alle caviglie così come non riteniamo possibile applicare un 41bis a un militante politico, anche nel caso in cui abbia commesso reati o sia a capo di una formazione militante che espressamente concepisce la violenza quale linguaggio politico. Questo perché l’etica sottostante a quella violenza non può essere equiparata a quella di un’organizzazione criminale tout court.
Ma è davvero miserevole utilizzare il caso Salis per piccoli tornaconti di bottega, per trasformare la prigionia di un’antifascista in un caso geopolitico da sbandierare contro il governo, per sottolineare quanto la destra sia così poco atlantica o così poco europeista nel momento in cui è amica di un regime che ostacola i finanziamenti a battaglioni uncinati a cui il fascismo piace eccome. Bel modo per far avvizzire le giuste battaglie in opportunismo furbetto che fa solo del male alla Salis e a tutti quelli che in prima linea li trovi sempre. Per esempio oggi nelle piazze contro il genocidio dei palestinesi. Piazze osteggiate dai liberal, così bravi a scoprire l’antifascismo solo quando torna utile al prestigio della ditta.
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